Cronaca

Valentina Mozzi, intervista esclusiva dall'Uganda: "Qui 10 posti di Terapia Intensiva, ecco come reggiamo"

Quello di Valentina Mozzi, consigliere comunale classe 1984, è stato un arrivederci al consesso politico casalese, in attesa di tornare in Italia dopo un’avventura che indubbiamente la segnerà. Ed è qui che inizia la sua storia nella storia, raccontata anche dal Corriere della Sera nell'edizione di domenica.

GULU (NORD UGANDA) – Il suo saluto al consiglio comunale di venerdì sera è stato letto dai compagni di avventura politica, ossia dai consiglieri di Casalmaggiore la Nostra Casa. Quello di Valentina Mozzi, consigliere comunale classe 1984, è stato un arrivederci al consesso politico casalese, in attesa di tornare in Italia dopo un’avventura che indubbiamente la segnerà. Ed è qui che inizia la sua storia nella storia, raccontata anche dal Corriere della Sera nell’edizione di domenica.

“Sono partita il 17 febbraio per il Nord Uganda, per il distretto di Gulu – spiega Valentina contattata al telefono mediante una chiamata WhatsApp – e non so quando rientrerò. Sono infermiera a Guastalla, a metà marzo si era aperta una finestra per i trasferimenti in Italia e all’estero dall’Uganda e sono stata combattuta: per la prima volta l’Italia, e l’Europa, avevano forse più bisogno dell’Africa. Ma dato che qui i mezzi sono limitati ho pensato che due mani in più erano comunque più utili in Uganda. Se il Coronavirus dovesse colpire duro come in Italia, qui sarebbe davvero difficile rispondere. Dunque meglio preservare le forze, sperando non ce ne sia bisogno”.

Valentina era partita per scrivere la tesi del suo master dopo la laurea in Scienze Infermieristiche (lei ne ha già una in Statistica, poi si è reinventata a 27 anni nel percorso accademico) e inizialmente, prima che l’epidemia Coronavirus scoppiasse, doveva occuparsi del controllo qualità del St. Mary’s Hospital, ospedale privato ma no profit, fondato nel 1959 dai missionari comboniani e due anni dopo passato in gestione ai coniugi Piero Corti, pediatra italiano, e Lucille Teasdale, chirurgo canadese: un vero e proprio punto di riferimento per la zona. Con la Fondazione Corti, onlus di Milano, Valentina è arrivata in Africa. Per dare un’idea, in tutto il Nord Uganda, gli unici posti di Terapia Intensiva – appena dieci – sono al St. Mary’s. “Per fortuna non ne abbiamo bisogno, ad oggi – spiega Valentina – perché gli unici positivi, 15 in tutto, sono all’ospedale governativo di Gulu. Qui nessuno si muove, il lockdown è totale e rispettato. La paura di ebola, che qui ha colpito duro nel 2000, ha abituato le persone ad essere attente nel rispetto delle regole e delle misure igieniche di base, per quanto possibile, in attesa che la paura passi”.

Arrivata per scrivere la propria tesi, Valentina adesso aiuta nella gestione del reparto di Medicina riconvertito in Infettivi. “E’ straordinario vedere come questa gente, e questi medici e infermieri, con bassissime risorse riescano ad inventarsi cure e metodologie di approccio all’epidemia, imparando dal passato. In un contesto dove c’è poco, devi comunque ricercare la qualità e spesso sono queste le situazioni che ti insegnano di più: per esempio cercare di capire come garantire igiene e sterilità degli strumenti, cavandotela anche con poco a disposizione. E qui ci sono riusciti. E’ uno scambio bellissimo: tu porti qualcosa del tuo percorso e loro ti insegnano molto di più. Questo ospedale ha 750 dipendenti, si fa formazione in un polo che richiama medici, infermieri, tecnici di anestesia e tecnici di radiologia da tutto il paese e soprattutto dall’estero. E sono 250mila l’anno i pazienti seguiti. Spesso le riunioni sono all’aperto, alla giusta distanza, in piccoli gruppi. Per me è la prima esperienza in Africa, faccio parte della Covid Treatment Unit, ovviamente non ero partita con questo scopo, ma l’evoluzione della situazione lo ha imposto: la standardizzazione dei protocolli di emergenza ha scavato sicuramente nell’esperienza pregressa delle grandi epidemie e, in parte, pure nel background che qualche medico e infermiere ha portato dall’Europa. Pure io mi sto dando da fare: c’era sicuramente bisogno di supporto”.

