Cronaca

Dal dolore alla gioia. KATANA, la stampella di Andrea Devicenzi nata per non porsi più limiti

Oggi c'è KATANA, e ci sono ulteriori studi in ballo per diminuire ancor di più la pressione sugli arti. Se ne stanno occupando e se ne occuperanno professionisti e studiosi, con calcoli della pressione degli arti

MARTIGNANA PO – Quel dolore intenso alle mani che non se ne andava via. Perché è lì che poggia tutto il peso del corpo per un amputato, è lì il vero problema da risolvere per chi come Andrea Devicenzi è da sempre portato a spingersi al limite, ed anche oltre. C’è un momento, nella vita di un atleta, in cui ci si accorge che il fisico e la mente hanno dato tutto quello che potevano e serve qualcosa in più: la tecnica che può dare una mano. Migliorare gli ausili per migliorare le proprie prestazioni. Fare in modo che l’asticella del limite possa essere spostata un po’ più in alto. Perché è brutto accorgersi di doversi fermare non per propri limiti, ma per i problemi ‘tecnici’ che sorgono dalle sollecitazioni.

E’ come quando, giunti quasi al termine di un lungo cammino, ti accorgi che sulla strada tra te e l’arrivo c’è una voragine. Ne hai ancora di benzina per raggiungere la meta, ma non lo puoi fare e non perché non lo vuoi, ma perché qualcosa ti impedisce di farlo. Serve un ponte. Un ponte che possa permetterti di superare l’ostacolo.

KATANA è nata così, dall’aver constatato che oltre non si poteva andare. Dal dolore e dalla sofferenza. Per un campione come Andrea, abituato a programmare tutto nel minimo dettaglio in ogni impresa doveva per forza esserci una strada – tecnica – per migliorare i propri limiti. Aveva programmato il cammino della via Francigena con una cadenza che era quella legata alle sue possibilità oggettive. Che, per un ex triatleta e conquistatore del Machu Pichu (solo due delle moltissime imprese portate a termine) erano comunque elevate. E’ stato triste il giorno in cui si è accorto che non ce la poteva fare per quel dolore intensissimo alle mani.

“Non ho mai sentito la fatica – ci raccontava qualche tempo fa – tanto da stupire le persone che mi seguivano. Ma il mio fisico è così. Ho bisogno di mettermi ogni volta alla prova, di dare tutto”. Sulla via Francigena lo ha aiutato la mente, ma c’è stato un momento in cui ha dovuto poi rallentare.

Oggi c’è KATANA, e ci sono ulteriori studi in ballo per diminuire ancor di più la pressione sugli arti. Se ne stanno occupando e se ne occuperanno professionisti e studiosi, con calcoli della pressione degli arti sulle manopole ed altre sperimentazioni. Si arriverà un giorno alle stampelle che consentiranno di scaricare lo sforzo non esclusivamente sulle mani. Katana è già una rivoluzione, un passo fondamentale da questo punto di vista. E’ nata dall’impegno di tanti e dagli infiniti test effettuati proprio da Andrea che l’ha sperimentata in gran segreto anche sui percorsi lunghi, apportando modifiche e migliorie che gli hanno consentito di presentare al mondo un ausilio davvero rivoluzionario.

Ha basi solide l’impresa di Andrea. Ha alle spalle tutta la sua esperienza straordinaria di dieci anni di scommesse vinte. Ma KATANA ha soprattutto un’anima. Che non è il carbonio, ma è la sua. Quella di un campione abituato a vincere e a dare tutto, sino all’ultima goccia di sudore. Abituato a non porsi limiti.

N.C.

 

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