Cronaca

Maurizio Agostino: "Quando è crollato il ponte Morandi ho pensato a Casalmaggiore"

Meno male che il Ponte sul Po è stato chiuso perchè come detto all'incontro di Gussola qualche mese fa poteva collassare". Parola di un esperto in calcestruzzi

COLORNO – Quella di Maurizio Agostino è una delle analisi più serie che leggerete, un’analisi che parte dalla tragedia di ponte Morandi ma lo fa seguendo la strada del calcestruzzo. Argomento sul quale è assolutamente ferrato. In tempo di tuttologhi, di show businness, di esperti senza esperienza, di parole spesso usate senza basi solite alle quali aggrapparsi, un’analisi tecnica è una rarità.

Maurizio Agostino può permetterselo. E’ uno dei pochissimi in Italia che puà fregiarsi del titolo di ‘tecnologo del calcestruzzo’. Un titolo riconosciuto all’estero dove i tecnologi del calcestruzzo sono tra i tecnici deputati ai controlli delle infrastrutture, essendo propriamente profondi conoscitori della ‘materia prima’. In Italia un albo non esiste, mentre sarebbe necessario che figure tecniche di questo tipo fossero impiegate nelle analisi delle strutture.

Partendo dal calcestruzzo, quel che è successo a Genova sarebbe potuto succedere anche a Casalmaggiore: “Il calcestruzzo è arrivato a fine vita, inutile girarci attorno, lo dico dall’inizio e lo ripeto adesso. E’ ora di pensare ad altro, di cambiare. E’ come quando tu hai una macchina. Quando arrivi a 250 mila km la dai via, prima che ti si ingrippi, perché comunque alla prima difficoltà ti lascerà a piedi. Tutti quei ponti costruiti negli anni 60 hanno quel tipo di problematica. E’ come se decidessimo di continuare a far andare auto con 300 o 400 mila km. In questi giorni, e dopo la tragedia di Genova si vedono un numero spaventoso di ponti con problemi. Adesso c’è da fare tutto, sino a ieri erano tutti con la testa sotto il lenzuolo: cosa si è fatto per la manutenzione?”. Non esiste una politica seria sul controllo dei calcestruzzi, la spiegazione la troverete in fondo alla relazione che pubblichiamo qui sotto. “In Italia non esiste una figura come il tecnologo del calcestruzzo. Gli ingegneri sanno poco o nulla sul calcestruzzo. Servono le competenze, e servono studi specifici. In Italia non andrà mai bene, poiché non abbiamo le forme di controllo che hanno gli altri paesi europei. In Francia ad esempio esiste un Bureau de Control, che controlla i cantieri. E’ un organo super partes, le imprese sono tenute a fare i lavori nel miglior modo possibile ed utilizzando i materiali migliori perché se le cose non sono fatte come devono essere fatte il Bureau blocca il cantiere e prende in mano ad esempio gli ordini dei materiali. Se tu ad esempio costruisci un ponte vicino al mare dovrai utilizzare un calcestruzzo che tenga conto della componente salina dell’aria. Se non lo fai, in Francia bloccano i lavori e l’ufficio preposto ordina per te i materiali che servono, materiali che poi tu paghi. Peraltro, cosa non meno importante, in genere all’estero i contratti di manutenzione sono affidati in genere a chi costruisce per cui l’impresa stessa con la prospettiva di un contratto di almeno una quindicina d’anni, ci tiene a fare le cose come devono essere fatte poiché quello che spendi in più prima non lo spendi poi. In Italia la normativa, anche la NTC 2018 di recente approvazione, è fatta all’italiana. Trovi sempre una scappatoia, qualcosa di lacunoso. Tanto per dire i controlli sui calcestruzzi sono demandati all’ingegnere responsabile di cantiere che però può delegare qualcun altro a farlo. E soprattutto non si parla delle competenze che questo delegato deve avere”.

La relazione di Agostino è precisa e puntuale. La pubblichiamo integralmente, anche se è necessariamente un po’ lunga. Ha avuto remore Agostino – questo fa capire anche la serietà professionale del tecnologo che già impassato avevamo avuto il piacere di pubblicare su Oglio Po News con una disamina molto dura sulle condizioni di Ponte Po a Casalmaggiore – a farlo prima per raccogliere più dati possibili e per non apparire come un polemista o peggio ancora uno sciacallo. Lo fa quindici giorni dopo. I termini non cambiano: la possibilità di vita del calcestruzzo è conosciuta, le analisi sul suo stato di conservazione possibili, le previsioni anche.

