Oglio Po, l'erba (e le piante) di
casa nostra e i giorni di lamiera
Sembra un vecchio stabile abbandonato, una di quelle fabbriche o strutture eppure dentro ci pulsa la vita. Sono le foto del retro dell’ospedale Oglio Po, quello che dà sulla bella area verde che anche in questa stagione intermedia riserva sempre sorprese. Fagiani, conigli, gatti: un area protetta dagli arbusti che almeno nella parte dietro si conserva nella sua utilità e bellezza. Altri medio/piccoli volatili e la sensazione di essere comunque in un’area che – anche dal punto di vista dell’ausilio alla cura – potrebbe essere meglio utilizzata. Perché no, percorsi salute, o qualcosa di bello ed accattivante, almeno in qualche tratto. La natura è sempre una carta da giocare: una carta vincente ma il discorso ci porterebbe lontano.
Poi basta volgere lo sguardo verso il manufatto e lo spettacolo non è certo di quelli edificanti. Il colore originario della lamiera è solo un ricordo lontano, la ruggine domina in vari punti col suo rosso. Il cemento di alcuni punti degli scivoli si è riempito di muschio, o si sta lentamente consumando. Un vero peccato perché se è pur vero che le cose importanti di un ospedale sono altre, l’estetica di una struttura non è mai e non dovrebbe essere mai l’ultima ruota del carro. Non dovrebbe mai venire in secondo piano. Perché e comunque in un ambiente più consono e più bello si vive, si lavora, ci si cura e ci si sta meglio.
I lavori di restyling ogni tanto saltano fuori, come un mantra per un ospedale che ha già altri problemi. Poi non se ne fa nulla, o quasi. I direttori si susseguono, le amministrazioni regionali restano tali, ogni tanto l’assessore al Welfare – chiunque sia – viene a farsi un giro, si inaugura qualcosa mentre qualcosa di altro perdiamo e così si vive. In un eterno e ondivago moto (tutti noi). In eterna e pressoché stabile quiete (PA, direzione e quanto altro).
Questa volta dovrebbe essere la volta buona. Ce lo siamo detti, in 20 anni, millemilavolte. Ce lo siamo detti per medici, reparti, servizi, letti, struttura. Ce lo siamo detti perché guai a perdere la speranza che domani possa essere migliore dell’oggi. Al momento le condizioni sono quelle che si vedono in queste foto di qualche giorno fa.
Non cambiano. Poco si muove. L’occhio non può che cadere su quella lamiera, su quel verde e quel cemento: qualche volta ci si chiede a che servisse mettere quella copertura (ce ne sono similari nelle case popolari, a memoria quelle di via Combattenti a Casalmaggiore) nelle strutture, farsi autonomamente del male in terre, le nostre, arse dal sole d’estate e coperte d’inverno. Qualche idea ce l’abbiamo ma vi scriviamo solo la più soft: i predecessori, gli architetti, forse valutavano molto più operativa e performante la classe politica, molto più in grado di intervenire nell’immediato nelle questioni chi alle quetioni era preposto. Quella lamiera non avrebbe ceduto mai, non si sarebbe mai consunta di fronte agli uomini e al tempo. E invece siamo qui, adesso, a commentare quattro tristi foto, in attesa che qualcuno faccia qualcosa, in attesa di fare e ricevere foto belle, di attenzione che vince sull’incuria. Di coraggio che prevale sulla sensazione di indifferenza, di bellezza che vince l’incedere greve del tempo. Di concretezza che vince su disegni e parole.
Stiamo ancora aspettando.
Na.Co.