Cultura

Il paesaggista Falchi nel ricordo
della nipote: sentimentale e riservato

120 pezzi, tra dipinti e disegni, sono i protagonisti della mostra dedicata a Paride Falchi, nato a Quattrocase e vissuto a Sabbioneta. Inaugurata una decina di giorni fa al Museo Diotti, l’esposizione racconta un’arte che parla del nostro territorio, ma non solo.

Rendendo omaggio all’artista 30 anni dopo la sua scomparsa, si tratta di una raccolta numericamente importante, con tele di dimensioni contenute che mostrano le pennellate rapide con cui Paride Falchi cercava di cogliere l’essenza della luce e del paesaggio.

La mostra – curata da Valter Rosa – si trova nella sezione delle esposizioni temporanee, al pian terreno del Museo. I quadri e i disegni sono divisi per tematiche: i disegni del Falchi decoratore (primo step della sua carriera), i paesaggi casalaschi, i dipinti notturni dai toni scuri.

E ancora: i paesaggi del mare a Porto Venere e di collina, perché Falchi amava il paesaggio di per sé, anche quando non era quello della sua terra natale; e la colonna della Minerva di Sabbioneta, dipinta più e più volte sotto varie luci e stagioni, un po’ come fece il famosissimo Monet con la cattedrale di Rouen.

Ad interessare Paride Falchi non era tanto l’interesse documentaristico, quanto la variazione ambientale, i giochi di luce, gli scorci che rendevano speciale anche un fossato a bordo di un campo. Proprio per fissare la luce che filtra tra le nuvole, l’artista si è concentrato sul dipingere i cieli, in una serie di piccoli dipinti anche questi disposti l’uno vicino all’altro nella mostra.

Oltre alla luce, Falchi prestava molta attenzione alle condizioni atmosferiche e climatiche, cercando di restituire la sensazione del gelo invernale, dell’afa estiva, e l’atmosfera della nebbia padana.

Alcuni pezzi della mostra si trovano invece al primo piano, insieme alle opere dell’esposizione permanente, con l’intento di inserirle all’interno di un contesto che per stile o tematica richiamasse il lavoro di Falchi. Le opere dell’artista sono disposte su dei cavalletti, ben distinguibili anche grazie a delle targhette che riportano, oltre al nome del pittore, una breve spiegazione dell’opera. Un esempio è lo studio dei drappeggi, che ricorda i disegni dell’artista casalasco per eccellenza: Giuseppe Diotti, vissuto più di un secolo prima.

Le opere di Falchi inserite nell’esposizione permanente.

 

Nell’ultimo periodo della sua vita Falchi, ormai anziano, non era più in grado di uscire di casa per andare alla caccia della giusta luce e realizzare i tanto amati dipinti en plain air. Ma “finché ha potuto usare le mani, ha continuato a dipingere”, racconta la nipote Ombretta Falchi, e si è quindi dedicato a ritrarre nature morte all’interno del suo studio.

In effetti, l’artista non aveva smesso di dipingere nemmeno nel difficilissimo periodo del dopoguerra, in cui, racconta sempre la nipote Ombretta, si arrangiava disegnando su qualsiasi cosa trovasse: cartoni, sacchi di pasta e farina, trovati a volte dipinti anche su entrambi i lati.

Nonostante la predilezione per il paesaggio, Paride Falchi si è anche dedicato a ritratti di familiari e autoritratti, realizzati perlopiù a matita.

Paride Falchi iniziò ad essere particolarmente conosciuto ed apprezzato negli Anni ’70/’80, grazie agli artisti e critici d’arte Alessandro Dal Prato e Renzo Margonari. In occasione della mostra al Palazzo Ducale di Mantova nel 1986, Rai 3 fece un servizio sull’artista, rendendolo conosciuto a livello nazionale.

Ombretta condivide i ricordi del nonno, raccontandolo come una persona molto pura e riservata. Questa sua “chiusura”  ha forse penalizzato la promozione del suo lavoro, ma ha sicuramente favorito l’introspezione, donando dei quadri che mostrano la realtà filtrata dalle emozioni e dalle sensazioni dell’artista.

La critica lo definisce, proprio per questo motivo, “il paesaggista padano più sentimentale“. “Non è un fotografo distaccato – spiega Ombretta Falchi – ma è parte integrante dell’ambiente.” Tutte le mattine Paride allestiva gli strumenti di lavoro e la sua bicicletta, andava per le campagne a cercare un posto degno di essere ritratto, secondo la sua spiccata sensibilità. Allestiva il suo cavalletto, creando così il suo temporaneo studio all’aperto. Era molto veloce e sempre sull’attenti: “se scoppiava un temporale, lui subito scappava fuori per ritrarlo”, racconta Ombretta.

Nel 1995, anno della morte dell’artista, venne allestita una mostra in suo onore nella Casa del Rigoletto, a Mantova; trent’anni dopo, la mostra tornerà al Rigoletto quest’autunno. Ad ogni modo, ora i dipinti di Falchi sono accolti a Casalmaggiore, rimanendo protagonisti al Diotti fino al 4 maggio, giorno di chiusura dell’esposizione.

Camilla Gnaccarini

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