“Non avrei mai immaginato di scrivere considerazioni tecniche su un disastro come quello del Ponte Morandi a Genova. Quindici giorni dopo il giorno del collasso, i media non hanno fornito informazioni chiare sullo stato del degrado.

Di fronte alla scelta fra l’intervista ad un esperto, seppure sconosciuto a livello televisivo, e un telegenico, si è scelta la seconda e con essa la diffusione di gravi imprecisioni e informazioni lacunose.

Qualcuno ha parlato d’inibita capacità legante del cemento ad opera della sabbia, mentre ancora nessuno ha spiegato la differenza fra cemento, calcestruzzo e cemento armato. Molti “tuttologi” concordano, invece, sul fatto che il ciclo di vita utile del cemento armato sia un dato sconosciuto e che la scienza delle costruzioni operi alla cieca e attenda questo dato sulla pelle di tutti noi.

La chiarezza è quindi d’obbligo, la durabilità del cemento armato è ben nota e diagnosticabile.Il Ponte Morandi è una struttura inaugurata nel ’67 costruito impiegando cemento armato ordinario per torri e pile, mentre cemento armato precompresso per la sede stradale (impalcato), stralli (tirante inclinato in calcestruzzo) e tiranti (cavi d’acciaio).

Stando alle notizie diffuse, la causa del collasso ancora tutta da accertare, sembrerebbe il distacco di uno degli stralli, per ciò che si legge sui giornali, derivante da scarsa o inadeguata manutenzione.

Il calcestruzzo è una miscela di sabbia, una o più ghiaie, acqua, cemento e additivi chimici. Questi ultimi hanno il compito di mantenere lavorabile il calcestruzzo durante le fasi di getto e incrementarne la resistenza allo stato indurito. Quando si costruì il Morandi, il calcestruzzo era spesso prodotto in cantiere, dalla collaborazione fra Direttore dei Lavori ed impresa di costruzione. Data l’esiguità di normative ci si affidava, più che altro, alle singole esperienze dei professionisti. La prima vera normativa in tal senso fu la legge n. 1086 del 1971, quindi il D.M. del 1990 per la progettazione, esecuzione e collaudo di ponti.

All’interno del calcestruzzo è affogata l’armatura (o gabbia), una serie di barre in acciaio con il compito d’incrementare la capacità statica “collaborando” con il calcestruzzo alla sopportazione dei carichi. Allo stato indurito, il binomio calcestruzzo più armatura prende il nome di cemento armato.

Si utilizza il termine “ciclo di vita” di una struttura il tempo entro il quale è possibile fruire in condizioni di sicurezza della struttura stessa. Oltrepassato tale limite temporale il suo utilizzo non sarà più ritenuto sicuro.

La normativa attualmente in vigore richiede per la progettazione di strutture come il ponte di Genova, un ciclo di vita minimo di almeno cento anni. A condizione che si esegua la manutenzione ordinaria. Negli anni ’60 la vita dell’opera era stimata a fine lavori in funzione del grado di accuratezza dell’esecuzione.

La chimica dei materiali è progredita nel corso degli anni e i cementi, a quel tempo con prestazioni oscillanti in termini di presa e sviluppo della resistenza, ridondavano tali fluttuazioni anche sui calcestruzzi. Il calcestruzzo, come si è detto, era spesso prodotto in cantiere e non con un processo industrializzato controllato da sensori e terminali, come oggi avviene presso quasi tutti i produttori. Quasi tutti.

Le sabbie e le ghiaie impiegate nei calcestruzzi moderni sono selezionate e classificate per idoneità, grazie a test di laboratorio che accertino l’assenza di reazioni pericolose fra esse e gli altri “ingredienti” del calcestruzzo.

Il mantenimento della lavorabilità, termine usato per indicare la costante fluidità del calcestruzzo che permette un’agevole messa in opera, è garantito dagli additivi chimici dopo la scoperta che l’acqua, per molti anni aggiunta al carico per ottenere la stessa caratteristica, minava lo sviluppo della resistenza nel materiale indurito.

La produzione dei calcestruzzi utilizzati in quei cementi armati si basava sul concetto del “dosaggio”. Per usare concetti semplici, il calcestruzzo di progetto era prescritto indicando il quantitativo minimo di cemento, in chilogrammi, che doveva inderogabilmente contenere. Il produttore e l’impresa erano responsabili solo del quantitativo di legante utilizzato e non della prestazione finale.

Lo sviluppo tecnologico, ha cambiato radicalmente questo aspetto che da molti anni prevede l’utilizzo di calcestruzzi “a prestazione e durabili”, per i quali è richiesta al produttore una resistenza attesa. Egli da un lato sarà libero di utilizzare tutto il proprio know-how per l’ottenimento del dato richiesto ma contestualmente diverrà perseguibile per Legge di qualunque valore, se inferiore a quello richiesto, verificato durante il collaudo.

