Cronaca

Nelle terre Emiliane di Verdi e del
Po: viaggio tra luoghi dimenticati

mi ha rallegrato sapere che l’attuale ministro della cultura, in modo tempestivo, concreto ed efficace (contrariamente a quanto avrebbero fatto molti altri al suo posto)

Non è un mistero il fatto che, ad oggi, non esiste un solo partito che mi possa anche vagamente rappresentare. Dovrei farne uno tutto per me e, siccome non servirebbe a nulla, tanto vale non farlo e restare perennemente ai margini. Non ho intenzione di candidarmi da nessuna parte e so che se questo dovesse accadere probabilmente sarei il primo individuo al mondo a non prendere un solo voto, nemmeno il mio (sarei capacissimo di non votarmi): anche questo, tutto sommato, sarebbe un record. Non sarei nemmeno tagliato per fare il politico: non ho la pazienza necessaria; detesto riunioni, conferenze, convegni e tutti quei luoghi dove si parla troppo e non si combina nulla. Così come detesto le città e i luoghi affollati; preferisco una giornata sullo spiaggione o in un pioppeto del Po, o addentrarmi in una vecchia corte abbandonata, piuttosto che trovarmi in qualche posto pieno di persone dove, magari, dovrei pure indossare abiti che mai porterei (giacche e cravatte non li indosso per nessun motivo e in nessuna occasione).

Tuttavia, qualche volta, tra una camminata e l’altra lungo le golene del fiume, mi chiedo: cosa farei se ricoprissi un determinato ruolo? In questi giorni mi sono chiesto, cosa farei se fossi disgraziatamente ministro? Una cosa è certa, mai e poi mai vorrei che, durante una visita in qualsiasi posto, mi venisse proposto un “pacchetto preconfezionato” di luoghi da vedere, con tanto di codazzi al seguito. Sarei convinto, a priori, del fatto che, chiunque, mi farebbe vedere ciò che fa comodo, nascondendomi ciò che può dar fastidio. Del resto, guarda caso, rifuggo anche i viaggi organizzati. Se voglio viaggiare mi organizzo per conto mio e decido io cosa vedere, quando vederlo e come vederlo e, soprattutto, perché vederlo. Quindi, decisamente, no: mai potrei fare il ministro.

Tuttavia mi ha rallegrato sapere che l’attuale ministro della cultura, in modo tempestivo, concreto ed efficace (contrariamente a quanto avrebbero fatto molti altri al suo posto) si è attivato per la ormai arcinota vicenda legata al destino di Villa Verdi di Sant’Agata, patrimonio assoluto dell’identità e della cultura italiana. E’ altrettanto e oltremodo soddisfacente sapere che ha colto l’occasione per visitare alcuni altri luoghi verdiani del territorio.

Dando per assodato e per scontato che, coloro che lo hanno accolto e accompagnato, gli abbiano illustrato dettagliatamente la situazione dei luoghi legati alla memoria del maestro Verdi, è giusto, anche per i lettori, fare una panoramica di quanti e quali luoghi oggi sono inaccessibili e, invece, potrebbero essere parte integrante di un vero e proprio itinerario verdiano a cielo aperto tra le terre parmensi e piacentine. Ci sono anche situazioni al limite del paradosso, altre avvolte dal mistero: del resto in Italia non ci si deve stupire di nulla.

Giusto allora andare per ordine e rimanere, subito, nelle immediate vicinanze di Villa Verdi e provare a elencare questi luoghi, alcuni dei quali irrimediabilmente persi.

