Pomponesco e Gazzuolo, si
è spento il Maestro Luigi Fava

Il cielo aveva bisogno di musica. E di un interprete d’eccezione figlio di questa terra e figlio d’un viaggio senza tempo, sempre accanto alle sue note. Ne aveva bisogno in questi tempi di nuvole grevi, lui che ad orecchio, le note le sapeva leggere ed interpretare. Si è spento il Maestro Luigi Fava. Aveva compiuto una settimana fa 92 anni, accudito con amorevole cura dai familiari e da tutto il personale della RSA di Gazzuolo. Ne avevamo narrato le vicissitudini cinque mesi fa, cogliendo tutto quel che era possibile cogliere dalle sue parole. L’immenso amore per lo swing e per la vita in primo luogo, che da qualche tempo correva più lieve nella Casa di Riposo di Gazzuolo. Ci aveva dato una profonda lezione, una lezione di vita per la quale non riusciremmo mai a ringraziarlo abbastanza.
Luigi Fava era nato a Pomponesco il 3 agosto del 1932. Figlio del contoterzista Giuseppe Fava, era stato il papà dopo le elementari nella stessa Pomponesco a decidere di iscrivere Luigi alla scuola di musica di Viadana. “Intanto impara e vai a suonare, così quando farai il militare non fai pure la guerra…“, gli ripeteva. Per dargli un futuro, un destino diverso e lontano dal tintinnìo delle armi e dall’immensa fatica dei campi. Un destino migliore.Tutte le settimane, in sella alla sua bici da Pomponesco Luigi andava a Viadana per imparare dal Maestro Mario Goi tutti i segreti della musica.
Viadana allora era rinomata dal punto di vista musicale. Il ragazzo fu scelto dalla fisarmonica, allora uno degli strumenti più raggiungibili. Ce lo aveva raccontato lui stesso, con un grande sorriso ed ironia: col tempo poi impara a suonare altri strumenti ma il primo “Non lo avevo scelto io, ma mi aveva scelto lui!“. Già da ragazzino riesce ad aiutare la famiglia: feste di paese, compleanni, piccoli ritrovi, piccole sale da ballo o spazi adattati al bisogno. Sono canti sull’aia, filos allargati, cresime e comunioni. Sono spazi e sale in cui viene chiamato insieme ad un gruppo di coetanei con i quali suona. Non canta il maestro, se non nei cori e nelle seconde voci, non é quella la sua maggior dote. Ma quel che fa basta e avanza.
A 18 anni ha un gruppo tutto suo: sono in quattro, lui con la fisarmonica, la batteria, il basso e un sassofonista. Fa musica tradizionale, ballate attraverso le quali accende luci nei paesi attorno al suo. Fossero pure piccole luci, si fa conoscere ed apprezzare. Spesso, ci aveva narrato pure questo, si portava a casa una paga in natura, un qualche soldo qualche volta ma tutto poteva servire. Crebbe in questa atmosfera tranquilla, fortemente amato. Nella primavera e in estate riusciva a coprire anche più di un concerto. Per qualche tempo, complice anche la salute del padre divenuta cagionevole, riuscì a mantenere tutta la famiglia, saltando il servizio militare.
Col tempo poi si sposta a Milano, dove continua a studiare, e fonda insieme agli amici, il quartetto Louis. Un nome che lo seguirà per una vita. Sono gli anni ’50. Comincia il boom della ricostruzione, sorgono locali nuovi e per i musicisti e le orchestre e i gruppi come il suo si aprono spazi interessanti. Da Milano la fama, e la possibilità di vivere di quello che fa si amplia. Così come la scelta di cosa fare, di cosa suonare. E’ liscio, ma è soprattutto swing e jazz…
La musica proveniente dall’America lo trova assolutamente interessato. Apprezza tantissimo chi si dedica all’improvvisazione pur riconoscendo sempre che dietro all’improvvisazione c’è sempre una approfondita conoscenza. “Mi piaceva il jazz, improvvisare. Si, c’erano gli spartiti, ma quando potevamo facevamo quello che ci piaceva di più…“. Non aveva problemi ad imparare e a creare, ed i suoi compagni di ventura sono altrettanto straordinari.
