Cronaca

Missiva di minacce
a Storti: la perizia
inchioda Roffia

I periti inchiodano Danilo Roffia, 65 anni, di Rivarolo del Re: sua, a detta degli esperti, la calligrafia degli scritti anonimi contenenti minacce ad Elvezio Storti, 60 anni, casalasco, titolare dell’omonima ditta di trasporti di Casalmaggiore. Questo l’esito dell’udienza di mercoledì in tribunale a Cremona.

In aula sono stati sentiti Patrizia Zenzolo, perito del giudice Francesco Sora, e Marco Rossetti, consulente del pm onorario Silvia Manfredi. I due periti grafici hanno analizzato i biglietti anonimi scritti in stampatello contenenti le minacce inviate ad Elvezio Storti, comparandoli con un saggio grafico fatto fare appositamente all’imputato Danilo Roffia. La Zenzolo, nello studio della scrittura, ha trovato una “modalità grafica molto sciolta, alcune lettere erano in stampatello e alcune in corsivo, lo scritto comprende molte correzioni ed in generale sono emerse le stesse modalità di scrittura riscontrate nei messaggi anonimi”.

Della medesima opinione il consulente del pm, Rossetti: il perito ha spiegato che sono state analizzate le caratteristiche strutturali e la fluttuanza nella scrittura, elementi che riportano – a detta di Rossetti – alla mano dell’imputato. Entrambi i periti hanno detto che la pressione grafica, caratteristica diversa da individuo a individuo, in questo caso è senza dubbio riconducibile all’imputato. Il processo è stato quindi rinviato al 5 febbraio, per sentire il consulente della difesa (oggi non c’era, per un impedimento): in quella data si dovrebbe arrivare a sentenza per una vicenda che risale al 2007.

Ecco infatti i testi delle missive, inviate il 9 e il 27 marzo del 2007: La prima: “Ciao bastardino, come va ? Mi hanno appena pagato per farti un po’ male, anzi, prima a tua moglie, così ti arrabbi di più, te ti lascio per ultimo come fanno a Palermo. Andiamo tutti e tre sulla Provincia, io in prima, tu e il resto nell’ultima pagina. Vai pure a dirlo alla polizia, tanto la pagano anche loro. Ciao”. La seconda: “Ti stai fidando molto a girare solo solo. Oggi alle 9 del mattino eri in piazza, ti seguo come un cagnolino, sai, ci ho ripensato, non mi faccio più pagare. Lo faccio volentieri”.

Dopo aver ricevuto i due scritti, Storti si era rivolto alle forze dell’ordine e aveva sporto denuncia contro ignoti. Agli inquirenti, il destinatario delle minacce aveva fatto due nomi: quello di Roffia e quello dell’autista Alessandro Capone, suo dipendente. Dal primo, la vittima aveva raccontato di aver ricevuto in passato telefonate minacciose. Nove anni prima Storti era rimasto coinvolto in un incidente stradale nel quale erano morti il fratello e il nipote di Roffia. Per quella vicenda, risalente al 1998, Storti era stato condannato in primo grado per omicidio colposo, mentre in appello era stato assolto. Potrebbe essere proprio Roffia, dopo nove anni, l’autore delle minacce? Una tesi ritenuta impossibile per la difesa: troppo il tempo trascorso tra i due eventi, mentre per l’accusa i due scritti sarebbero opera dell’imputato, inchiodato dalla perizia calligrafica effettuata nel corso delle indagini.

“Roffia”, aveva ricordato tempo fa Storti nella sua testimonianza in tribunale, “mi ha fatto mandare dal parroco del paese un messaggio che non era stato lui a mandarmi le minacce. “Dopo la denuncia”, aveva aggiunto Storti, “non l’ho più sentito e non voglio infierire. Non sostengo assolutamente sia stato lui a scrivere quelle lettere”. L’altra persona citata da Storti è Alessandro Capone. Agli inquirenti, il titolare della ditta di trasporti aveva raccontato che la moglie di Capone continuava a chiedergli soldi in anticipo e che sul lavoro il dipendente aveva un atteggiamento ostile. L’autista era stato licenziato e poi riassunto “perché mi veniva a pregare dieci volte al giorno perché era senza lavoro”. “Certo”, aveva ammesso lo stesso Storti, “io ho un’attività e alcuni screzi possono esserci stati anche con clienti e fornitori”.

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