OSPEDALE “GIUSEPPE VERDI” (VILLANOVA SULL’ARDA): voluto e finanziato dal Cigno di Busseto per dare assistenza ai malati indigenti che abitavano nelle campagne circostanti. “I poveri ammalati di questo comunello non hanno altro ospedale che quello di Piacenza, città distante 34 o 36 chilometri: e questi poveretti la maggior parte, muoiono per istrada. Un giorno, parlando col Sindaco di queste miserie, dissi che avrei pensato io a costruire qualche locale, un ricovero, qualche cosa infine per essere utile a questi infelici”: così scriveva Verdi all’amico Giuseppe Piroli, senatore del Regno d’Italia, nel dicembre del 1882. L’ospedale fu studiato secondo criteri d’avanguardia; Verdi, col piglio risoluto che gli era proprio, partecipò alla progettazione dell’edificio e alla scelta di arredi e strumentazioni. Il taglio del nastro avvenne il 5 novembre 1888, alla presenza del compositore, della moglie Giuseppina Strepponi e di pochi intimi. Nonostante il martellamento della stampa, il maestro volle un’apertura il più possibile sobria: “l’inaugurazione, come la bramo io, è la seguente. Consisterà nell’ammissione dei primi dodici infermi. E basta. Non si convengono inutili cerimonie per un luogo di dolore”. Parole che, chi scrive queste righe, condivide pienamente apprezzando ancora una volta lo straordinario spessore umano, morale e la concretezza di quello che è da considerare non solo un maestro per le sue eccezionali composizioni musicali, ma anche e soprattutto un maestro di vita e di sensibilità. Oggi l’ospedale da lui voluto e fondato è chiuso, l’unità spinale che ha ospitato per anni è stata trasferita altrove e le strutture adiacenti sono state destinate a diventare sede del Centro Paralimpico del Nord Italia (con buona pace delle volontà testamentarie del maestro). Ironia della sorte, la piscina del Centro paralimpico di Villanova doveva essere conclusa entro il 24 maggio 2022. Così non è stato perché il progetto di trasformare l’ex ospedale Giuseppe Verdi in una struttura polifunzionale sportivo-sanitaria di riferimento del Nord Italia, proposto (con tanto di protocollo d’intesa datato 2019) da Regione Emilia Romagna, Ausl di Piacenza e al Comune di Villanova sull’Arda in accordo con il Comitato italiano paralimpico, (con finanziamento di dieci milioni di euro), si è di fatto arenato e i lavori sono fermi dopo che Ausl ha revocato l’incarico alla ditta che svolgeva i lavori parlando di inadempienze gravi e ripetute. Si dice che “chi vivrà, vedrà” e allora staremo a vedere gli sviluppi della telenovela. Nel frattempo si è sgretolata, sulla facciata del vecchio ospedale, la scritta “Ospedale Giuseppe Verdi”, sostituita con un semplice striscione. Troppo difficile ripristinare quella in muratura? Lo striscione (comunque l’emblema di una situazione generale non soddisfacente) è temporaneo o è la soluzione definitiva?

MULINO DEL CASTELLAZZO (VILLANOVA SULL’ARDA): qui la domanda sorgerebbe d’obbligo: volete diventare proprietari di un luogo verdiano per la modica cifra di 20mila euro? Eccovi serviti. Ad una manciata di chilometri dalla Villa del maestro, spicca ciò che rimane (e bisogna proprio evidenziarlo) dello storico mulino appartenuto al Cigno di Busseto che, come noto, era anche un importante imprenditore agricolo. Il mulino, abbandonato e fatiscente da anni, è finito all’asta e, come si legge anche nell’avviso dell’asta stessa, l’edificio, un tempo appunto adibito a mulino (ex Mulino Verdi), attualmente “è in pessime condizioni di manutenzione aggravate dallo stato di abbandono, con gran parte degli orizzontamenti crollati ed anche le murature parzialmente in rovina, così come il porticato ormai completamente crollato”. In passato si era parlato, più volte, della possibilità di un suo recupero, ma non se ne è mai fatto nulla, ed ora è oggetto di un’esecuzione immobiliare del Tribunale di Piacenza. Spostandosi quindi in terra parmense, a Busseto ed a Roncole Verdi, non è che la situazione migliori molto e l’elenco delle desolazioni continua:

PALAZZO ORLANDI: nel pieno centro di Busseto spicca questo immobile costruito in forme neoclassiche dall’architetto-pittore bussetano Giuseppe Cavalli, cui si deve anche la decorazione del salone. Verdi lo acquistò agli esordi della propria fortuna economica, nel 1845, e qui convisse dal 1849 al 1851 con Giuseppina Strepponi, generando (come noto) lo scandalo dei benpensanti e un momentaneo offuscarsi dei rapporti con Antonio Barezzi. Qui il Cigno compose le opere Luisa Milier, Stiffelio e Rigoletto. Nel gennaio 1867 vi morì suo padre, Carlo Verdi. Esattamente dieci anni fa, alla fine del 2012, gli eredi della famiglia proprietaria decisero di vendere l’edificio, che, ormai bisognoso di significativi restauri, fu acquistato dalla Siae attraverso il suo fondo immobiliare Norma di Sorgente Group, con l’intenzione di ristrutturarlo e realizzarvi un centro dedicato alla musica, con scuola e residenze. Ad oggi tutto tace , il palazzo è chiuso e di eventuali lavori, per ora, non si vede nemmeno l’ombra.

