I Racconti di OglioPoNews

ooooooohhhhhhh… – di Giuseppe Boles

ooooooohhhhhhh… – di Giuseppe Boles

Per un piccolo ritardo sull’altra linea l’orario di partenza venne spostato di qualche minuto.

“Lo so, lo so. Non c’è bisogno di dirlo. Ma vedere un viso che si allontana mette una certa malinconia”.

“Conosco gente che non teme le distanze”.

“Dai, non scherzare. Ho un sesto senso per i tipi come te. Oddio, non proprio esattamente così. Uno uguale a te sarà difficile da incontrare di nuovo. E comunque non ci vuole di certo un genio per capire il tipo d’uomo che sei. Pericoloso. Forse troppo per quel genere di sentimenti. Non mi fraintendere, tu vai benissimo per come sei. Le persone vanno scelte man mano che s’incontrano. Inutile tentare di plasmarle. La creta si plasma. La plastilina, il gesso. Il fango si plasma. Si può dar loro la forma che si vuole. Ma tu non sei nulla di tutto questo. Con le persone ci si parla, ci si confronta.”

Ascoltavo le parole di quella ragazza sporgendomi dal finestrino del treno. La gente passava spostandosi a destra e a sinistra senza chiedersi chi fossimo. In fondo eravamo due come tanti. Ma sì, due come tanti e come nessuno. Io mezzo fuori dal vagone e lei in punta di piedi, le mani infilate nelle strette tasche dei jeans.

“Leo…”

“Che c’é ? “.

“Non ti ho chiesto della cicatrice. Come diavolo te la sei fatta?”

“Perdonami, non posso dirtelo. Se lo facessi poi ti dovrei uccidere.”

“Che scemo che sei. Però non ti sta affatto male. Certo che se fossi alunna vedere un professore con quel segno metterebbe una certa paura.”

“Tendo ad andare molto d’accordo con le mie terribili bambine”.

“Pensa cosa accadrebbe se i loro genitori sapessero che terribile bambino è il professore”.

“L’importante è tenersi dentro un po’ di quel bambino”.

“Sei stato l’incontro più strano e casuale della mia vita. L’affascinante uomo spuntato dal nulla per regalarmi quella boccata d’ossigeno, quell’attimo di spensieratezza che non vivevo da tempo. Capisci ora perché ti dico addio? Perché è il modo più sicuro che ho per ricordarti così come sei adesso e come lo sei stato per tutto il giorno. Hai avuto giusto il tempo di regalarmi la tua parte migliore. Ma qui dentro ho come la sensazione che tu nasconda un qualcosa di oscuro. Un lato che mi potrebbe anche spaventare. O ancor peggio: farmi innamorare. Se poi penso al tuo lavoro. Insomma, cerca di capirmi”.

“Il mio “secondo” lavoro.”

“Sì ma non stiamo parlando di fare il barista il fine settimana. Tu la notte vendi il tuo corpo per soldi. Non è esattamente la stessa cosa.”

“Voi donne lo fate da molto prima che io cominciassi”

“E questo basterebbe a giustificarti?”

“La gente troppo spesso giudica gli altri prendendo brandelli di vita vissuta. Facendolo evita di guardare all’insieme. E’ come fermarsi alla mela marcia dentro una cassetta colma di buonissimi frutti. Ci può anche stare se il resto lo consente”.

Va a finire quasi sempre così.

“E poi non andremmo d’accordo su un sacco di cose. Garantito. Ma a cambiare il tuo modo di essere non ci penso nemmeno. Perché tu sei tu. Guai! Guai se non lo fossi! Adesso però ti prego, non chiedermi su quali cose non dovremmo pensarla allo stesso modo perché ti dico già che non lo so. Non ne ho la minima idea. Cerco solo di rendere meno triste il nostro saluto”.

“Sai di cosa avremmo bisogno? Di cosa veramente avremmo un dannato bisogno? Di più tempo. Altre notti da trascorrere facendo l’amore o anche solo stando vicini per aprirsi l’uno al mondo dell’altro”.

Ecco dove sbagli Leo. Pensa prima di parlare. Pensa bene. E sì che l’esperienza non ti manca. Ma forse è proprio quella a fotterti tutte le volte. Entri sempre in modalità seduzione e alla fine, anche quando non vuoi, finisci per dire quello che in realtà non dovresti. E’ a Carmen che vanno dette queste cose e tu lo sai. Lo sai meglio di chiunque altro. Questa ragazza che ti parla in punta di piedi lo ha capito. Ti ha capito. Perché un po’ bastardo lo sei sempre stato. Un educato, elegante, colto bastardo. Potresti anche insistere e tornare ma sai che non è lei la donna della tua vita.

