Don Paolo Antonini a nove anni dalla morte. Dall'esperienza umana all'esilio di Bozzolo
La sua era la chiesa dei poveri, degli ultimi, dei diseredati, dei malati, degli oppressi. Di tutti coloro che combattevano contro il potere dell'oppressione, del denaro, del capitalismo
“… non è possibile vivere un rapporto con Dio, una dimensione verticale senza una dimensione orizzontale, una dimensione sociale…”
CASALMAGGIORE/BOZZOLO – Nove anni fa moriva, nell’esilio forzato di Bozzolo, Don Paolo Antonini. In quest’anno – in cui le luci della ‘dis-integrazione’ sono estremamente più forti di tanti altri periodi della repubblica italiana – nessuna parola, nessun evento particolare lo ha ricordato.
Don Paolo Antonini era nato nel 1921 a Fossacapra, vicario e poi parroco a Breda Cisoni, quindi parroco di Gazzuolo e dal 1978 al 1997 parroco di Casalmaggiore. Aveva cominciato la sua missione a favore dei ‘suoi ragazzi’ a Casalmaggiore negli anni ’80 ospitando due famiglie vietnamite nella vecchia struttura, allora in parte fatiscente e abbandonata, dell’ex collegio Don Bosco. Poi più tardi la casa dell’accoglienza che arrivò ad ospitare sino a 80 extracomunitari. In parte stanziali, altri presenti d’estate per le raccolte nei campi. Non sapeva dire di no. Nel 1999, per raggiunti limiti di età si era trasferito, dopo un periodo piuttosto burrascoso, a Bozzolo in Canonica, nonostante la richiesta, non esaudita, di passare la sua vecchiaia al Don Bosco tra i suoi ragazzi. Tre anni e dal 2002 poi alla Domus Pasotelli dove trovò la morte il 23 novembre del 2009.
Un uomo che aveva testimoniato il Cristo degli ultimi per tutta la vita. Povero tra i poveri, appassionato seguace di don Lorenzo Milani, Ernesto Balducci, don Tonino Bello, don Primo Mazzolari, affascinato dalla teologia della liberazione e dall’esperienza dei preti operai fu sempre prete scomodo. Una personalità – ed un carattere – non facile il suo. Nessun passo indietro non tanto sull’aspetto religioso – collaborò negli anni per la Casa dell’accoglienza con persone di varia estrazione e laici lontani dalla fede – quanto su quello umano. “Non mi importa da dove vieni – ripeteva spesso ai suoi volontari – non ho mai chiesto tessere a nessuno. A me interessa l’umanità”.
La sua era la chiesa dei poveri, degli ultimi, dei diseredati, dei malati, degli oppressi. Di tutti coloro che combattevano contro il potere dell’oppressione, del denaro, del capitalismo sopra ogni cosa. Lo si incrociava spesso a Casalmaggiore in sella alla sua vecchia bicicletta (gliene regalarono una nuova i suoi parrocchiani dopo una caduta quando ormai la sua non reggeva più e non era più possibile neppure ripararla), la veste logora e le scarpe rotte. A chi si preoccupava di come andava in giro ripeteva che c’era chi stava peggio di lui. Ogni persona che bussava alla sua porta in cerca di aiuto riceveva ascolto e spesso conforto. Morì povero tra i poveri, ricco solo della sua biblioteca in cui vi erano i testi raccolti in una vita dei suoi modelli.
Nei suoi scritti, nelle sue parole e nelle sue prediche don Primo e don Lorenzo erano citati spesso. Don Primo Mazzolari era il ‘maglio’ quando le critiche dell’abate dalle scarpe rotte erano indirizzate alla politica. A don Primo era vissuto fianco a fianco in giovinezza. “I politici, come mi diceva don Primo, andrebbero pagati a cottimo” soleva ripetere spesso quando le scelte della politica non corrispondevano al bene del popolo. “La coscienza non può abdicare interamente nelle mani di nessuna creatura, fosse il più grande degli uomini o il più santo” ripeteva citando quando le sue scelte non si ‘allineavano’ con le decisioni della curia.
Don Paolo Antonini fu l’unico parroco cremonese a rifiutare sprezzante, negli anni ’90 di contribuire alla raccolta di fondi per il restauro della torre del Duomo. “Fu un incontro burrascoso – ricorda chi lo aveva accompagnato a Cremona in quella riunione in curia – dopo che l’incaricato del vescovo spiegò delle esigenze del Torrazzo e del fatto che a quei lavori dovevano contribuire tutte le parrocchie, lui si alzò e rivolto a tutti disse che i soldi che raccoglieva nella parrocchia sarebbero andati ai poveri e che da Casalmaggiore, tramite lui, non sarebbe arrivato nulla. Poi si alzò nel brusìo generale e se ne tornò nella sua terra”. Nella predica della domenica successiva spiegò quella scelta con le parole di David Maria Turoldo, quelle di una Chiesa che avrebbe dovuto rinunciare alle cattedrali per farsi gente tra la gente.
