Politica

Diritti, libertà e meno Stato: l'analisi
di Gianni Fava in vista del voto

"Lo spazio politico c’è e la gente che aspetta di poterlo riempire col proprio voto anche. Per ora mancano i contenitori. Vedremo se i prossimi due mesi saranno sufficienti per convincermi a tornare alle urne. Mi dispiacerebbe molto il contrario, ma non mi sento un montanelliano in questa fase. Non ho intenzione di turarmi ancora il naso!".

E’ un’ampia analisi, quella pubblicata su “La voce del Nord”, da parte di Gianni Fava, che non è più (salvo sorprese) in primissima linea nella politica nazionale, ma segue comunque con interesse gli sviluppi. Avendo dalla propria una conoscenza della materia, che affonda le sue radici nella lunga militanza nella Lega Nord, ormai slegata – secondo Fava – dai contenuti proposti dalla Lega attuale.

“In queste convulse giornate – spiega Fava – in cui la politica contemporanea ha mostrato tutti i propri aspetti più deleteri, fra gli appassionati di politica vera regna lo sconforto. Sono stato sommerso di messaggi (e ringrazio tutti comunque) dopo aver pubblicato il testo di “E tu stato” di Giorgio Gaber. Messaggi giunti da decine di persone quasi sorprese di tanta geniale spontaneità. Tutto questo mi è servito per ritrovare le regioni che mi spinsero a fare politica ormai trent’anni fa. Un amico è riuscito perfino ad inviarmi un video di quella performance che servì a darmi le giuste motivazioni per l’impegno. Era il 1992 (ebbene sì! 30 anni fa esatti) e Giorgio Gaber si esibì a teatro a Reggio Emilia con uno spettacolo favoloso dal titolo “Teatro Canzone”.

Ero poco più di un ragazzo che si stava appassionando al messaggio federalista e liberale della Lega Nord. Quella di Bossi. Quella vera! Quella che era nata per cambiare lo stato e contro lo stato. E le Parole di Gaber catturarono la mia attenzione con modalità ipnotiche:

E tu, Stato 
e tu, Stato 
che tu sia ministro, politico o magistrato

o al limite impiegato
 comunque pagato inevitabilmente coi soldi
del contribuente
 cioè dalla gente.

 E tu, Stato
 che ci chiedi aiuto
e che ci corteggi
 coi tuoi soliti imbecilli
 che passano per saggi.


E tu, Stato
 che hai sprecato, hai sperperato, hai gozzovigliato

pubblicamente mi hai rovinato
 che se un giorno mi nasce un figlio,
povero figlio
 è già indebitato.



E tu, Stato
 così goffo e impacciato

che continui a fare i tuoi soliti giochi di potere
 davanti ai cittadini un po’
imbarazzati 
che si domandano stupiti
 perché non sciolgono i partiti.


E tu, Stato 
così contorto, complicato
 che per riempire un modulo,
una scheda, un tabulato
 bisogna essere dei maghi
 è quasi come fare
un cruciverba
 di Bartezzaghi. 



E tu, Stato 
così preciso e protocollato 
che per avere un passaporto,
un permesso, una licenza 
si sbaglia sempre
ufficio 
c’è sempre
un’altra stanza 
e se non ci hai un amico o qualche
conoscenza
stai fermo per tre giri e torni al punto di partenza.



E tu, Stato
 che tu sia dottore che tu sia ingegnere o anche avvocato

s’intende dello Stato
 che dopo anni di lavoro serio
 e ore e ore di straordinario

hai risolto scientificamente il sistema più efficiente 
per non far funzionare niente.



E tu, Stato 
così incosciente e disgraziato
 così compromesso,
così invischiato
 e se ancora qualcuno un po’ ingenuo si chiede chi è stato

ma come chi è stato? Lo Stato!

 E tu, Stato 
ti vedo un po’ ammosciato

perdi i colpi, te la vedi brutta 
sei, come dire, un po’ alla frutta
 nel senso
che ormai la gente normale 
da un punto di vista morale
 ha assai più
rispetto per un travestito o uno spacciatore
 che per un assessore.



