Ambiente

Pochi piccoli indiani. Vertice sul Po, il fiume è ancora malato (specie di disinteresse)

Sui quindici comuni che hanno appiccicato il loro vessillo alla discesa del Po, solo Casalmaggiore con il vice sindaco Vanni Leoni e Gussola col sindaco Stefano Belli Franzini hanno risposto presente all’appello di Persona Ambiente.

BORETTO – Dovessimo fermarci alle presenze, dovremmo ammainare la bandiera. Le facce sono sempre quelle degli incontri degli ambientalisti di 10 anni fa. Qualcuno manca – s’è fatto fiume, come scriveva Paolo Rumiz – e mancherà per sempre, qualcun altro manca per scelta. Perché qualche considerazione come preambolo, alla conferenza ‘Il Po: bene comune da salvaguardare e valorizzare’, va fatta.

Sui quindici comuni che hanno appiccicato il loro vessillo alla discesa del Po, solo Casalmaggiore con il vice sindaco Vanni Leoni e Gussola col sindaco Stefano Belli Franzini hanno risposto presente all’appello di Persona Ambiente. Neppure un assessore scalcinato a far presenza da parte degli altri. Dei GAL quello presente col presidente Francesco Meneghetti era il ‘Terre del Po’ che presto partirà con la propria opera. Per il resto gli ambientalisti di sempre ed il deserto.

Questo l’interesse per il fiume, che non sta bene, nonostante le rassicurazioni degli ultimi tempi. Della cosa sembra importare poco alle istituzioni. 2 comuni su 15, 2 sui 64 che hanno aderito alla procedura del MAB Unesco, 2 su tutti quelli che si affacciano al fiume e solo per destino. Eppure l’occasione era più che importante. Non solo per la qualità, alta, dei relatori: Andrea Agapito, biologo, esperto di conservazione della natura, rinaturazione fluviale, difesa del suolo ed educazione ambientale. Attualmente responsabile dell’area “Reti e Oasi” per il WWF Italia è stato responsabile acque e fiumi del WWF Italia e responsabile Biodiversità Ecoregione Alpi. Segue dal 1980 la riserva naturale Le Bine (Mn – Cr) nel Parco naturale Oglio Sud, consulente di Amministrazioni pubbliche, enti gestori di aree protette e società private sulle problematiche di pianificazione, progettazione e gestione ambientale. Socio fondatore del CIRF (Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale), Daniele Nizzoli del Dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale dell’Università degli Studi di Parma, Massimo Gibertoni, Circolo Legambiente Aironi del Po di Polesine P.se, promotore della candidatura MAB Unesco del medio tratto del fiume Po, Vitaliano Daolio, pescatore professionista e responsabile Acquario del Po di Motta Baluffi e Mimma Vignoli, fiduciaria Slow Food Oglio Po, Imprenditrice di una Azienda Agricola Biologica, in rappresentanza della comunità del cibo del casalasco-viadanese oltre a capitan Landini, che il fiume lo vive da sempre ed ha ospitato sulla Stradivari la conferenza.

Sarebbe stato utile esserci, non solo per le loro relazioni, importanti e incentrate sul fiume e sulla sua tutela, ma anche e soprattutto per la presentazione dei dati dei campionamenti effettuati in questi ultimi 2 anni sul Fiume Po ed affluenti principali, nell’ambito del progetto “Magana del Po” promosso da Legambiente ed Associazione Persona Ambiente, con il fondamentale contributo dell’Università degli Studi di Parma. Dati che attenuano l’ottimismo diffuso che vede il Po in via di risanamento e le sue acque sempre più pulite. Non c’è da stare allegri, né per il disinteresse diffuso all’ecosistema con il quale tutti dovremmo fare i conti, né per i dati dei rilevamenti.

Un lavoro iniziato due anni fa, con particolare riferimento agli elementi nutritivi, fosforo e nitrati, vero elemento che narra dell’equilibrio dell’ecosistema e della qualità delle acque. Per quanto riguarda il Po, da 50, valore massimo, siamo a 100. Per quel che concerne i nitrati, dei 1200 consentiti, siamo a 2500. E i dati crescono in maniera esponenziale se si analizzano gli affluenti, soprattutto quelli Nord. Tanto per citarne uno a noi vicino, l’Oglio, solo per quanto riguarda i nitrati, andiamo dai 4 ai 5 mila, quattro volte la soglia consentita. Vero, come ha spiegato Nizzoli, che se il riferimento è a trent’anni fa, qualcosa è cambiato. Ma è ancora poco, o forse niente. “Se prendiamo come riferimento le direttive acque CEE, c’è ancora del lavoro da fare. In una scala che va da 1 a cinque, siamo tra il sufficente e lo scarso”.

Una piccola considerazione sugli elementi presenti nelle acque. La diversità di equilibri altera la biodiversità con effetti a catena su tutto l’ecosistema. Speranze? Poche. Perché a firmare si è tutti pronti (64 i comuni che aderiscono alla rete MAB Unesco), è poi trasformare le intenzioni nel fare che è un passo ulteriore un po’ più difficile. MAB Unesco è la rete del delta, terra depredata in cui la situazione è grave. In balìa di se stessa, con pochi controlli e poche speranze, il riconoscimento MAB Unesco è solo un riconoscimento che di per se significa poco, o in questo caso quasi nulla.

