Agricoltura

Crisi del mais, nella ricerca
la chiave per il rilancio

Al centro della "Giornata del mais" di Bergamo le prospettive del settore maidicolo nell'ambito della nuova Pac 2023-2027.

E’ ritornato in presenza, dopo due anni, un evento storico e particolarmente seguito da agricoltori, tecnici e ricercatori dedicato al mais e organizzato dal Crea di Bergamo, ente specializzato nella ricerca di campo su mais e sulle colture industriali. L’appuntamento di quest’anno era dedicato alla situazione e alle prospettive della maiscoltura italiana ed europea nell’ambito della nuova Pac, dal 2023 al 2027.

La Giornata del mais 2023 è stata introdotta dal direttore del Crea di Bergamo, Nicola Pecchioni: “Il mais è una delle colture che maggiormente risentono delle mutate condizioni imposte dal cambiamento climatico, e in particolare dei periodi siccitosi prolungati e delle carenze o costo elevato delle risorse idriche. Per questo motivo il futuro della coltura nel nostro Paese, soprattutto quello del mais da granella, sarà sempre più legato alla vocazione dei territori, alla disponibilità della risorsa idrica e all’agricoltura di precisione”

Alle variabili introdotte dalla nuova Pac si aggiungono dunque anche i problemi legati al cambiamento climatico e alle sempre minore disponibilità di acqua. La Pac comporta nuove regole, impegni aggiuntivi e pagamenti in contrazione (per il mais un taglio del 40% dei pagamenti diretti della nuova Politica agricola comune: l’importo del contributo si dimezzerà dagli attuali 360 €/ha a 180 €/ha, arrivando a 255 €/ha solo nel caso in cui si aderisse all’ecoschema 4). Con quali conseguenze per gli agricoltori e per le filiere zootecniche che dipendono in larga misura dall’alimentazione del bestiame basata sul mais ? Domande non semplici a cui si è cercato di dare risposta nella qualificata tavola rotonda che si è tenuta alla fine delle relazioni tecniche ed economiche.

Il calo delle superfici coltivate, scese al minimo storico di 564mila ettari nel 2022, e il pessimo andamento climatico dell’annata, caratterizzato da una siccità estiva senza precedenti, hanno ridotto la produzione italiana ad appena 4,7 milioni di tonnellate di mais da granella, ossia alla stessa produzione del 1972, con gravi problemi di qualità del prodotto stesso. In base ai primi dati Istat, infatti, i rendimenti unitari sono crollati mediamente del 23%, scendendo da 10,3 t/ha a 8,3 t/ha, ma erano stati pari a 112 t/ha nel 2020, con cali di resa fino al -32% in Veneto e al -25% in Lombardia, tra le maggiori regioni maidicole, e punte del -43% a Rovigo e del -46% a Perugia. L’andamento negativo ha coinvolto tutti i maggiori produttori europei di mais con un calo complessivo pari a 21 milioni di tonnellate nella sola Unione europea (-29%), con riduzioni che, tra i principali fornitori del mercato italiano, arrivano al 50% in Romania, al 57% in Ungheria e al 75% in Moldavia, mentre in Ucraina le ultime stime segnalano un calo superiore al 50%. Solo la Spagna, con 11,5 t/ha sia pure in calo dell’11%, presenta rese superiori a 10 t/ha, mentre la produzione è aumentata, grazie all’incremento delle superfici, soltanto in Polonia, +16%.

La diminuzione delle superfici coltivate e quella delle rese rende problematico l’approvvigionamento del mercato italiano che già nella campagna 2021/22, a fronte di una produzione nazionale di 6,1 milioni di tonnellate, ha fatto registrare un nuovo massimo storico nell’import netto con 6,3 milioni di tonnellate e oltre 1,7 miliardi di euro, con prezzi medi unitari all’importazione aumentati del 45% e stabilmente sopra i 300 euro per tonnellata a partire da aprile 2023. I prezzi internazionali, arrivati al massimo storico di 348 dollari per tonnellata ad aprile 2022, sono scesi intorno a 300 dollari a fine anno, ma rimangono comunque particolarmente elevati, come pure quelli nazionali che ne hanno seguito l’andamento. Questa situazione ha pesanti ripercussioni sul comparto mangimistico, in termini sia di costi che di approvvigionamento e, a cascata sull’intera filiera zootecnica, mentre i maiscoltori italiani, già penalizzati dallo scarso raccolto, devono fare i conti con l’aumento generale dei prezzi dei mezzi produttivi e, in particolare, di quelli relativi ai fertilizzanti azotati, condizionati dalla crisi del gas naturale e, conseguentemente, dai prezzi estremamente elevati dell’ammoniaca.

Uno dei fattori chiave per migliorare la situazione è stato indicata nella ricerca. L’emergenza in termini di stress sia abiotici (siccità) che biotici (funghi e micotossine, in particolare aflatossine) che si è palesata nel 2022, andando a pregiudicare quantità e qualità della produzione di mais, ha reso evidente l’urgenza di migliorare la sostenibilità e la resilienza dei sistemi colturali maidicoli.

I risultati del monitoraggio del contenuto di micotossine in granella condotto dalla Rete Qualità Mais, coordinata dal CREA Cerealicoltura e Colture Industriali di Bergamo, ha evidenziato che il 26% dei campioni analizzati presenta un contenuto in aflatossine superiore ai 20 µg/kg e il 65% con fumonisine maggiori di 4000 µg/kg. Lo sviluppo di resistenze e/o tolleranze agli stress passa necessariamente attraverso il miglioramento genetico e la scelta delle varietà più idonee a tali scopi. Ciò è reso possibile anche grazie al lavoro della Rete Nazionale di confronto varietale, che annualmente fornisce informazioni utili sulla base dei dati ottenuti puntualmente per supportare questa scelta.

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