MUSEO NAZIONALE GIUSEPPE VERDI: realizzato all’interno della monumentale Villa Pallavicino, chiuso a causa della pandemia, non ha mai più riaperto i battenti ed è noto che è in corso un contenzioso fra il Comune di Busseto e la società che gestisce il museo. Contenzioso che ha percorso ben tre amministrazioni e che ad oggi nessuno è riuscito a risolvere bonariamente, rendendo per altro e purtroppo inevitabile il ricorso alle vie giudiziarie. La stessa Villa Pallavicino, in passato, per tanti anni, è stata sede di un interessante Museo Civico (che forse avrebbe meritato altra considerazione), a sua volta finito nel nulla, con parte dei suoi cimeli finiti in altre sedi locali.

CHIESA DI SAN MICHELE IN RONCOLE VERDI: è quella in cui il maestro venne battezzato ed in cui si trova l’organo sul quale iniziò il suo percorso musicale. Ricca di affreschi e dichiarata monumento nazionale nel 1901, il maestro vi fu battezzato nel 1813 e dieci anni dopo nominato organista iniziando, di fatto, la sua carriera fino a diventare il musicista e compositore italiano più celebre di tutti i tempi. L’organo Bossi del 1797 fu restaurato da Verdi a sue spese un anno prima della morte. A causa dei suoi problemi strutturali, il sacro edificio è chiuso dal 2020. Ci sono già stati lavori grazie all’impegno, soprattutto, di Diocesi di Fidenza e Parrocchia ma, ad oggi, la chiesa è comunque chiusa per inagibilità e una sua riapertura non sembra poi così vicina. La sua chiusura ha destato lo scandalo, tra gli altri, del maestro Riccardo Muti e numerose sono già state le iniziative, pubbliche e private, per reperire fondi. C’è solo da sperare che i problemi strutturali vengano risolti e la chiesa possa tornare alla sua piena fruibilità (anche turistica), ma ad oggi è desolatamente chiusa e, a peggiorare le cose, ci ha pensato, il 4 luglio scorso, durante un temporale, la caduta di un albero che ha seriamente danneggiato parte della facciata.

SANTUARIO MARIANO DEL SANTO NOME DI MARIA IN MADONNA PRATI: l’edificio religioso, luogo che ha avuto tra i suoi più insigni pellegrini Giovannino Guareschi e Giuseppe Verdi (che vi si recava da giovane, tutte le domeniche, per accompagnare il canto dei Vespri), noto anche per la celebre vicenda del “fulmine” di Verdi, è chiuso da anni, per inagibilità a causa di un danno che ha riguardato le coperture. Da pochi mesi sono finalmente iniziati i lavori di sistemazione e riqualificazione grazie all’impegno di Soprintendenza, Diocesi di Fidenza, Parrocchia e Comune di Busseto per l’avvio dei lavori. Che, si spera, possano concludersi presto e il santuario diocesano possa tornare alla sua piena funzionalità.

CHIESA DI SANT’ANNA – BUSSETO: questa, va evidenziato subito, non può essere propriamente considerata un luogo verdiano anche se pare che il maestro, in qualche occasione, vi abbia suonato. Di certo, a differenza nostra, l’ha vista integra e funzionante. Oggi l’edificio, di proprietà comunale, è in condizioni di assoluta fatiscenza, chiuso, abbandonato e pericolante da anni. Non resta traccia, purtroppo, della volta che era stata affrescata dal pittore e architetto Cesario Fellini, nato a Busseto il 21 aprile del 1876, Cesario Fellini si trasferì a Massa ai primi del ‘900, impiegandosi come insegnante nell’Istituto d’arte e iniziando un’intesa attività nel campo della progettazione sia pubblica che privata, contribuendo a definire il volto della città di Massa e della vicina Marina, con villini e hotel sul lungomare di gusto liberty , tra cui citiamo l’Hotel Italia (1920-22), e in località Bondano, l’imponente Villa delle Piane (1920-27). A Massa si devono a lui la nuova facciata del Duomo (1925-’30), l’ampliamento del Santuario della Madonna dei Quercioli (1929) e la progettazione della Fontana Monumentale del Littorio di Piazza Puccini, oggi Piazza della Liberazione (1928), costruita al centro del nuovo asse viario dell’Aurelia. Fellini raggiunse la fama internazionale con l’intervento di progettazione di tutti gli altari e decori interni della Basilica del SS.Rosario a Buenos Aires (1930-’34) e del Santuario Nazionale di santa Rosa di Lima, realizzati senza mai recarsi in America Latina, a riprova della sua geniale ed innata capacità di disegnatore ed acquerellista, già manifestata in gioventù nelle decorazioni eseguite nella chiesa di Sant’Anna di Busseto . Decorazioni ormai andate distrutte nonostante si siano susseguiti, nel tempo, ripetuti appelli per salvarli. La chiesa, abbandonata dagli anni Cinquanta del Novecento, fu per un certo periodo anche magazzino comunale. Oggi è in stato di fatiscenza assoluta e un suo recupero non sembra nemmeno ipotizzabile.

