Marco Niro e “L’uomo che resta”:
un romanzo tra clima e futuro

In libreria dal 31 gennaio 2025, L’uomo che resta (Les Flâneurs Edizioni) il secondo romanzo del casalese Marco Niro, sarà presentato sabato 17 maggio alle 17.30 presso il Centro Primavera a Casalmaggiore con Anpi e a Persico Dosimo alle 21 presso il circolo Arci Persichello.
Ad intervistare l’autore in entrambe le occasioni sarà il professor Giancarlo Roseghini. Giornalista e scrittore, Niro, nato a Casalmaggiore nel 1978 ha collaborato con varie testate giornalistiche e oggi si occupa di comunicazione ambientale; è uno dei fondatori del collettivo di scrittura Tersite Rossi. La sua ultima opera è un’avventura epica che, sullo sfondo del cambiamento climatico, lega a doppio filo preistoria, il presente e un domani non così lontano.
“In questo romanzo – afferma lo scrittore – passato, presente e futuro si alternano costantemente, intrecciandosi in modo sempre più stretto e svelando sempre più chiaramente il filo rosso che unisce le tre vicende, dando vita a un’unica storia che finisce per sovrapporsi, come una metafora, a quella dell’uomo. I personaggi, seppur appartenenti a epoche diverse, vivono le medesime situazioni, spinti dalle medesime motivazioni: inquieti, vanno alla ricerca di qualcosa d’ignoto che, quando finalmente viene scoperto, inizia a muovere meccanismi più grandi di loro, costringendoli ad affrontare, nel lungo periodo, cambiamenti sconvolgenti e pericoli in grado di condizionare la loro stessa sopravvivenza”.
Molteplici e di grande rilevanza i temi affrontati nell’opera, come spiega l’autore: “Innanzitutto, il rapporto tra uomo e cambiamento climatico, e più in generale il rapporto tra l’uomo e l’ambiente in cui vive. D’altra parte, parlare di temi del genere mi ha portato a riflettere sulla stessa specificità umana, ricercata fin dalle sue radici preistoriche e individuata nelle capacità di pensare in modo simbolico e di raccontare storie.
L’uomo che resta ragiona costantemente sulla necessità di bilanciare il desiderio di scoperta e conquista insito nella natura umana con l’accettazione dei limiti ecologici, intesa come unica via di salvezza, per quanto lastricata da una dimensione tragica. Inevitabilmente, quindi, i personaggi del romanzo finiscono con il rappresentare la sempiterna contrapposizione tra la legge del più forte, che di quei limiti si disinteressa, e il solidarismo, che invece prova a rispettarli. Infine, non potevo esimermi dall’inquadrare questo discorso in ottica futura, introducendo il tema del post-umanesimo fondato sull’intelligenza artificiale, visto come nuova religione di un’umanità non più umana”.
Tra crisi climatica e intelligenza artificiale, L’uomo che resta si presenta quindi come un romanzo decisamente attuale: “In effetti – afferma Niro – lo è, ma non l’ho scritto per cavalcare l’attualità. Le tematiche ambientali, intrecciate a quelle sociali, sono da sempre di mio interesse, sia professionalmente che soprattutto come cittadino. La spinta per scrivere questo romanzo, tuttavia, me l’ha data la lettura di un altro libro, uscito ormai dieci anni fa: La grande cecità di Amitav Ghosh. In questo suo testo, il grande antropologo e scrittore indiano ha osservato che il cambiamento climatico dovrebbe essere la principale preoccupazione degli scrittori di tutto il mondo. Eppure, ancora oggi, quasi nessuno lo rende oggetto di narrazione.
La principale ragione di questo disinteresse sta, secondo Ghosh, nella tendenza della cosiddetta letteratura seria a marginalizzare elementi quali l’improbabile, gli interlocutori non-umani, gli ampi spazi e i lunghi tempi, la natura, la dimensione collettiva e la dimensione visiva. Ghosh sostiene che, solo facendo di questi elementi i pilastri delle loro narrazioni, gli scrittori saranno in grado di raccontare ciò da cui dipende la stessa sopravvivenza della nostra specie. Nel mio piccolo, con L’uomo che resta ho cercato di rispondere a questo appello e di dare il mio contributo”.
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