Valentina è rimasta colpita dalle mascherine colorate prodotte dalle sarte locali. “Qui il colore è un fattore culturale: e infatti queste mascherine cucite dalle sarte sono un vero e proprio arcobaleno, che nella paura mette un po’ di allegria e dà speranza. Tutto aiuta dal punto di vista psicologico, anche questo. E rinfranca vedere i giovanissimi che ci notano mentre andiamo in ospedale e ci salutano: il loro sorriso si intravede dietro la mascherina. Ai bambini piccoli, invece, facciamo un po’ paura, ma è normale. E’ una questione di percezione, anche fisionomica”.

Un parallelo con la Sanità italiana? “In questa realtà di profonda povertà risalta ancora di più l’importanza di una sanità equa e accessibile a tutti, soprattutto in situazioni di emergenza. Quello che sta accadendo in alcuni sistemi sanitari dell’occidente evoluto è l’esempio lampante di come un sistema prevalentemente privatistico della salute rischi di ledere i diritti fondamentali dell’uomo. Poco prima di partire, con il gruppo consiliare d’opposizione (Casalmaggiore la Nostra Casa, ndr) avevamo convocato un consiglio comunale straordinario proprio invitando l’assessore Gallera affinché fornisse risposte in merito al continuo depotenziamento dell’ospedale Oglio Po. Oggi, dopo questa esperienza, mi sento ancora più convinta nell’affermare la centralità degli ospedali territoriali come centri per la gestione di situazioni emergenziali, oltre a fornire i servizi essenziali alla popolazione. Oglio Po infatti è diventato centro COVID, e tutti gli operatori si sono dimostrati competenti e dediti a questa difficile sfida. La sanità in Lombardia è di qualità perché è la passione, l’impegno e la competenza di tutti i professionisti che rendono questo possibile ogni giorno, e non la mercificazione delle prestazioni”.

Quanto è diversa la vita in Uganda? “Dire tanto sarebbe banale. Ma credo che, più di tutto, la reale distanza sia nell’approccio alla vita. Qui non si stressano e non c’è conflitto sociale. Quando questo si sfoga, purtroppo diventa guerra civile. Eppure ho notato tanta cordialità nel rapporto con le persone: io sono inserita nella comunità Acholi, dove è inserito l’ospedale e che arriva fino al confine col Sud Sudan. Sono persone gentili ed educate: la mattina, anche se non ti conoscono, ti danno il buongiorno e ti salutano. Sono abituati agli stranieri e sanno che la nostra presenza è legata all’ospedale e alla volontà di essere di supporto”.

L’Uganda ce la farà? “Il lockdown è partito il 25 marzo, già prima però nessuno si muoveva. I casi sono stati importati, per così dire, da camionisti in arrivo da Kenya e Sud Sudan. Qualche problema in più si è verificato invece in Congo e Tanzania, non lontano da qui. La chiusura rispettata da tutti e il fatto che ogni singolo caso sia stato subito tracciato e controllato nei suoi contatti, sta aiutando non poco. Dopo l’esperienza di Ebola, qui hanno imparato a effettuare studi epidemiologici approfonditi, che consentono di verificare dove il malato si sia spostato: il discorso è più semplice nelle grandi città e meno nei villaggi, difficili da controllare, ma per il momento sta andando bene. Dobbiamo tenere duro, perché se il virus dovesse colpire seriamente, qui sarebbe una tragedia umanitaria per le poche risorse a disposizione, anche se la Fondazione Corti ha destinato dei fondi d’emergenza proprio per supportare l’ospedale in questa fase. Dal punto di vista del rispetto delle regole, va detto che questo popolo è stato purtroppo a lungo abituato alla privazione della libertà e soprattutto a gestire momenti di sofferenza: questo, paradossalmente, è venuto in soccorso in tali momenti d’emergenza. Non si tratta comunque di una accettazione a cuor leggero: qui se la gente non va a lavorare, rischia davvero di morire di fame”.

L’augurio di Valentina quale è? “La speranza è che l’Occidente impari ad empatizzare con questi Stati, che di epidemie come il Coronavirus ne affrontano purtroppo molto spesso, dall’ebola, al colera, alla malaria. A volte un piccolo contributo fa una differenza enorme e ora che pure noi occidentali abbiamo vissuto il virus sulla nostra pelle, forse possiamo rendercene conto. La Fondazione Corti ha aperto una sezione sul sito dove è possibile donare (https://fondazionecorti.it/cosa-puoi-fare-tu/scegli-come-sostenerci/) e anche col 5×1000 è possibile dare una mano. Io dovevo tornare a metà maggio, dopo tre mesi circa. Non l’ho fatto a marzo, perché ho sentito che c’era ancora bisogno di me qui. Il 6 giugno ci sarà una nuova direttiva presidenziale e forse apriranno una finestra per i rimpatri, nel frattempo ho dovuto estendere l’aspettativa dal lavoro: all’ospedale di Guastalla, uno di quelli riconvertiti alla cura del Covid-19 in Italia, sono stati molto comprensivi”.

Giovanni Gardani-Nazzareno Condina

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