Suona spesso nell’area Milanese e pian piano viene conosciuto ed apprezzato pure oltre frontiera. Nei primi anni 50 in Svizzera, Valle d’Aosta e in quelle che cominciano a diventare località montane rinomate e da lì é un attimo. Austria, ancora Italia, Svizzera e infine Olanda.
In Olanda é da subito successo. Locali, Night, ma pure feste, matrimoni, e quant’altro. Swing, blues, jazz, ritmo: l’influenza americana si fa fortemente sentire. E i nostri sono assolutamente bravi. Sanno adattarsi, sanno piacere e sanno di piacere ad un pubblico che, con qualche soldo in più in tasca, vuole divertirsi. Vuole ballare ed innamorarsi, vuole prendere un poco di quell’America che va per la maggiore, anche se in America lo swing nasce almeno 30 anni prima… “Abbiamo seguito le orme della musica. Improvvisavamo spesso, quando si poteva. Gli spartiti servivano come punto di partenza ma per noi il jazz era improvvisazione. Non c’era serata che suonavamo la stessa cosa. E la gente ci chiedeva soprattutto quello che veniva dall’America“.
Amsterdam diventa la sua casa. Da lì crescono le richieste e crescono le sortite. Il quartetto Louis è veramente bravo e sa adattarsi al pubblico pur non perdendo mai la propria tipicità. E gli italiani che suonano hanno sempre una marcia in più. Poi arriva l’amore. Quello per una ragazza conosciuta in uno di quegli appuntamenti musicali. Sono gli anni 60, e Luigi è di fronte a un bivio. Fa la scelta più razionale: quella di fermarsi.
La musica, agli inizi degli anni ’60, dunque si ferma. Ad Amsterdam c’é un’opportunità per il maestro e sua moglie, e poi per i due figli che sopraggiungono: quella di aprire un bar gelateria nella piazza più importante della città. “Dall’apertura della gelateria non ho più suonato. Ho pensato che bisognava finire e fare quel lavoro. La musica? Sì, magari ho strimpellato il piano qualche sera con gli amici ma c’era il lavoro, e la famiglia…“. Una scelta di cui, ce lo dice lui stesso, non si é mai pentito e forse non si é chiesto neppure mai il perché. Era nella logica delle cose, non avrebbe potuto essercene un’altra nonostante del quartetto Louis si parlasse parecchio. Erano conosciuti, stimati, amati e gli ingaggi arrivavano. Ma era una vita di movimento, forse adatta a chi non avesse dovuto pensare ad altro. La famiglia prima di tutto. Fu una scelta fatta dai quattro maestri, senza nessun pentimento.
Inutile dire che in Olanda, oltre all’innata capacità di impresa e di adattamento di quel figlio di Pomponesco, un bar con caffé italiano e un gelato – altro prodotto italico d’eccellenza – fa subito successo. Con la moglie l’impresa gli riesce alla grande. Gli riesce per 30 anni, tanto che poi, a fianco del bar c’é il cinema (un sei sale, e già agli albori degli anni ’80) cinema e l’impresa si espande. Il maestro cessa l’attività nel 1996. Decide, nel periodo invernale di tornare nella terra natìa, a Pomponesco, e nel periodo estivo di andare in Olanda dove l’impresa intanto era passata al figlio e ai parenti che lo coadiuvavano. Alla fine degli anni ’90 il ritorno definitivo a casa.
