Cronaca

Ponte Po chiuso da sette mesi ed un silenzio pesante Ciò che resta (delle speranze)

Il ponte Po è morto, quello di Ragazzola non è messo bene, quello di Viadana soffre dell'abnorme carico in più (circa 9000 mezzi in più rispetto all'inizio di settembre del 2017) e quello di Guastalla registra qualche problema

CASALMAGGIORE – Sette mesi di stop. Il Ponte festeggia la triste ricorrenza nella stessa maniera di quando era stato chiuso: senza che ancora si sia mossa una pietra per il suo recupero. Li chiamano tempi tecnici, è la burocrazia a cui seguiranno i tempi di cantiere. Ma è anche la sottovalutazione del problema, sono anni di tirare a campare che si assommano alle – tristi – condizioni di adesso.

Il ponte Po è morto, quello di Ragazzola non è messo bene, quello di Viadana soffre dell’abnorme carico in più (circa 9000 mezzi in più rispetto all’inizio di settembre del 2017) e quello di Guastalla – è notizia di qualche giorno fa – registra qualche problema. Se non fosse l’opulenta Lombardia potremmo parlare di terzo mondo. E invero questo è il terzo mondo della mobilità.

“Settimo mese di chiusura – ha scritto oggi un utente su facebook – e tutto tace inesorabilmente. Del Rio Ministro uscente delle infrastrutture non si è mai degnato di venire a vedere il ponte l’assessore lombardo uscente Sorte idem con patate, no anzi è venuto a farsi fotografare come fosse solo un rito, quello emiliano non pervenuto. Intanto maciniamo km su km per guadagnare un tozzo di pane in barba a chi di fronte a questi problemi dovrebbe correre per risolverli nel più breve tempo possibile. Senza vergogna”.

La strada che la provincia di Parma ha intrapreso è quella della riparazione e del monitoraggio. Si parlava del marzo 2019 inizialmente per la riapertura, poi la data è slittata di qualche mese. Adesso non se ne parla più ma autorevoli ingegneri interpellati spiegano che anche queste date sono fittizie e sono calcolate al netto di possibili (probabili, vista la condizione del ponte) imprevisti in fase di cantiere. In mezzo a tutto questo, sette mesi di sacrifici enormi per pendolari e studenti, per attività commerciali che hanno e da sempre vissuto dell’interscambio tra parmensi e cremonesi su quella linea di confine che si è fatta barriera valicabile a fatica. Sette mesi di maggiori spese che non verranno rimborsate da nessuno, e a nessun livello perché, fatti salvi i commercianti a cui almeno è andato lo sgravio TARI su pressione del comune di Casalmaggiore, nessun’altra iniziativa è stata intrapresa, ne si vede all’orizzonte.

La strada intrapresa – e benedetta anche dalle associazioni ambientaliste del territorio – dicevamo è quella dei cerotti, e del monitoraggio. “Una soluzione già fallita in partenza – spiega l’ingegner Giovanni Donzelli – da tenersi così com’è, tanto alla fine nessuno ne risponderà mai”. Fallita o meno, è una soluzione che non dà nessun tipo di affidamento: “Perché – aggiunge Donzelli – quando sarà riaperto basterà un camion leggermente in sovraccarico per far scattare i sensori, e a quel punto il ponte verrà chiuso e saremo al punto di partenza”. Neppure gli ingegneri della provincia di Parma all’incontro tenutosi a Colorno il mese scorso sono riusciti a fugare i dubbi. Nessuno può dare nessun tipo di certezza se non quella che un intervento siffatto non potrà durare più di dieci anni. E’ la previsione più rosea, e dieci anni passano in fretta.

Sette mesi fa si nutrivano ancora speranze. Nel frattempo (e in sette mesi) vi abbiamo raccontato di gente che si sta mangiando i permessi e le ferie, di altri che hanno chiuso le loro attività, di pendolari che sfidano i divieti attraversando in bicicletta, a piedi o in motorino il ponte, di sofferenze nei vari settori commerciali, di calo dell’utenza anche all’Oglio Po, perennemente a rischio ridimensionamento e ancor di più adesso che non può contare come prima sui soldi provenienti dalle prestazioni extraregionali, di situazione al limite del paradossale per quanto riguarda il trasporto urbano, di tecnici validi che hanno espresso tutti i loro dubbi sulla soluzione ‘più veloce e a minor costo’.

In tutto questo nessuno ha ancora affrontato con concretezza il tema del nuovo ponte. Struttura per la quale serviranno molti anni tra parte burocratica e parte cantieristica. Il tempo fugge, la politica attende, la gente è stremata. Continuano a non chiamarla crisi, ma è pure peggio. Perché nella crisi almeno qualche agevolazione ti viene riconosciuta, qui no. La gente ce la può fare a sopravvivere. E per chi non potrà farlo, affari suoi. Tanto a pagare saranno sempre gli stessi, quelli che pagano già.

Sette mesi di niente, o quasi, per ciò che concerne i lavori. Li chiamano tempi tecnici e burocratici, dicono che sono necessari, insormontabili in altra maniera. Forse è così. Abbiamo provato a spiegarlo a chi ha meno tempo per la famiglia, per i propri hobbies, per i propri sogni. A chi di soldi ne ha sempre meno e di problemi sempre più. A chi parte quando è ancora buio e torna a casa che è già buio. Non ci hanno capito, ma forse non è colpa nostra. Sette mesi fa c’era ancora qualche speranza. Oggi quasi nessuna. Questo l’unico dato di fatto oggettivo che resta.

Nazzareno Condina

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