E tu, Stato
 che ti sei sorpreso, ti sei scandalizzato 
per tutti quelli che han
rubato
 che per farcelo vedere
 hai riempito le galere delle tue pecore
nere
 e noi che lo sappiamo
lo possiamo indovinare come va a finire
perché è una cosa delicata e dolorosa 
per cui fra poco 
tutti a casa.
E tu, Stato
 così giusto e imparziale 
col tuo onesto sistema fiscale
s’intende demenziale
 che affronti i problemi più urgenti
 con tasse
nuove
 geniali e stravaganti
 ancora non mi è chiaro
 cosa ci fai del
mio denaro 
non vedo né ospedali, o tribunali
 ma solo allegri e
spiritosi 
i servizi sociali
 generalmente 
se uno paga e non ha indietro
niente
 se non è proprio idiota
 rivuole indietro la sua quota.



E tu, Stato inginocchiato e impaurito
 sempre più incerto e cupo
 che gridi
disperato ‘al lupo! al lupo!’
 sempre più depresso, sempre più codardo 
te la sei
fatta addosso
 per colpa di un balordo lombardo.
 E tu, Stato
 che tu sia ministro,
politico o magistrato 
ci avete castigato 
mettendoci di fronte 
ad una tragedia
inaspettata e sconvolgente 
e noi che lo vediamo 
come vi agitate per far pagare
a noi
 quarant’anni di cazzate.
 Ma la sola vera riforma delle
istituzioni
 è che ve ne andiate tutti fuori dai coglioni.”

Ecco la declinazione culturale di in pensiero politico che mi aveva affascinato. In queste parole c’erano le ragioni di una scelta decisa di campo. Il passaggio poi che tagliò la testa al toro fu la parte più irriverente della canzone nei riguardi proprio di Umberto Bossi che ne certificava la forza politica:

“E tu, Stato 
inginocchiato e impaurito
 sempre più incerto e cupo

che gridi disperato ‘al lupo! al lupo!’
 sempre più depresso, sempre
più codardo 
te la sei fatta addosso
per colpa di un balordo lombardo”.



Già ! Il “balordo lombardo”. L’unico della storia di questo sciagurato paese ad essere riuscito realmente a spaventare lo “stato” nelle sue articolazioni più conservatrici ed illiberali.  Bastava questo per capire la forza dell’uomo e del suo messaggio. E dovrebbe bastare anche per comprendere il senso di frustrazione che avverto dopo aver lottato civilmente per trent’anni contro questo stato e scoprire che tanti dei miei compagni di viaggio in questa storia oggi chiedono “più stato”.

Al pari di post fascisti e post comunisti, anche i post leghisti contemporanei chiedono a gran voce l’intervento dello stato su quasi tutte le questioni che riguardano la società. Uno stato che dirige l’economia, che si occupa dell’etica stabilendo cosa sia giusto e sbagliato a prescindere dal merito, dalla libertà e spesso da decenni di conquiste sociali. Uno stato che interviene nello sport e nella cultura e perché no che possa intervenire sopperendo alle carenze dei cittadini stessi, spesso create da quest’ultimi impunemente. 
Uno stato che distribuisca reddito, pensioni, sanità a sbafo per cittadini con tanti diritti e nessun dovere.

Uno stato che controlla tutte le attività del cittadino come minimo valore di scambio in virtù delle prebende restituite. In poche parole tutto il contrario di quello per il quale ho sempre lottato e che avrà l’effetto di relegarmi  d’ufficio nel novero della maggioranza silenziosa ormai dedita in modo rassegnato alla democratica pratica del non voto. E allora mi sono posto il problema di capire se esistesse la possibilità di svolgere l’esercizio al quale sono abituato da decenni. Ci sarà qualcuno da votare che voglia vivere come me in un paese libero, liberale, laico aconfessionale e federalista? Un paese dove le autonomie possano essere esercitate non come un privilegio ma come un diritto? Un paese dove chi produce abbia titolo per essere
Rispettato e chi lavora altrettanto? Un paese che non abbia 5 milioni  e mezzo di dipendenti pubblici e una popolazione inattiva di gran lunga superiore a quella attiva?

Di sicuro con le ricette dei partiti che vanno per la maggiore le mie sono aspettative da squilibrato.
 Qualcosa si sta muovendo all’orizzonte però e vedremo se ci saranno i tempi affinché si materializzi una proposta seria e fuori dagli schemi che vada nella direzione auspicata. Lo spazio politico c’è e la gente che aspetta di poterlo riempire col proprio voto anche. Per ora mancano i contenitori. Vedremo se i prossimi due mesi saranno sufficienti per convincermi a tornare alle urne. Mi dispiacerebbe molto il contrario, ma non mi sento un montanelliano in questa fase. Non ho intenzione di turarmi ancora il naso!”.

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