Ambiente

Cinghiali in golena tra emergenza e pericolo. Il punto di Scaravonati (Federcaccia)

In verità il cinghiale non aggredisce l’uomo, se non per difendere i propri cuccioli o per difendersi se attaccato. Ma quando la presenza si radica è inevitabile che i casi che preoccupano aumentino, e così la cronaca riporta sempre più spesso episodi che suscitano paura.

L’allarme cinghiali nell’area casalasca ha ormai spostato in second’ordine l’emergenza nutrie. Anche gli ungulati hanno recentemente trovato nel nostro territorio le condizioni ideali per proliferare in assenza di predatori naturali. Rispetto alla nutria, oltre all’aspetto dei danni alle colture agricole e agli argini di difesa, il cinghiale presenta anche problemi di ordine pubblico. Questo sia per gli incidenti provocati sia per la pericolosità in caso di incontri con un branco.

In verità il cinghiale non aggredisce l’uomo, se non per difendere i propri cuccioli o per difendersi se attaccato. Ma quando la presenza si radica è inevitabile che i casi che preoccupano aumentino, e così la cronaca riporta sempre più spesso episodi che suscitano paura a chi, per lavoro o per diletto, frequenta soprattutto le aree golenali.

Nel Casalasco ultimamente si sono ripetute le segnalazioni, e anche alcuni casi eclatanti che di fatto almentano i timori e allontanano la gente dai luoghi più selvaggi e appartati, dove si teme si nascondano in branco. E gli agricoltori soprattutto ne hanno contati parecchi, addirittura fino a una trentina in un solo branco, ma un vero e proprio censimento ancora non è stato fatto. E’ di pochi giorni fa il caso dei cani aggrediti da un branco mentre i loro padroni il stavano addestrando.

La Regione ha recentemente approvato una legge per la “gestione faunistico-venatoria del cinghiale”. Prevede che nelle aree considerate non idonee la loro presenza tenda allo zero, attraverso l’azione di cacciatori abilitati. Un piano di controllo che è attuato anche nella provincia di Cremona, nella quale sono presenti però solo 6 cacciatori abilitati, che possono intervenire solo con altane, e che devono essere iscritti all’Urca (Unione Regionale Cacciatori dell’Appennino). Sul tema abbiamo sentito Marco Scaravonati, presidente Federcaccia per la Provincia di Cremona e presidente dell’Atc numero 3.

E’ una presenza sufficiente quella dei 6 cacciatori scelti dalla polizia provinciale, gli chiediamo? E perché devono essere iscritti Urca?
«La Provincia ha predisposto un piano sperimentale rivolgendosi all’attuale presidente Urca per realizzare monitoraggio e censimento degli animali, che è stato fatto un anno prima che il piano partisse: il fine era quello di capire se attraverso il giudizio e il benestare di Ispra fosse ammessa la possibilità di abbattere i cinghiali per il loro controllo. L’Urca si è poi proposta per reperire gli addetti, che sono per la maggior parte persone residenti in loco. Un accordo che doveva durare tre mesi e poi procrastinato. Oltre ai sei, poi, possono intervenire anche le guardie della Provincia».

Il controllo numerico presenta grosse difficoltà.
«E’ impossibile stabilire il numero considerando i luoghi in cui si possono nascondere, che sono le zone di rifugio, le lanche e cave dismesse lungo il Po, le lingue di terra del demanio abbandonate. Oggi la situazione andrebbe rivista in modo approfondito con un approccio più scientifico, facendo un censimento accurato come nel caso del capriolo o del cervo, sulla presenza delle orme, delle fatte e in forma di battuta coi cani da osservazione, sennò non possiamo avere il polso della situazione. Un’altra grave criticità sta nel fatto che secondo la nuova legge regionale l’Atc è chiamato a rispondere per il 30% (il restante 70% è a carico dell’Utr in base alle disponibilità della Regione) dei danni prodotti dal cinghiale in quanto specie cacciabile. Una cifra che pesa gravemente sul bilancio».

In quanto specie cacciabile?
«Già. Sta lì l’inghippo. Sul tesserino venatorio della Regione Lombardia il cinghiale è specie cacciabile, ovviamente nelle zone previste. In pianura da noi non lo è per motivi di sicurezza e perché va cacciato con palla asciutta o carabina, quindi essendo a lunga gittata potrebbe provocare danni a terzi. Da qui la prescrizione delle altane».

Che obbligano a sparare verso il basso.
«Detto questo, rifiuto questa tesi. La Maremma grossetana è pianura, o bassissima collina, e presenta la stessa pericolosità. Attraverso un numero di cacciatori adeguato, in certe aree sensibili è ammessa la tecnica della “girata” per cacciare in sicurezza ma in maniera incisiva».

Quindi voi chiedete che la specie sia cacciabile anche da noi.
«Il piano di controllo fa acqua. Spesso chi prende decisioni non conosce la materia se non in modo superficiale. L’Utr ha provato a disegnare una possibile soluzione, ma non ci sono i numeri. Il mondo venatorio ha persone che, solo in parte dell’Urca, sono abilitate perché non solo hanno svolto il corso per la caccia al cinghiale, ma sono anche selecontrollori. In totale siamo oltre 100 in Provincia».

Cento cacciatori che sarebbero pronti, e magari entusiasti di collaborare.
«A quel punto tutti i cacciatori con abilitazione specifica potrebbero intervenire, così come i conduttori dei cani. E penserei anche a una metodologia integrativa a quella dell’altana, cioé anche alla tecnica della “girata”».

Girata che è una tecnica di prelievo praticata in forma collettiva che permette una buona selettività con un minimo disturbo del resto della fauna selvatica. L’ultimo caso che ha fatto scalpore è quello dei cani aggrediti nella golena casalasca.
«E’ accaduto e si potrebbe ripetere, ed è normale che il cinghiale si difenda da un animale che lo insegue, specie se si trova sullo “sporco”. Detto questo, tanti di noi potrebbero trovarsi nelle condizione del cane: le nostre zone sono zeppe di gente che va a funghi, a pescare, a caccia o anche va a camminare sugli arginelli. Ma nel momento in cui, involontariamente, invadi il territorio di un animale che lo sente proprio, puoi diventare tu la preda. Il problema è che lì il cinghiale non deve stare, diverso è il discorso della montagna dove può avere zone a lui riservate. Se incroci ad esempio una femmina coi piccoli potrebbe diventare pericolosissima, lo dice la storia».

Un pericolo che aumenta al tramonto.
«Il cinghiale è un animale notturno ma non necessariamente. Ci sono stati avvistamenti anche in pieno giorno. Questo è un problema di sicurezza».

Senta. Nel caso i cacciatori dei cani feriti fossero stati armati, lei ritiene che avrebbero potuto sparare per legittima difesa dei loro cani?
«E’ una decisione personale. Chiaro che il cacciatore non potrebbe sparare, perché dotato di munizioni non idonee, per non incorrere in procedimenti penali. Ma se un cinghiale mi venisse contro io mi difenderei, facendo poi ricorso per legittima difesa. Secondo le norme della caccia si tratterebbe di un illecito, e mi rivolgerei alle norme di pubblica sicurezza. Quando l’incolumità fisica di una persona è minacciata, si deve difendere».
A patto ovviamente che ciò non si tramuti in una scusa per cacciare in deroga.

V.R.

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