Non c’erano solo i ragazzi extracomunitari nei suoi pensieri. Fu grazie anche all’opera di don Paolo che a Casalmaggiore videro la luce la Cooperativa Santa Federici (che si occupa di handicap), l’AVO (i volontari ospedalieri di cui era socio attivo, spesso in turno per le notti al capezzale degli ammalati) e che crebbe la San Vincenzo per l’aiuto alle famiglie bisognose della comunità. Era spesso accompagnato a Sospiro dove andava a trovare gli ospiti dell’allora istituto psichiatrico. Una parola ed una carezza anche a chi non lo conosceva o non lo riconosceva ed una preghiera di conforto insieme alle suore.
Uno spirito fiero, indomito e combattivo. Pronto sempre a pagare il prezzo della testimonianza, del non allineamento. ‘Esule’ a Bozzolo, nonostante la richiesta di rimenere come custode della Casa dell’Accoglienza che la curia non accolse, passò anni difficili a Bozzolo in cui – soprattutto quando i suoi ex parrocchiani ed i suoi ragazzi che nel frattempo avevano messo su casa lo andavano a trovare – piangeva per quella dimensione ‘contemplativa’ a cui era stato relegato, e non per sua scelta.
Qui in fondo riproponiamo il suo ‘testamento spirituale’, nella certezza che c’è chi ancora ricorda quella densissima lezione di umanità che don Paolo Antonini ha lasciato agli uomini.
“In questa giornata sacerdotale, scrivo il mio testamento spirituale, perché penso che questa di Bozzolo sia la mia ultima sede. Sono qui da pochi giorni con l’angoscia nel cuore perché ho lasciato, per obbedienza, la comunità di Santo Stefano in Casalmaggiore, ma soprattutto per essermi separato dagli ospiti della Casa dell’Accoglienza, quei sessanta extracomunitari che amo come figli! Chi mette mano all’aratro non deve voltarsi indietro, se lo faccio è solo per dare l’ultimo saluto ai fratelli di Breda Cisoni, il mio primo grande amore di novello sacerdote, ai fedeli di Gazzuolo e a tutti quelli che ho incontrato in tanti anni di ministero. Vorrei avere la fede di un santo per dire in questo momento, come se fosse l’ultimo della mia vita: “Questo è il giorno fatto dal Signore… rallegriamoci ed esultiamo”. Vorrei poter dire con i sentimenti di Gesù: “E’ giunta l’ora… e che dirò: Padre, liberami da quest’ora? Ma per questo sono venuto!”. Mi separo da tutte le persone che ho amato con due sentimenti: la tristezza per il distacco e la speranza di essere accolto dall’amore misericordioso del Padre con la stessa bontà testimoniata nella parabola del Prodigo, con la stessa carità che spingeva Cristo su tutte le strade a cercare i lontani. Chiedo ancora una volta a tutti: perdonate ogni mia colpa. Vorrei inginocchiarmi davanti alle persone che in tanti anni ho incontrato per una confessione generale. Consentitemi una piccola confidenza: spesso nel predicare ero “passionale”, ma era anche quella una maniera per dimostrarvi che vi volevo bene e per questo avrei voluto farvi crescere le ali per vedervi volare in alto, molto in alto. Adesso io non parlerò più a voi, ma parlerò di voi al Signore ogni giorno, tutto il giorno. In Paradiso si vive d’amore e dunque porterò con me la forza dell’amore, senza stanchezza, senza momenti di scoraggiamento. Così continuerò a farvi del bene, così ricambierò il tanto affetto che ho ricevuto. Avrei tante cose da dirvi, il cuore in questo momento è come un fiume in piena, solo questo allora: amate i poveri, i lontani, i giovani. In amore vivete in comunione e fate comunità. Sono questi i temi della mia predicazione e i punti forti della pastorale. Dove non c’è amore non c’è Dio, non c’è religione, non c’è Chiesa. Per il mio funerale: né fiori, né elogi. La tomba nella nuda terra, una croce, il nome”.
Nove anni fa, nell’esilio forzato di Bozzolo, si spegneva una parte della storia di Casalmaggiore e più in generale di questa terra. Il pastore degli ultimi che ancora vive nei ricordi di chi ha avuto il piacere – e ha fatto l’esperienza – di conoscerlo. Un uomo che ha testimoniato – sopra ogni cosa – la vicinanza alla gente. A quella comune, a quella di colore, a quella malata, senza distinzione alcuna.
Nazzareno Condina