“C’è bisogno di un persorso che parta dal basso – ha ricordato Agapito – di un progetto che parta da chi vive il fiume. E’ questo che manca. La biodiversità, la sua tutela, necessita di una riqualificazione del territorio, di una sua valorizzazione. Ridare spazio al corso d’acqua, a partire da lanche e golene”. Già, la speranza. Che poi si ferma lì, senza l’intervento degli organismi – a partire dai comuni sino ad arrivare allo stato – che hanno il potere del fare. Perché poi, al posto degli organismi restano solo gli onanismi figli di carte e di parole. Il fiume è l’emblema di una società che decide il proprio destino, con le lancette costantemente puntate verso il basso.

Lo stesso Agapito, e Vitaliano Daolio hanno puntato il dito sulle ‘cattedrali nel deserto’ dove si riversano fiumi di denaro, e di problemi. Dai porti ai pennelli, dalle infrastrutture all’idea di bacinizzazione – invero idea che ha varcato ormai il mezzo secolo di storia – e che ogni tanto riprende vigore nonostante l’Italia sia l’unico paese che va in controtendenza. “Più rendiamo un territorio ricco di infrastrutture, più aumentiamo le spese ed i problemi, ed alteriamo l’ecosistema. Abbiamo bisogno di interventi diffusi di adattamento, non di progetti che vanno ad alterare ancora di più le condizioni del fiume” ha specificato Agapito.

Ancora più duro l’intervento di Vitaliano Daolio: “Ho una grande tristezza – ha spiegato il responsabile dell’acquario del Po – perché stiamo dicendo esattamente le cose che si dicevano 20 anni fa. Il Po è terra di nessuno. Tanti delinquenti e nessuno sceriffo. Abbiamo leggi diverse, da regione a regione, da provincia a provincia per quel che riguarda il fiume, quando servirebbe una legislazione unica. Stanno depredando il fiume, e nessuno fa nulla. Le sanzioni per la pesca di frodo sono irrisorie ed i pescatori di frodo fermati spesso li rivedi dopo qualche tempo a fare le stesse cose di prima. Le agenzie straniere di noleggio barche – soprattutto tedesche – hanno invaso il fiume. Un giro di soldi notevole, 300 imbarcazioni senza nessun controllo. Fanno quello che faccio io, ma un discreto numero lo fa in nero. Un giro da 3 milioni di euro, e pochi controlli. Il bracconaggio ha già distrutto il delta del Po e sta distruggendo la nostra parte di fiume. Investimenti sul fiume non ce ne sono. Mi spiace, ma io non vedo futuro”.

Massimo Gibertoni ha illustrato il progetto MAB Unesco, ove l’acronimo MAB sta per Men and Biosphere. Nel settembre 2018 verrà presentata ufficialmente la domanda per il riconoscimento. 64 i comuni che vi hanno aderito tra le province di Piacenza, Cremona, Parma, Reggio Emilia e Mantova. “Il Monviso è già riserva MAB, come come il Delta del Po. Questa potrebbe essere davvero l’ultima spiaggia”. Neppure questo basterà, ma è un passo in avanti. Non garantirà tutele, non le ha garantite laddove è già in atto.

Mimma Vignoli, col suo linguaggio colorito, ha parlato di aziende come la sua che vanno in controtendenza. Lei produce vino, recuperando semi antichi. “Quello che gli agricoltori tradizionali non hanno capito – ha spiegato – è che a differenza di loro io sono un’imprenditrice libera. Il prezzo lo decido io e decido quello che semino, scelgo i semi e faccio il prezzo dei miei prodotti. Quale libertà può dire di avere un agricoltore tradizionale?”.

Una piccola nota di servizio: la discesa del Po in programma domani è stata rinviata a data da destinarsi, forse domenica prossima. Le previsioni meteo hanno consigliato di spostare l’iniziativa per non correre rischi inutili e veder scemare la possibilità di avere più gente possibile.

Tornando all’incontro tutti i relatori hanno convenuto sull’esigenza di un progetto che consideri tutta l’asta del Po, un parco che parta dal Monviso e arrivi al mare. Un’utopia insomma di tanti (pochi) piccoli indiani con poche speranze e – stando così le cose – con poco futuro. Perché poi, a ben vedere, è proprio una visione generale, rivolta al futuro, che manca a livello istituzionale. Loro (i piccoli indiani) ce l’hanno già, come ce l’hanno paesi che si stanno riconvertendo alla rinaturalizzazione considerando i fiumi come risorse inserite in un ecosistema fondamentale per la sopravvivenza e non una risorsa da sfruttare. Quel che abbiamo noi è poco, è quasi nulla. Il fiume resiste, nonostante l’uomo faccia di tutto per fiaccarne la resistenza. Non è dato sapere quanto durerà, ma al di là delle buone intenzioni, delle azioni dal basso e di pochi pionieri a predicare nel deserto resta davvero poco. “Non c’è futuro”, stando così le cose, né per le piccole attività di frontiera e né per il fiume. Anche se ancora c’è chi ci crede, lotta e spera.

Nazzareno Condina

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