Ambiente

Martignana di Po, i filari di piante e le cascine perse tra le nebbie. Il mondo che si spegne

Qualche piccolo, minuscolo progetto. Importante, meglio del niente, un piccolo segnale di vita. Ma l'impressione resta quella del valzer dell'orchestrina del Titanic, mentre la nave affonda.

MARTIGNANA DI PO – “Vedi qui, un tempo c’erano filari di piante lungo i fossi, c’erano cascine che non ci sono più. Oggi guardare la golena è cercare spazi di un tempo e spesso non trovarli. Li ricordo tutti, ricordo le piante e le cascine. Da bambini ci divertivamo a venire qui…”. E’ venuto con la moglie a scattar foto C.F., viveva qui a Martignana da bambino, qui dove gli spazi oltre l’argine si equivalgono a quelli al di là, dove sorge il paese. Veniva a piedi o in bicicletta, avventuriero come ogni ragazzino che si inoltra alla scoperta del mondo che è fuori dalla porta di casa. Oggi vive a Casalmaggiore, città dove ha anche lavorato sino alla pensione. Ma questa terra è la sua terra, c’è anche un poco dei suoi ricordi e della sua anima.

Un tempo c’erano piante, e c’erano cascine. C’erano budri e c’erano fossi ampi, e filari di piante. C’erano canali e lanche, Qualche cascina è rimasta, fantasma tra le nebbie, ormai disabitata. Poco altro. Nelle settimane scorse l’unica sterrata che conduce a fiume è stata un via vai di mezzi pesanti. E’ giunto il tempo in cui anche i pioppeti vengono tagliati. Spesso, insieme a loro, anche piante diverse.

Il sindaco Alessandro Gozzi in golena c’è spesso. Avanti e indietro, lo si può incontrare sul far della sera. Nell’area dove sorge la piccola costruzione dove fu girata una scena di ‘900 (quella della polenta e dell’aringa appesa al centro di un poverissimo tavolo, aringa utilizzata per strofinarci la polenta e per darle un po’ di sapore) c’è un progetto del Rotary che viene avanti. Preserverà (forse) una delle poche aree umide e boschive rimaste. Una riserva indiana nell’infinita distesa di campi. Servirà a poco (o niente) come quelle riserve indiane che servono a conservare un po’ di memoria tra due infiniti nulla. Sino all’estinzione.

Le autorizzazioni a ‘marcare’ pesantemente la golena arrivano dalla regione, o dalla provincia. E i comuni spesso non possono farci nulla. La prima, la regione, ente lontanissimo da un qualsivoglia intento di preservazione ambientale, la seconda ente non sempre interessato (ci piacciono gli eufemismi) a ‘prendersi cura’ dell’unico patrimonio inestimabile di questa terra appoggiata al fiume, delle terre di mezzo sempre in equilibrio tra le acque e la loro assenza, assenza che è presenza sempre.

La golena è terra di sfruttamento. Sino all’ultimo centimetro perché anche tre pannocchie in più fanno numero. Lo vedi osservando le strade: l’aratura è sempre più in prossimità della strada, osservando attentamente in alcuni tratti si nota come il ciottolato del fondo stradale si mischi alla terra arata. E poco importa che, arrivando alla curva a gomito che porta da una parte alla Cascina San Giorgio e dall’altra, dopo lo scavallamento dell’arginello, direttamente a fiume e guardando a destra verso il Casalasco lo sguardo si perda senza incrociare la sagoma di una pianta. Non era così un tempo. E’ così oggi.

E’ così oggi, tempo in cui fare i conti con una golena sempre più impoverita, sempre più spoglia, sempre meno tutelata. Una golena che nessun progetto, nessun MAB Unesco, nessun manifesto, nessuna associazione di piccoli indiani salverà dal proprio destino, tra sindaci soli che si barcamenano nella tutela di piccole aree consapevoli di poter incidere poco o nulla su quelle più grandi, tra province che sopravvivono a loro stesse, che non hanno che tre guardie in croce, poca forza e poca intenzione di agire nelle terre di confine e tra regioni per le quali la golena è solo terra di fiume che neppure conoscono, terra di sfruttamento e nulla più.

Qualche piccolo, minuscolo progetto. Importante, meglio del niente, un piccolo segnale di vita. Ma l’impressione resta quella del valzer dell’orchestrina del Titanic, mentre la nave affonda.

“Ricordo una cascina con un’ampia scalinata dove andavamo da bambini” ci racconta C.F. E’ solo un ricordo, un fantasma tra i fantasmi seppellito laggiù, in un qualche dove, da un pezzo di terra in più in cui piantar la soia. Come in un B-Movie horror, riemerge nei suoi pensieri dalla terra, braccia verso il cielo, per entrare nei nostri e poi in quella terra tornare, parte di un ricordo che scomparirà tra le nebbie.

Non quelle reali, quelle d’autunno in cui ci si perde. Ma quelle più pesanti, più profonde. Quelle in cui tutto si cancella con lo spegnersi della memoria. Curiamo piccole ferite, mentre esaliamo ultimi respiri. La golena muore un po’ di più ogni giorno. E nessuno – purtroppo – è destinato a raccoglierne il grido di dolore.

Nazzareno Condina

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