“Hai ragione, dirsi subito addio è il miglior modo per congelare questa bellissima giornata rendendola perfetta”.

“Poi tu sei uno che parla, parla tanto. E dalle parole prima o poi nascono un sacco d’incomprensioni”.

“Altro modo per rendere meno triste il saluto?”

“Si è capito? ”

“Un tantino”.

La guardai dall’alto regalandole il mio miglior sorriso.

“Facciamo così: se mai ripasserò dalla tua città promettimi una cosa. Una soltanto”.

“Cioè? “.

“Permettimi di venire a salutarti”.

“Vada. Ma solo se mi racconterai altre avventure “.

“Affare fatto”.

“Magari quel giorno avrò pure io qualche avventura da raccontare “.

“Nessun problema, saprò ascoltarti. E’ così che si risolvono molti dei problemi della vita: confidandosi. Anche quelli più stupidi e inutili. Perché il silenzio è sempre dietro l’angolo. Ricordatela questa cosa. E non aspetta altro che quella famosa parola non detta diventino due, tre, quattro… cinque parole non dette. Un mare, un oceano di parole non dette”.

“Ne so qualcosa”.

“Maledizione a loro. Restano dentro di te trasformando piccole incomprensioni in giganteschi macigni. Gli stessi che schiacciano giorno dopo giorno quella che prima era la voglia di stare insieme”.

“E del loro peso te ne accorgi quando è troppo tardi. Giusto? ”

“Bravissima. Perché il silenzio ha un modo tutto suo di vincere la partita. Ed è qui che sta la sua matematica genialità “.

“In che senso? ”

“Vuoi che te lo dica? Vuoi veramente sapere cosa riesce a fare il silenzio? Vince in un modo che non ti aspetteresti mai “.

“Dai, dimmelo. Voglio saperlo.”

“Vince arrivando per ultimo”.

“Per ultimo? ”

“Hai capito bene. Lascia che tutto ciò che poteva impedirlo lo superi senza far rumore. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno. Con infinita pazienza li lascia passare. Si fa superare finché non resta solo. E senza saperlo te lo ritrovi sul gradino più alto del podio. Chi ha detto che nella vita vince chi arriva primo? Ma quando mai “.

“Certo che per esserci frequentati meno di un giorno ci stiamo regalando un finale da palcoscenico “.

“Allora sarà il caso di far pagare il biglietto a tutti questi che ci stanno vicino”.

“Dai, non scherzare.”

Le porte del treno si chiusero e tutta la gente fece un passo indietro allontanandosi dai binari. Lea, no. Lei non si mosse di un centimetro. Stette ancora con il suo bel viso rivoltò all’insù, le mani ancora ficcate nelle tasche dei jeans.

“Grazie”.

“E di che? ”

“Se vieni più vicino te lo dico”.

Sentii le sue labbra sfiorarmi l’orecchio.

“Cos’è, nessuno deve saperlo? Di cosa dovresti ringraziarmi?”

E con quello che fu poco più che un sussurro mi disse: “Grazie delle parole. Di quelle che mi hai detto e che non ti sei tenuto dentro”.

Fu la più bella risposta che mi potessi aspettare. Tanto bella che sul momento non seppi cosa rispondere. Richiusi il finestrino standomene immobile, con la fronte appoggiata al vetro. Riuscivo soltanto a fissarla, in silenzio. Anche lei si appoggiò. Ebbi come la sensazione che i suoi occhi fossero cambiati. Mi sembrarono più brillanti. Invece no, erano i miei ad essere diventati più lucidi.

Pian piano il treno prese vita.

Solo allora lei si staccò, facendo qualche passo indietro.

Quell’esile figura che soltanto qualche ora prima stringevo e avevo visto toccare l’apice del piacere diventò a poco a poco più piccola, sempre più piccola. Potevo ancora distinguerla. Ferma in piedi, con la mano aperta in segno di saluto. Riaprii il finestrino. Mi sporsi un’ultima volta.

“Lea!”

