Ambiente

Zibello, Atmosfere e genti di Po
un omaggio a Gaetano Mistura

In “Atmosfere e genti di Po” emerge l’essenza del fiume, il senso profondo di quel rapporto ancestrale tra il Po ed il suo popolo; un microcosmo ambientale e sociale, come giustamente lo definisce Mistura

Si chiama “Atmosfere e genti di Po” ed è un testo straordinario, di quelli che andrebbero messi in cornice, letti e soprattutto studiati ogni mattina, prima di iniziare la giornata, da tutti coloro che sul fiume vivono e hanno messo le radici. Lo ha scritto Gaetano Mistura, un uomo ma soprattutto un maestro di vita, di valori e di passione per la sua terra. Di lui basterebbe dire che è stato sindaco, in passato, per tre legislature, a Zibello e che tutti i sindaci che gli sono succeduti, quando lo incontrano, lo salutano con il classico e del tutto sincero “Buongiorno Sindaco”. Perché il sindaco, per tutti, è e resta lui. Chi scrive queste righe, da piccolo ne aveva timore e una enorme soggezione. Perché mio padre era il vigile ma anche il custode del municipio e ed io scorrazzavo per corridoi ed uffici talvolta col triciclo e talvolta con la macchina a pedali. Gli rompevo le scatole e i dipendenti mi avevano insegnato ad averne timore. In realtà lui, da persona sensibile e saggia quale era ed è, ha sempre avuto una enorme pazienza. Col tempo, e non ci è voluto molto, ho imparato a conoscere, apprezzare e ammirare la sua passione per la storia, l’attaccamento profondo alle sue radici, il legame con la sua gente, ma anche lo spessore civico, morale e umano che lo caratterizza. Di uomini e di amministratori così ce ne vorrebbero. In quegli stessi uffici in cui ha fatto a lungo il sindaco, ho imparato a leggere e a scrivere all’età di quattro anni; all’asilo non ho mai voluto mettere piede, sono nato ribelle, resto ribelle e in quel tipo di ambiente non ci sarei mai stato. Così quando sono stato costretto a iniziare la scuola dell’obbligo mi è sembrato di essere circondato da una massa di ignoranti, visto che a 6 anni ancora non sapevano leggere né scrivere.

Gaetano Mistura è molto più che “il Sindaco”. E’ una miniera infinita di storia e di aneddoti del suo territorio, un cultore tenace e appassionato di tutto ciò che riguarda il presente e il passato del suo territorio. Ha avuto ed ha il grande merito di aver messo pazientemente per iscritto (non solo nelle meritevoli pubblicazioni che ha realizzato, ma anche nel suo personale e immenso archivio) tutto ciò che riguarda la storia locale. Un patrimonio di inestimabile valore, che deve essere conservato, valorizzato, studiato e divulgato. Magari anche premiato, nella speranza che prima o poi gli sia riconosciuta la benemerenza civica, più che meritata, del suo paese.

In “Atmosfere e genti di Po” emerge l’essenza del fiume, il senso profondo di quel rapporto ancestrale tra il Po ed il suo popolo; un microcosmo ambientale e sociale, come giustamente lo definisce Mistura. Un luogo che, in passato molto più che oggi, era fonte di vita per tante famiglie, sull’una e sull’altra riva. Un luogo che, nel tempo, è cambiato; sono cambiate le persone, le abitudini, i mestieri. Resta, e e Gaetano Mistura lo sa e lo scrive a chiare lettere, un ambiente unico e incomparabile che si offre, senza dover pagare biglietto alcuno, all’ammirazione del visitatore che sulle rive dl vecchio Eridano voglia ritrovare la pace e il bello della natura. Il Po in cambio chiede solo un po’ di rispetto e di attenzioni. Sì, aggiunge chi scrive queste righe, rispetto, attenzioni e sicuramente meno chiacchiere (sul fiume ne sono state spese anche troppe ed una infinità di convegni e conferenze finite a suon di rinfreschi probabilmente avevano solo quello scopo finale, il rinfresco).