LO STATO DEI PONTI: i ponti dovrebbero unire, e migliorare i collegamenti anche tra i luoghi della cultura anche se un ministro del passato ebbe a dire che “con la cultura non si mangia” (forse qualcuno però ci mangia?), per poi affrettarsi a rettificare affannosamente l’infelice uscita. Ma la situazione dei ponti, nella Bassa Emiliana, è un “Penitenziaio” come da tempo la definisce chi scrive queste righe. La annosa telenovela del ponte sul Po che collega Parmense e Cremonese nel tratto compreso tra Polesine Zibello, Roccabianca e San Daniele Po (viadotto dedicato, guarda un po’, proprio al maestro Giuseppe Verdi) si trascina fin troppo per le lunghe (e viene da dire che se non fosse stato per Capitan Ventosa, le cose sarebbero andate anche peggio) e di un pieno ripristino della funzionalità del viadotto se ne parlerà non prima di fine 2023. Nel frattempo continua a funzionare perfettamente l’immancabile autovelox, severamente e tassativamente tarato ai 30 km/h: limite voluto per garantire (così ebbero a dire fin da subito gli Enti coinvolti) la sicurezza dei lavoratori. Quali lavoratori, viene da chiedersi, visto che da mesi non si vede lo straccio di un cantiere? Vietato, tuttavia, dire o scrivere che l’autovelox serve a “fare cassa” perché ti risponderanno, sempre e comunque, con una nenia ormai stucchevole, che serve, ebbene sì, per la sicurezza di tutti. E’ chiuso, da anni, anche il ponte “Pezzino” sul torrente Ongina che collega Busseto a Sant’Agata, anche in questo caso per problemi strutturali (ma toh?) e, quindi, da considerare strategico anche per i collegamenti tra i luoghi verdiani (ma il Cigno, viene da domandarsi, quante volte si sarà rivoltato nella tomba?). Nei mesi scorsi lo Stato ha liberato i fondi per il suo recupero. A questo punto non resta che attendere i fatti, e quindi i lavori. A mezzo servizio (con limitazioni di velocità e di peso oltre che irritanti sensi unici alternati) anche il ponte sul Taro che collega Roccabianca a Sissa, quello sul Rigosa Nuova tra Ragazzola e Soragna, quello sullo Stirone tra Soragna e Fidenza e quello sull’Ongina tra Busseto e Besenzone. Con la speranza che i solerti vertici provinciali e regionali si siano attivati per procedere con i lavori e con la regolare riapertura di tutti i ponti citati, a beneficio di tutti i cittadini residenti e non (giusto ricordare che i cittadini sono anche elettori, a volte con la memoria corta, e contribuenti…e contribuenti lo sono pesantemente di questi tempi) che hanno il diritto di potersi muovere, anche tra i luoghi della cultura, agevolmente e in sicurezza (questa sconosciuta, se si vanno a vedere le condizioni in cui versano parecchie arterie, dove per far prima e per pararsi il di dietro si è preferito mettere limitazioni di velocità), anziché essere sottoposti a un continuo “Penitenziaio”.

DULCIS IN FUNDO (O ULTIM’ORA): da alcuni giorni, a Polesine Parmense, per problemi strutturali (sono in corso verifiche ma il cartello “Pericolo di Crollo” esposto dal parroco in occasione del recente November Porc lascia spazio a pochi dubbi) ha chiuso anche la chiesa parrocchiale dei santi Vito e Modesto. Del resto, in quanto a chiese, Polesine Parmense non è particolarmente fortunato. Le prime due se le è portate via il Po distruggendole. La terza sta facendo i conti con il passare del tempo e, sulle cause reali dei suoi problemi si dovrà attendere (prima o poi) l’esito delle verifiche in corso da parte degli organi competenti. Giusto ricordare che tra due anni, nel 2024, la chiesa celebrerà il suo terzo centenario. Un traguardo importante che merita di essere celebrato, e festeggiato, in modo solenne. Non certo al chiuso, o al buio. Stavolta, giusto precisarlo, non c’è di mezzo nulla di verdiano ma questa ultima tegola, nelle terre del Po, completa un quadro che ha parecchio di desolante.

Se fossi stato Ministro, e mai lo sarò, tutte queste cose avrei voluto saperle: e vederle.

Eremita del Po, Paolo Panni

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