In lontananza la vidi alzare il braccio. Poi più nulla. Solo una macchia. Un puntino uguale a mille altri puntini. Anche la grossa stazione non era più una stazione. Ingoiata dalla distanza pure lei era diventata un inutile puntino. Ed io lì, a sfidare l’aria a colpirmi il viso mentre il treno scappava da quell’ultima fermata. Sempre più solo, sempre più veloce. Come in un film ci riprovai. Tentai di sporgermi ancora più in fuori. Niente da fare. Di Lea, della sua figura, di quella mano aperta in segno di saluto non restava veramente più nulla.

Chiusi gli occhi, presi un grosso respiro e me ne tornai dentro.

Capii che era tutto finito.

Ma sì…in fondo va bene così. La vita ti dà e poi ti toglie un sacco di certezze. Altrimenti che diavolo di vita sarebbe? Possiamo toccarla, respirarla e perché no, a volte pure rifiutarla.

Dannata vita. Così unica che neanche a dirlo ci meraviglia pure quando non ce ne accorgiamo. Tranquilli, fidatevi di me. Ogni volta la vostra bocca avrà fatto di tutto per aprirsi in segno di OOOOOOOOHHHHHHHH…….

Seppi accorgermene anche lì, su quel treno che mi stava riportando a casa. Lo capii semplicemente guardandomi riflesso nel finestrino mentre il paesaggio scorreva sotto i miei occhi come un film a colori ma muto. Perché lei (la vita) è un seducente dubbio che non si svela mai del tutto.

Ci regala meraviglia nei posti più strani e ci toglie la gioia dove mai avremmo pensato. Nessun Dio, nessun demone. E’ così che deve andare: come mai potremmo prevedere.

Ricordo di aver pensato al discorso di Chaplin sulla felicità. Avete presente? La prima volta lo vidi tatuato per intero sulla schiena di un ragazzo ad una festa in piscina. Forse qualcuno di voi l’ha già sentito e se anche fosse è talmente bello che val la pena di ricordarselo.

“Ho perdonato errori quasi imperdonabili, ho provato a sostituire persone insostituibili e dimenticato persone indimenticabili. Ho agito per impulso, sono stato deluso da quelli che non pensavo lo potessero fare, ma anch’io ho deluso. Ho tenuto qualcuno tra le mie braccia per proteggerlo; mi sono fatto amici per l’eternità. Ho riso quando non era necessario, ho amato e sono stato riamato, ma sono stato anche respinto. Sì, sono anche stato amato e non ho saputo ricambiare. Ho gridato e saltato per tante gioie, tante. Ho vissuto d’amore e fatto promesse di eternità, ma mi sono bruciato il cuore più di una volta! Ho pianto ascoltando musica o guardando foto. Ho telefonato anche solo per ascoltare una voce. Mi sono di nuovo innamorato di un sorriso. Ho creduto di morire di nostalgia e… ho avuto paura di perdere qualcuno di molto speciale (che ho finito per perdere)… ma sono sopravvissuto! E vivo ancora! E la vita, non mi stanca… E anche tu non dovrai stancartene. Vivi! È veramente buono battersi con persuasione, abbracciare la vita e vivere con passione, perdere con classe e vincere osando, perché il mondo appartiene a chi osa! La Vita è troppo bella per essere insignificante!”

Ed è esattamente così che io la penso.

Ragazzi, questa è vita!

Altrimenti la si sarebbe chiamata “cappuccino” o “borsa della spesa”, né più né meno. Esattamente come qualcosa che già sappiamo e conosciamo ancor prima di bere o di pagare. Avete commesso degli errori? Ok, qual’é il problema? Siamo esseri umani votati per natura all’imperfezione. L’importante è che di quegli errori sappiate darne una giustificazione e (cosa ancor più importante) li abbiate compiuti senza alcuna cattiveria. Andate fieri dei vostri sbagli ogni qual volta avrete l’onestà di riconoscerli. Noi tutti (me compreso), e questa cosa forse vi parrà strana, siamo soprattutto figli dei nostri errori più che delle nostre saltuarie vittorie.

E allora un brindisi ad ogni singolo errore della mia vita perché fatto sempre e solo con incosciente bontà. Detto questo, inutile negarlo, resta una sola cosa da fare. Ricordarci bene una cosa: siamo come siamo anche grazie alle persone che ci hanno vissuto.

Tratto dal manoscritto inedito: “VERA FINTA STORIA RACCONTATA DA UN BUGIARDO PENTITO” di Giuseppe ‘Giupy’ Boles

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