Ma ora è giusto lasciare spazio a Gaetano Mistura e al suo “Atmosfere e genti di Po”,

Eremita del Po, Paolo Panni








 

Atmosfere e genti di Po

Ogni ambiente naturale forgia la gente che lo abita. La montagna i montanari, la valle i valligiani, il mare, quanti abitano le sue coste.

Anche il Po, io credo, plasmi caratteri antropologici del tutto peculiari.

Credo che il Po contribuisca a connotare le genti che hanno origine lungo le sue sponde, ma allo stesso tempo che le genti nate lungh’esso avvertano forte il senso di appartenenza.

Vi è un rapporto ancestrale tra il fiume e la sua gente. Già da quando questi luoghi impaludati fin dove ora corre la via Emilia cominciarono ad essere dissodati e strappati al corso disordinato del fiume, con canali, con arginature e con altre opere di difesa. Già da quando l’uomo cominciò a trarre dal fiume elementi utili per la sua sopravvivenza: la pesca, ma anche la vegetazione e i sedimenti con i quali costruire i luoghi in cui vivere.

E’ stato un continuo dare e avere tra il Po e chi vi abitava: il fiume un po’ dava e un po’ si riprendeva e la gente un po’ si prendeva e un po’ si adattava alle nuove regole imposte dall’acqua.

Per l’uomo di qui è stato un continuo prosciugare, disboscare, dissodare, coltivare, fino a quando l’imprevedibilità del fiume non vanificava tutto quanto, e l’uomo, in condizioni mutate e del tutto impreviste, doveva ricominciare a bonificare, incanalare e difendersi.

Si è creata così una simbiosi che, con l’andare del tempo, ha dato origine ad insediamenti, ad attività umane, ha determinato stili di vita, ha prodotto culture, tradizioni, costumi, economie.

Oggi il contesto del Po non è più come lo videro i nostri nonni e bisnonni, ciò nondimeno per chi è nato su queste sponde continua ad avere una forte suggestione, che per molti condiziona financo lo stile di vita.

Perpetuandosi nel tempo, lo vediamo ancora questo gigante scorrere, ora calmo e tranquillo, ora tormentato ed irruento. Ma la vita sulle sue acque, lungo le sue sponde – rimasta immutata per secoli – oggi è profondamente cambiata. Non vediamo più uomini e animali, a trascinare barconi controcorrente. Non vediamo più i mulini che senza sosta macinavano i grani per la farina e da qui il pane per il sostentamento degli umani e così, non si vedono più pescatori, traghettatori, cavatori di sabbia e ghiaia.

Un tempo attorno al fiume girava un mondo, un mondo a sé. Vi si conduceva una vita che si svolgeva in parallelo con quella della terraferma.

Teatro di scontri e battaglie a non finire, il fiume per millenni è stato però anche una inesauribile fonte di vita.

L’alveo, le sponde, gli argini, la golena, i boschi, erano teatro di una autonoma vicenda umana. Persino i bambini in colonia venivano nel periodo estivo a popolare queste rive per corroborare il corpo e lo spirito. Un microcosmo ambientale e sociale, che obbediva a schemi e a stili di vita suoi propri, diversi da quelli che si vivevano di là, oltre l’argine.

Un microcosmo che ha generato una umanità capace di imprimere al proprio tempo persino svolte epocali.

Ad esempio i mugnai dei mulini sul Po, vessatori e vittime al tempo stesso dell’odiosa tassa sul macinato. Essi, insieme agli scariolanti, impegnati nella faticosa, estenuante costruzione delle arginature, furono i protagonisti di dure lotte politico-sindacali per la conquista di migliori condizioni di lavoro e di rappresentanza sociale.

“… il Po è fiume infido e terribile”, scriveva Francesco Luigi Campari nel libro “Un castello del parmigiano nei secoli” nel quale descrive lo scorrere capriccioso del fiume, ora calmo e tranquillo, ora furibondo e devastante. L’autore parla anche di diverse esondazioni susseguitesi nel corso dei secoli. Vorrei ricordarne una, quella del 14 novembre del 1801.

