Cronaca

L'ospedale di frontiera:
Oglio Po, un anno cruciale

Questo sarà un anno importante. Non per il punto nascite purtroppo: per quello, visto il disimpegno della politica ad ogni livello (fatti salvi i sindaci e pochi altri cani sciolti che almeno, seppur magari un po' tardi, ci hanno provato) è e resta una chimera

Non siamo previsti come luogo dove nascere ancora. Non siamo terra di cui tener conto, né a Milano né tantomeno a Roma dove la questione resta impantanata da tempo, tra una bozza di revisione del DM 70 che non prevede alcuna riapertura di punti nascita già chiusi e tra l’incapacità della classe politica (di ogni colore, perché ogni colore ha retto le sorti di questo dannato paese) di rivedere i parametri per mantenere aperto un punto nascita vista anche la denatalità degli ultimi anni.

La sentenza del Consiglio di Stato è probabilmente la pietra tombale del Punto Nascite Oglio Po, ma non è una sentenza inattesa. In fondo non dovrebbe essere una corte, un consiglio, un tribunale a cambiare le cose: dovrebbe essere la politica a farlo. Dovrebbe essere chi le regole le scrive a scriverle in maniera logica, in maniera non penalizzante e neppure discriminante per i territori di frontiera. E non è così. A Casalmaggiore si nasceva in assoluta sicurezza, a memoria di cronista non ricordo di una segnalazione in cui le cose sono andate male. Ricordo elogi, ricordo parti non sempre semplici, ricordo personale assolutamente straordinario in quanto a competenza e umanità. Ricordo i primi dell’anno da cronista, con mamme e papà e piccoli pargoli a farsi una foto, come primo o ultimo nato a cavallo dell’anno che iniziava. E quel vetro che ci separava dalla grande bellezza di una vita – o più d’una – che si affacciava al mondo.

In questo Natale che è giorno – per chi crede – di venuta al mondo in fondo è la cosa più triste pensare che l’ospedale, il nostro ospedale, l’ospedale di tutti non ha più un reparto in cui si viene al mondo. Ha reparti in cui ci si cura, in cui qualche volta si muore e tante altre ci si prodiga per salvarci e ci si riesce. Ma non ha più un reparto in cui si nasce. Un ospedale dove non si nasce è un ospedale in cui si è perso qualcosa di importante e unico. Una natività, l’unica tangibile perché quella di dio – ammesso che un dio esista – è una celebrazione. Che tutti festeggiamo, che tutti, dal cittadino più sconosciuto al primo ministro festeggiano ma che non riusciamo a festeggiare nell’unica maniera degna di un paese civile e normale. Rendendo la natività un quotidiano, in una struttura che questo ha sempre fatto.

Questo sarà un anno importante. Non per il punto nascite purtroppo: per quello, visto il disimpegno della politica ad ogni livello (fatti salvi i sindaci e pochi altri cani sciolti che almeno, seppur magari un po’ tardi, ci hanno provato) è e resta una chimera. La questione più importante è quell’aggiornamento al DM 70, e dipende dalle stanze romane. Al momento è una bozza, già più volte criticata, che probabilmente andrà ridiscussa e ridefinita non nell’ottica di un depotenziamento delle strutture ospedaliere, semmai in senso contrario.

Gli ospedali di frontiera, tanto quanto i nosocomi maggiori, sono stati fondamentali anche durante la pandemia. Dovranno continuare ad esserlo. E per esserlo dovranno aumentare le loro possibilità operative, non certo ridurle. Sarà un anno importante in cui andranno riviste e preservate tante cose. Per quanto riguarda Oglio Po non solo il cappotto esterno, ma anche quello che c’è internamente. Altra strada non c’è. Il rischio è quello di perdere ancora terreno, e servizi, o di vederli ridotti ulteriormente. L’Oglio Po – anche in questo caso a prescindere da quello che sarà del nuovo ospedale a Cremona – non può più permetterselo. E non possono permetterselo i cittadini tutti che hanno necessità di una struttura che continui ad operare al meglio.

N.C.

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