Nonnismo al Sanfelice
di Viadana: ricostruzioni
in Tribunale a Mantova

Nella foto il Tribunale di Mantova
VIADANA – Bullismo o semplice gioco, forse spintosi un po’ oltre? Il dubbio è emerso davanti al giudice e al pubblico ministero di Mantova che nella giornata di mercoledì hanno ascoltato i ragazzi presi di mira da otto ragazzi che all’epoca dei fatti – ossia cinque anni fa – frequentavano l’istituto Sanfelice di Viadana.
Accusati di nonnismo e violenza privata, Andrea Elena Avram, Dario Campanini, Marco Rasoli, Elia Ruberti e Paolo Caprioli di Viadana, Riccardo Grazioli Boroni di Sabbioneta, Luca Minari di Brescello e Oriasotie Okosodo di Brescello avrebbero infatti costretto, durante gli anni di frequentazione dell’istituto viadanese, le cosiddetto matricole a sottoporsi a strani riti di “iniziazione”. Tra le tante idee strambe, ad esempio, le flessioni da fare con la faccia dentro i bagni della scuola, o anche fermare con la testa una monetina che cade dal muro oppure infilare un preservativo su un rotolo di carta. Il punto è che il confine tra gioco e violenza è davvero labile, anzi sembra sconfinare in molti casi verso la seconda: tanto che cinque anni fa, all’epoca dei fatti, i ragazzi soggetti a questi atti forzati avevano parlato di minacce e costrizioni. Oggi, o meglio mercoledì, hanno invece ritrattato un po’ tutto. Paura? Revisionismo? Voglia di chiudere una brutta vicenda senza lasciarsi dietro strascichi? Il dubbio rimane.
C. C., tuttora minorenne, ha spiegato che il 6 ottobre 2009 fu costretto a entrare nei bagni delle ragazze, dove ad attenderlo c’erano alcuni dei ragazzi di quinta, sopra indicati. E’ stato costretto a fare la carriola, a fare flessioni nella turca, a fare il gioco della monetina. Di tutto un po’: nel mentre ha confessato di essersi pure preso uno sgambetto. Non ha reagito, ha obbedito e basta, sentendosi minacciato e sentendosi male mentre gli altri ridevano. Poi gli è stato detto di non dire nulla a nessuno. Ma C. C. ha parlato e da lui è partita, subito dopo l’episodio incriminato, la denuncia che ha dato il via all’indagine. Il ragazzo, infatti, ha parlato alla madre nel pomeriggio successivo all’episodio di nonnismo: la madre, che ha avvertito la preside, all’epoca Carmelina Saviola, ha accusato la stessa di non avere fatto verifiche sufficienti. Proprio Carmelina Saviola ha testimoniato sempre mercoledì, difendendosi e sostenendo di avere fatto il possibile, avendo ricevuto anche dai genitori dei ragazzi di quinta una richiesta per poter “lasciare correre” sugli episodi.
A chiudere la giornata la testimonianza abbastanza controversa di una ragazza, che ha detto che in realtà, all’epoca della prima denuncia, mentì ai militari e che questi giochi erano sentiti come una sorta di iniziazione: dunque erano accettati, perché servivano a sentirsi parte della comunità. Punto di vista curioso, specie se confrontato con la denuncia precedente, e comunque difficile da accettare, se è vero che uno dei ragazzi presi di mira dal “branco” non voleva più tornare nell’istituto Sanfelice.
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