Cronaca

Dal comprensorio
al fronte: il tributo
diocesano alla guerra

Dal sito della Diocesi di Cremona; nella foto don Mazzolari mentre celebra messa per i soldati

CASALMAGGIORE/BOZZOLO – Il 3 settembre di cento anni fa veniva eletto Benedetto XV, il Pontefice che visse in prima persona la Prima Guerra Mondiale, un conflitto sanguinoso che causò milioni di morti e un nuovo assetto politico e sociale dell’Europa. L’occasione è data per ricordare che anche la diocesi di Cremona ha pagato un prezzo alto in quella guerra che l’Italia iniziò a combattere un anno dopo: basta ricordare il gran numero di preti chiamati sotto le armi e inviati al fronte, come cappellani, o di supporto negli ospedali militari. Ricorda don Andrea Foglia in suo preciso e articolato contributo nel libro “Il Novecento” della collana “Storia di Cremona” edito dalla Banca Cremonese: «Già nei primi mesi del 1915 erano partiti subito 25 sacerdoti (in gran parte vicari coadiutori, ma anche un parroco e il vicerettore del Seminario, don Ernesto Favagrossa, oltre ai sei chierici di Teologia e quattordici di Filosofia); alle fine dello stesso anno, 1915, partivano altri sei preti, mentre nel 1916 ne venivano richiamati, in due tornate, altri 64, tra cui anche due parroci, un professore di Seminario (don Ambrogio Squintani, futuro rettore e poi vescovo di Ascoli Piceno) e il rettore dell’Istituto Sordomuti, don Carlo Macchini».

Continua, sempre don Foglia: «Il Vescovo doveva rinunciare, quindi, a circa un centinaio di giovani preti, impiegati in gran parte come coadiutori, a servizio della gioventù, ma oltre a ciò, a parte la segnalazione di due soli morti al fronte (il seminarista Severino Zani di Casalmaggiore e don Luigi Bellandi, coadiutore a Spinadesco), la guerra comportò, in realtà, ben altre conseguenze per il clero». Lo storico diocesano ricorda infatti: «che era la prima volta che preti giovani si trovavano fuori dagli ambienti protetti del seminario o delle strutture parrocchiali o ecclesiastiche, in genere, e molti di loro rimasero sconvolti dal confronto con una realtà ben diversa da quella nella quale erano sempre vissuti. In particolare la freddezza, l’indifferenza religiosa e l’immoralità, nel linguaggio e nei comportamenti, che connobero nel contatto quotidiano con le truppe, produsse in molti un grave stato di crisi, per l’inadeguatezza e l’inefficacia che pareva ad essi di avvertire nella loro preparazione ministeriale e, soprattutto, umana». Foglia ricorda che molti di questi sacerdoti soldato, dopo aver tentato inutilmente di rientrare nelle strutture diocesano e di riprendere le precedenti occupazioni di cura d’anime, finirono per abbandonare il ministero: uno tra i casi più emblematici è, per esempio, quello di don Annibale Carletti per il quale don Primo Mazzolari, il più famoso cappellano militare cremonese, scrisse al vescovo, il 18 agosto 1919, una lettera piena di calore. In una lettera scritta dal fronte nel 1918 don Carletti racconta a Mazzolari: «La nostra gioventù esercita tutte le forme di prostituzione, di sensualità, di seduzione e di inganno; essa ha una sola filosofia e una sola religione: il piacere. Parlare ad essa di dignità, di onestà, di purezza e di sacrificio è un gridare nel deserto, quando non si è derisi. La gioventù d’Italia è come un fiore che conserva ancora un’apparente bellezza e freschezza, un apparente vigore, ma dentro è tutta corrotta». I tempi sembrano non essere cambiati.

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