A StatisticAll Elisabetta Roncati racconta l’importanza di un background economico
(Adnkronos) – A StatisticAll, il Festival della Statistica e della Demografia, giunto alla decima edizione, quella odierna è la giornata più ricca, fra talk e appuntamenti da non perdere: uno di questi è un evento ‘pop’ , il Caffè Economico, che mira a esplorare come la digitalizzazione e i dati possano promuovere la diversità culturale e l’inclusione, mettendo in luce comunità e artisti spesso marginalizzati in determinati contesti, come quelli appartenenti alla comunità LGBTQIA+ o extraeuropei e cerca di rispondere a tali domande: Qual è l’impatto dell’uso consapevole dei dati sulle piattaforme digitali? Quale il potenziale dell’intelligenza artificiale e delle statistiche nel democratizzare l’accesso all’arte e alla cultura, superando le barriere geografiche e sociali?
In tale contesto Elisabetta Roncati, consulente, scrittrice e creator digitale d’arte e cultura, parla del connubio tra arte ed economia, illustrando il suo percorso di formazione: “Quando si parla di arte ed economia insieme, penso che il percorso di studi conti fino a un certo punto. Io, ad esempio, ho intrapreso un percorso di studi che deriva dall’ambito economico-manageriale, nell’ambito però della cultura, alla Bocconi, il cosiddetto Cleacc – Economics and Management for Arts, Culture and Communication. Non sono una storica dell’arte, però”.
“Questa formazione così trasversale mi ha aperto un mondo: avevo, infatti, dei corsi di lettura in inglese, cosa che il percorso classico di beni culturali non ha – continua Roncati – Quando sono uscita dall’università mi sono poi specializzata anche con un master ed ora insegno anche all’università, ma non ho dovuto fare l’iter tipico di chi è laureato in materie letterarie, ma ho trovato subito lavoro in azienda: serviva una persona che sapesse distinguere una crosta da una tela valevole, ma che sapesse anche far quadrare i conti”.
“Ho esordito, poi, nell’ambito dei primi content creator, quelli che oggi sono meglio conosciuti come ‘influencer’. Ho aperto un blog, a cui ho collegato gli account social, chiamandoli con il nome e il marchio che avevo scelto di registrare e qui l’impronta economica ha giocato il suo ruolo. Da quel momento è nato il discorso dello sviluppo dei contenuti digitali. Sono stati anche i fatti a confortarmi, in quanto ero una delle prime persone a usare i social non per recensire prodotti, ma per fare divulgazione scientifica. Non pensavo che fossero così lungimiranti coloro che mi hanno chiamata a lavorare, invece lo sono stati: i social media sono una vetrina, e il loro lavoro, come tutti, va remunerato. Tante realtà mi hanno conosciuta sui social. Servivano nuove persone che scrivessero di arte, una di queste ero io. Quando sono entrata in galleria d’arte ero l’unica persona contrattualizzata, e non quindi con uno stage non retribuito. Il mio datore di lavoro mi ha insegnato che qualcuno che paghi e che riscuota i crediti è sempre necessario. Ci troviamo in una situazione italiana dove non ci sono musei privati che si sostentano in altre forme”, conclude.