Cultura

Motta Baluffi, Santo Stefano,
Venturati e i tristi ricordi di guerra

Tragico fu il destino del padre di don Gottardo, Francesco Venturati, appunto. Il 26 dicembre 1944 splendeva il sole (che oggi ben difficilmente si vedrà) a Motta Baluffi ma la giornata si trasformò presto in tragedia

La Golena di Motta Baluffi

Quella del 26 dicembre, festa di santo Stefano protomartire, è una data che nelle terre casalasche del Po rievoca anche tristi ricordi, come quello di un episodio avvenuto a Motta Baluffi in pieno conflitto bellico, il 26 dicembre 1944, costato la vita all’anziano Francesco Venturati, padre dell’allora parroco don Gottardo Venturati.

Quella di don Gottardo fu la prima vocazione sacerdotale del ventesimo secolo del folto gruppo di sacerdoti nativi di Arzago d’Adda. Nato nel 1905, don Gottardo entrò nel seminario di Cremona all’età di 11 anni e fu ordinato sacerdote nel 1931. Dopo la sua ordinazione venne mandato come vicario nella parrocchia di Stagno Lombardo. Nel 1933 fu inviato, sempre come vicario, nella parrocchia di Vescovato, e nel 1937 fu trasferito nella cittadina di Soresina.

Nel 1942 diventò parroco di Motta Baluffi dove restò per un decennio, fino al 1952 quando fu nominato parroco di Genivolta, dove rimase sino al 1972 (anno in cui si ritirò). Morì il 14 ottobre 1988 nella clinica “Figlie di san Camillo” di Cremona. Don Gottardo, figura di grande carisma, secondo la sua volontà, fu sepolto ad Arzago, suo paese d’origine al quale era particolarmente legato.

Tragico fu il destino del padre di don Gottardo, Francesco Venturati, appunto. Il 26 dicembre 1944 splendeva il sole (che oggi ben difficilmente si vedrà) a Motta Baluffi ma la giornata si trasformò presto in tragedia. Infatti, mentre nel pomeriggio sull’argine non poche persone passeggiavano, nel centro del paese si trovavano diversi mezzi militari tedeschi, visto che un nutrito gruppo di soldati aveva occupato case. A passeggio, col sigaro in bocca, si trovava anche Francesco Venturati diretto all’osteria dove avrebbe raggiunto alcuni amici, ma all’improvviso all’orizzonte arrivarono alcuni caccia alleati e, alla vista dei mezzi tedeschi, virarono e si misero in posizione di tiro.

Subito la gente che era sull’argine si gettò a terra nelle busche scavate appositamente per difendersi dal bombardamento aereo. Pare che qualcuno avesse anche gridato a Francesco Venturati di mettersi al riparo, ma l’uomo avrebbe riposto che gli alleati non sapevano cosa farsene di un vecchio come lui, continuando il suo percorso verso l’osteria.

Le raffiche alleate inevitabilmente partirono; nessun tedesco venne colpito, mentre l’anziano padre del parroco, all’altezza della macelleria fu colpito a morte ed alcuni proiettili si conficcarono letteralmente in un muro di via Roma. Una tragedia che sconvolse tutta la comunità rivierasca, già provata non solo dalla guerra stessa ma anche da quanto accadde il 4 dicembre dello stesso anno. Una giornata ricordata come nebbiosa, con una abbondante coltre nevosa a terra.

In quel periodo erano in corso i lavori di costruzione di una strada nei pressi della cascina Ronchetto (quella in cui, fino a poco tempo fa, sorgeva l’Acquario del Po). Si lavorava ugualmente, nonostante la neve e il freddo, e con un fuoco si teneva al caldo il cibo e si cercava di ripararsi dal freddo.

Verso le 9 del mattino un aereo alleato sorvolò la zona sganciando un ordigno che provocò la morte di cinque persone (quattro di Cella Dati ed una di Reboana) e ne ferì parecchie altre. Al lavoro si trovavano, in tutto, circa 700 persone che cercarono, vanamente, di tornare a casa portando con loro i morti. Tentativo vano, appunto, perché i soldati tedeschi puntarono loro i mitra costringendoli a proseguire il lavoro.

Sull’accaduto ci sono da tempo diverse versioni; una di queste sostiene che l’aereo avesse visto il fumo del fuoco acceso dagli operai spuntare dalla nebbia; altri ipotizzano che il pilota volesse liberarsi del fardello della bomba cercando di scaricarla in Po. Stando agli archivi americani dell’Us Air Force pare che quel giorno non fossero comunque programmate missioni particolari nella zona del Po, bombardando solo se ne valeva la pena. E’ quindi plausibile che un bombardiere alleato, venuto a conoscenza dei lavori in corso nei pressi della cascina Ronchetto, possa avere sganciato la bomba alla vista del fumo.

Eremita del Po, Paolo Panni

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