Una esondazione devastante che sormontato l’argine maestro a Ragazzola, produsse un’ampia falla e un buco profondo, ancora oggi visibile benché nascosto dalla vegetazione.

Dieci case atterrate, dieci persone morte e 27 salvate a stento.

L’acqua lambì l’abitato di Pieveottoville, ma oltre Ragazzola, invase Roccabianca, Fossa e giunse a Fontanelle.

Per qualche tempo il Po ci lasciò poi tranquilli, ma dopo un secolo e mezzo, nel 1951, lo stesso giorno 14 novembre una nuova piena fece vivere alla gente dei nostri paesi, altri giorni di terrore. L’argine maestro resse e non vi furono morti, ma nel Polesine si contarono 100 vittime e 180.000 senzatetto.

Altre alluvioni si susseguirono poi con maggior frequenza nel 1977, nel 1994, nel 2000, ma fortunatamente “il Maestro” resse. Nelle zone allagate – però – ogni volta, si presentarono le scene di uno stesso dramma, con le stesse paure, le stesse devastazioni.

Così si vivono da queste parti le sfuriate del fiume, sempre consolandoci tuttavia, se non succedono accadimenti peggiori.

Oggi il Po è malato. Le sue acque languono sopraffatte dall’inquinamento e dall’uso irrazionale che ne viene fatto, è malato a causa dell’azione inconsulta dell’uomo, è malata la sua fauna ittica che non riesce più a riprodursi. Di questo occorrerebbe prendere coscienza.

In compenso esso sa ancora offrirci scenari irripetibili.

Profondi silenzi, l’odore strano e penetrante dell’acqua, il lento scorrere della corrente, una piarda, una macchia di bosco, la via alzaia (e Paolo Panni aggiungerebbe un bosco incantato), tramonti mozzafiato dipingono lo scenario di un ambiente unico ed incomparabile che si offre, senza pagamento di biglietto, all’ammirazione del visitatore che su queste rive voglia ritrovare la pace e il bello della natura. In cambio il Po chiede solo un po’ di rispetto e di attenzioni.

In vari momenti del Po ho raccolto le atmosfere: del Po ho raccolto le voci, ho raccolto i sussulti, i fremiti, ma sul Po ho udito anche i lamenti di famiglie orbate di qualcuno scomparso tra i suoi flutti infidi. A quanti venuti in queste acque e che non han più fatto ritorno alle loro case rivolgiamo un pensiero riverente. A Zibello si ricorda la Lalla, bambina di 11 anni scomparsa sotto gli occhi del padre. A Pieve si ricorda Dario Benvenuti scomparso con la sua bambina di quattro anni. Tutte le morti in Po sono inspiegabili, ma questa continua ad essere più inspiegabile di ogni altra.

Da ultimo non so resistere alla tentazione di richiamare Giovannino Guareschi che, come è già stato altrove ricordato, su questa riva veniva a masticare un filo d’erba e di far rivivere una scena tratta da uno dei suoi film della serie di Don Camillo. Quella che ripropone l’alluvione e verosimilmente l’alluvione del 1951 con la voce di don Camillo che, nella chiesa allagata e lui stesso immerso nell’acqua, l’altoparlante piazzato sulla torre, ammonisce i parrocchiani sfollati

sull’argine: “Non è la prima volta che il fiume invade le nostre case; un giorno però le acque si ritireranno ed il sole ritornerà a splendere. Allora ci ricorderemo della fratellanza che ci ha unito in queste ore terribili, e con la tenacia che Dio ci ha dato, ricomin- ceremo a lottare perché il sole sia più splendente, perché i fiori siano più belli, e perché la miseria sparisca dalle nostre città e dai nostri villaggi.

E – io aggiungerei – e perché questo fiume continui ad accompagnare, anche chi verrà dopo di noi, fino alla fine del tempo.

Gaetano Mistura

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