Ambiente

L'allarme di Vitaliano Daolio: "Le istituzioni ascoltino chi vive il Grande Fiume"

Come andrebbero spesi i soldi? "Ci sono priorità più importanti del barbo canino. Ad esempio gli attracchi turistici gran parte dei quali in estate sono in secca o in condizioni pietose. Non possono essere i comuni ad accollarsi le spese". Daolio elenca tutte le contraddizioni nella gestione del Grande Fiume.

Nella foto l'attracco di Motta Baluffi

MOTTA BALUFFI – Vitaliano Daolio ha un osservatorio privilegiato su quanto avviene sulle rive del fiume Po. Gestisce da anni l’Acquario del Po a Solarolo Monasterolo, frazione di Motta Baluffi, nella golena a pochi metri dal grande fiume, e contemporaneamente è pescatore di professione e accompagnatore turistico. Più volte in passato, spesso inascoltato, ha lanciato allarmi sul fenomeno del bracconaggio, sempre più all’ordine del giorno.

In settimana, nel corso di una conferenza stampa a bordo di uno dei mezzi in dotazione, la Polizia Provinciale ha lanciato l’ennesimo allarme, con il comandante Massimo Barbolini che ha sottolineato l’inadeguatezza delle risorse a disposizione per combattere il fenomeno, sempre crescente. Impossibile, ha detto, intensificare i controlli avendo a disposizione un numero limitato di agenti, solo 11 in tutta la provincia. Erano il doppio prima degli ennesimi tagli pubblici. I controlli, effettuati anche nelle ore notturne, danno risultati, e lo dimostrano i tanti sequestri di reti posizionate dai pescatori di frodo, che contengono quintali e quintali di pesce. Ma la scarsità di forze sul campo stanno proprio a dimostrare che livello abbia assunto il fenomeno. Va aggiunto che i compiti della Polizia Provinciale non si esauriscono certo qui, ma contemplano la lotta all’inquinamento ambientale in varie forme, i controlli sui mezzi circolanti, i controlli venatori e altro. Un dato positivo riguarda invece il crescente numero di volontari, soprattutto giovani, il cui ruolo di guardie ecologiche volontarie è importante per presidiare il territorio ed effettuare segnalazioni agli agenti. Alla conferenza stampa erano presenti anche il vice di Barborini, Massimo Pegorini, il neopresidente della Provincia Davide Viola e il consigliere provinciale con delega all’Ambiente Alberto Sisti.

Quanto ai volontari, proprio la scorsa settimana abbiamo pubblicato l’intervista a Gianluca Veronesi, presidente dell’Associazione Amici della Golena che nata da un anno conta già 70 iscritti, dei quali una decina di giovani hanno appena passato l’esame di guardiapesca. Anche il Consiglio Regionale è intervenuto in settimana sul tema del bracconaggio fluviale, approvando una legge di ratifica del protocollo di intesa tra le Regioni Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto e l’Autorità di Bacino del fiume Po finalizzato alla tutela del patrimonio ittico e a una gestione sostenibile della pesca. Relatore del provvedimento il consigliere cremasco Agostino Alloni, che ha illustrato i problemi derivanti dall’aumento delle specie aliene invasive e la pesca abusiva effettuata da organizzazioni dedite al bracconaggio. Alloni ha chiesto azioni coordinate di vigilanza e di promozione turistica attraverso un razionale utilizzo delle risorse pubbliche. Nella seduta di mercoledì poi la Regione Lombardia ha dato il via libera all’intesa sovraregionale.

Alla luce di queste novità, abbiamo dunque sentito il parere di Vitaliano Daolio, che spesso ha partecipato ad incontri istituzionali sulla valorizzazione e difesa del grande fiume. Daolio ci risponde mentre è in attesa di un gruppo di turisti da portare sul fiume. Allora, il protocollo di intesa tra le regioni, la sollecitazione della Polizia Provinciale, il numero crescente di guardie volontarie, sono segnali positivi? «Che le forze preposte sino insufficienti lo si sa da tempo – attacca Daolio -, diciamo che 11 agenti per una zona vasta come quella cremonese è niente. Il fatto che le province siano state demolite è un’aggravante: non hanno né uomini né mezzi per fare un contrasto efficace al bracconaggio, che, ricordiamolo, riguarda anche la caccia».

Quindi una critica neanche velata alle istituzioni. «Fa sorridere che la gente normale si sia attivata, come gli Amici della Golena che hanno fatto il corso di guardie volontarie per fare da adeguata spalla ai vigili e alle forze dell’ordine, stiano ancora aspettando il permesso per attivarsi. Hanno finito il corso due mesi fa e sono ancora in attesa di un timbro. La burocrazia a volte è vergognosa: se abbiamo bisogno di questi soggetti, allora ci si attivi nella maniera opportuna. La Fipsas non deve urlare solo “al lupo al lupo” per non perdere consensi, e poi non dare sostegno a questi ragazzi che spendono il proprio tempo libero per la salvaguardia del territorio e non gli è data possibilità di farlo. In Toscana ad esempio ci sono ragazzi che aspettano il timbro da oltre un anno. Il mio è anche un appello agli enti preposti di muoversi. Il territorio ha bisogno di una polizia, ma le regioni purtroppo non ascoltano mai la base, che da 20 anni chiede una regia unica. Speriamo che finalmente ci sia, ma da troppi ani non si vede niente. Inoltre serve una polizia fluviale, presente in tutta Europa, almeno quella di serie A. Noi evidentemente siamo di serie B. Sono critiche fatte spesso dagli stessi giornalisti. Paolo Rumiz di Repubblica ad esempio ha trascorso 6 mesi sul fiume senza vedere l’ombra dello Stato e lo ha denunciato. Speriamo che questo sia il punto di partenza, ma ne ho visti tanti di punti di partenza».