La musica ricomincia a farsi sentire già qualche anno prima. A parlarci delle lezioni apprese da Luigi Fava dal 1990 al 1992. Luigi le note – vi dicevamo all’inizio – le sente in maniera davvero unica. Le parole sono quelle di un suo allievo di allora, Matteo Costa: “Quando tornò a Pomponesco dall’Olanda per godersi la meritata pensione, mi diede lezioni di Tastiera/organo per 2 anni (anno 1990-92). È una persona bellissima! Una Domenica, prima della mia lezione, lo vidi scrivere un pezzo musicale per organo assieme al Maestro della Banda di Boretto, la cosa che mi lasciò a bocca aperta è il fatto che scrisse tutta la musica senza mai provarla col pianoforte, la canticchiava a voce leggendo lo spartito da loro appena scritto…”
La musica, sopita, torna a farsi animo. I quattro maestri ed amici Luigi, Walter, Tonino e Nelson si ritrovano in un’età in cui possono lasciar spazio alla passione. Puoi anche rinunciare alla musica, e lo puoi fare per tanto tempo, ma poi é la musica stessa che ti viene a cercare. E così fu. Gli amici si rimisero insieme, e a quel gruppo di amici se ne aggiunsero col tempo altri.
Lui resta, alla fine, l’ultimo del quartetto Louis su questa terra, ma nel frattempo con gli stessi amici ed altri che si aggiungonoriesce ancora e per un po’ ad esibirsi.
Luigi Fava dagli inizi degli anni 90 e sino ai giorni nostri, oltre che a suonare e ad esibirsi, cerca di insegnare a tanti la musica. Fiasrmonica, pianoforte, tastiere, canto, composizione. Non aveva perso quello spirito che da ragazzo lo aveva spinto alla musica, non aveva perso quella passione. Casa sua é un via vai di nuovi e vecchi volti, dai ragazzini alle persone in età adulta. E’ un Maestro, un vero maestro: un po’ Jones – ora lo può essere in maniera completa – che spiega cosa significa la musica in un mondo un po’ più complesso del suo e che dice che “Ognuno ha la sua musica, dentro, basta saperla ascoltare”. E un po’ il Carl di Up, che sogna, e fa pensare che poi, alla fine, ciò che si é si diventa e raggiungere un sogno é possibile. Quel sogno fatto di note, é fresco, come quando da bambino inforcava la sua bici e poi viaggiava verso Viadana per realizzarlo. La musica era ancora tutta dentro, pronta ogni volta a venire fuori.
Nel 2018 quella che era stata la compagna della vita si spegne. A Luigi resta la musica, resta la famiglia e poi nel corso degli anni si acuisce l’orecchio assoluto e si acuiscono i problemi legati all’incedere del tempo. Sino al Covid la sua vita é sostanzialmente autonoma a Pomponesco: lezioni di musica, piano, fisarmonica, tastiere, ma pure canto e ritmo. Poi ad accoglierlo é la Casa di riposo di Gazzuolo. Anche lì, nonostante tutti i problemi, riesce a farsi apprezzare ogni qualvolta ha la possibilità di fare musica, di parlare di musica e della sua vita.
Si stanca alla svelta, seduto sulla sua sedia a ruote, ma di musica ti parla e ti risponde con forza. “Quando scrivi scegli la musica che più ti si avvicina. Il Jazz, lo swing, la classica, qualunque genere. Scegli la musica adatta a te, sempre. Oggi sono cambiati i generi, ascoltare la musica é più difficile, sono cambiati i gusti, ci sono tantissimi suoni. Ma in questi anni ho visto anche tante persone scontente. La gente non é più felice come prima. Non riesce a esserlo. In Olanda soprattutto ho conosciuti musicisti americani, e tante volte ho guardato alla loro gioia, é quella la mia musica, e io ho sempre amato chi fa il jazz. Amo i bravi, chi improvvisa, chi ci mette qualcosa. Dai bravi si impara sempre qualcosa. Spartiti? Si, ne ho, ma non ho mai suonato le stesse cose. La musica ti dà sempre qualcosa, é la sua grandezza. E fare ogni volta qualcosa di diverso e nuovo é quello che mi rende felice, che mi ha sempre fatto sentire importante“.
Il Maestro Luigi Fava si è spento. Il suo meraviglioso viaggio è in piccola parte quello che vi abbiamo narrato, fatto di note, ma anche di scelte profonde e motivate. Fatto di musica e poesia. Il cielo aveva bisogno di improvvisare e di Luigi. Che ora suona insieme agli amici le sue note nei raggi di luna e nel vento.
Na.Co.