«Sono perplesso – prosegue Daolio – di come sia sempre la base a spronare le istituzioni. Ricordo i tanti incontri che ho fatto con le Regioni, due dei quali sulla Stradivari, per chiedere collaborazione. Se coloro che legiferano di pesna ne sanno poco, rischiamo di passare da un problema all’altro. Di fatto, il bracconaggio è stato “santificato” da 30 licenze concesse dalla provincia ai lipoveni».

Chiariamo che si tratta di antichi pescatori romeni. «Sono state mandati via dalla Romania perché abitano il Delta del Danubio, pieno di siluri, che è patrimonio dell’umanità per la sua biodiversità. E noi gli diamo le licenze. Parliamo dunque di problematiche che spesso sono state create. Si ascolti chi vive il fiume. Sulle ultime novità io resto perplesso, quel poco che ho letto non mi fa dormire sonni tranquilli».

In che senso? «Io mi occupo di turismo da 17 anni, porto pescatori sul fiume e mi devo muovere a macchia di leopardo. Tuttora, in un tratto di 5 km pesco in una determinata maniera, nel tratto successivo, sulla sponda opposta o sulla stesa sponda, cambiano le regole e mi devo adeguare. Ricordo che i confini regionali non coincidono con le rive. Devo usare l’ecoscandaglio in un tratto poi toglierlo perché più in là è vietato, e tutto questo è difficile da spiegare ai turisti».

D’altra parte ricordiamo come la stessa balneazione un paio di anni fa era consentita sulla nostra sponda mentre non lo era per i parmensi, che controllano anche parte della nostra sponda, e la situazione ha del ridicolo. «Vero, e dico di più. Chi ha mai visto cartelli con divieto di balneazione? Il Po non è balneabile ma non c’è un solo cartello di tutela dei turisti. Se vogliamo che il Po torni a 50 anni fa si facciano pure sperimentazioni, ma non si devono spendere due milioni di euro per reinserire il barbo canino (pesce d’acqua dolce, ndr) nel fiume. Lui ci torna da solo con l’acqua pulita. L’alborella era sparita, ed è tornata senza spendere soldi. Questo mentre sui laghi la rimettono. Ma se è sparita, essendo un segnalatore biologico fantastico, significa che vanno risolte altre problematiche, segnatamente l’inquinamento, ma questo non è recepito dalle regioni. Noi continuiamo a puntare sull’autoctono, ma sono soldi buttati via. Spendere per contenere l’alloctono è fare una lotta contro i mulini a vento. L’alloctonia sul Po è oggi l’unica risorsa».

Come andrebbero spesi i soldi? «Ci sono priorità più importanti del barbo canino. Ad esempio gli attracchi turistici gran parte dei quali in estate sono in secca o in condizioni pietose. Non c’è manutenzione, e non possono essere i comuni ad accollarsi le spese. E’ impensabile pagare una draga per fare la manutenzione. Ma, visto che le draghe sono ferme, questo è uno dei tanti progetti che si possono fare. Gli attracchi sono stati fatti con fondi europei, ora serve spendere per mantenerli, con una cabina di regia che si occupi di tutti gli attracchi turistici per mantenerli attivi nel periodo estivo, quello cruciale. Se invece si vuole eliminare il turismo, basta andare avanti così come si sta facendo ora».

Le condizioni ambientali però negli ultimi anni sono migliorate. «Un miglioramento c’è stato, ma soldi e progetti andrebbero fatti ascoltando anche la base, chi sul fiume c’è quotidianamente, non solo io, e le sue problematiche. Ad esempio la guida di pesca è una figura che in Italia non esiste. Io ho scritto a tanti enti per istituire questa figura turistica, di fatto mi sono incoronato tale ma la figura non esiste. Dunque, ben venga l’accordo regionale con la cabina di regia, ma deve avere iun cordone ambelicale con la base, sennò rischiamo che a decidere siano persone che il fiume l’hanno visto solo sui documentari, col rischio che facciano azioni negative. Ci devono ascoltare, sennò il già poco turismo sarà un capitolo chiuso, e lo affideremo a tedeschi e austriaci che sul fiume ci sono da 15 anni, e forse il 20% di loro è sconosciuto al nostro fisco. Io ho la barca targata, di loro mezzi con licenza di navigazione non ne vedo».

Chiudiamo con l’Acquario del Po, una struttura unica e importante, ma la cui sopravvivenza non è scontata. Solo qualche mese fa è arrivata una multa di 30mila euro al Comune di Motta Baluffi, proprietario.  «Per la Forestale, che ha dato la multa, siamo uno zoo e non un acquario didattico. Già è difficile mantenere in piedi questa piccola realtà, che però è l’unica forma didattica di conoscenza sul fiume, ora senza aiuti rischiamo di chiudere. Anche in questo caso, non si può lasciare che a fronteggiare le spese sia un piccolo comune privo di risorse».

Vanni Raineri

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