Nessuna scelta errata dei materiali quindi per il Morandi, ma solo l’impiego di prodotti e tecnologie che oggi sarebbero, naturalmente, sorpassati ma che ai tempi erano le più avanzate.

L’Italia del dopoguerra e la rete autostradale che ancora oggi percorriamo sono state costruite in quegli anni, con quei materiali che oggi sono giunti a fine ciclo di vita. Il tempo è passato e si devono verificare e monitorare quei materiali, con una politica di programmazione che sostituisca tutte le opere con realizzazioni più moderne. La tragedia del ponte ha però puntato un faro sulla condizione di altre opere nel Paese il cui stato di degrado è visibile a tutti.

Molte di esse, anche se ben più recenti, sembrano “cadere a pezzi” perché il calcestruzzo del cemento armato, se non confezionato in modo responsabile e competente,  è più aggredibile da una serie di fattori quali l’inquinamento atmosferico, i sali utilizzati per disgelare le strade, l’aria di mare, gli elementi chimici presenti nei terreni o nelle acque con i quali viene a contatto. É l’acqua l’elemento scatenante. Le gocce della pioggia e quelle della nebbia precipitando al suolo inglobano l’anidride carbonica e gli agenti inquinanti prodotti dall’attività umana presenti in atmosfera. Le stesse gocce bagnano il calcestruzzo che, contrariamente alle convinzioni di molti, non è per nulla impermeabile, e che quindi nel tempo finisce per assorbirle.

Penetrando il calcestruzzo esse veicolano all’interno i composti che hanno raccolto durante la precipitazione in atmosfera, i quali a seguito di reazioni chimiche generano composti acidi che attaccano l’acciaio dell’armatura.

Il ferro inizia a depassivarsi o, per usare un termine più comprensibile, arrugginire. La formazione della ruggine fa aumentare il diametro delle barre di ferro che iniziano a spingere contro al calcestruzzo nel quale sono affogate. Con il progredire del processo aumenta la spinta che dapprima genera cavillature e poi delle vere e proprie crepe. La spinta non si arresta fino a quando il calcestruzzo non si spacca staccandosi letteralmente dalla struttura (espulsione del copriferro) e rendendo visibile le barre di ferro completamente arrugginite. Una volta esposto all’aria la ruggine progredisce più velocemente e accorcia il ciclo di vita utile del calcestruzzo.

Peggiore sarà la qualità del calcestruzzo e più penetrabile risulterà il cemento armato. Minore sarà lo spessore di calcestruzzo che ricopre la barra più esterna e più velocemente s’innescherà il meccanismo di degrado.

Qui si apre una diatriba che da decenni è evidenziata dalle associazioni di settore e dagli operatori: la competenza dei controlli. Nel caso di una nuova opera il controllo è affidato al Direttore dei Lavori, ruolo spesso  incarnato dall’ingegnere progettista, il quale dovrebbe recarsi in cantiere e confezionare dei cubetti di calcestruzzo (detti provini) che, conservati secondo precise direttive di legge, invierà al Laboratorio Ufficiale autorizzato per verificane la capacità di sopportazione del carico “stritolandoli” con una pressa.

Nella pratica tale operazione dopo essere passata nella competenza dell’impresa di costruzione, finisce in capo  al fornitore del calcestruzzo, si pone cioè il controllato a controllarsi. É molto semplice capire il motivo di questo scarica-barile. La messa in opera del calcestruzzo (il cosiddetto “getto”) avviene durante l’intera giornata di operatività in cantiere e il confezionamento dei provini per il laboratorio richiede un dispendio di tempo e risorse. Uno studio di progettazione, com’è ovvio, segue contemporaneamente numerose strutture, e un ingegnere non è in grado di sovrintendere contemporaneamente il prelievo di materiale per i cubetti in più cantieri. Ecco perché il produttore di calcestruzzo si trova “obtorto collo” ad essere incaricato dall’impresa a tale compito, che a priori rifiuterebbe. Preso fra “incudine e  martello” lo si invita ad accettare in un modo che più o meno suona così: “o confezioni i provini durante il cantiere al posto mio, oppure verifico la disponibilità del tuo concorrente in tal senso”.

Su questo tema consiglio la lettura di un mio scritto di molti anni fa (Agostino Maurizio, “I controlli in cantiereQuarry and Construction, Edizioni Pei, Gennaio 2011).

Da ultimo un cenno ai produttori di calcestruzzo. Dal 2009 hanno l’obbligo di conseguire la certificazione F.P.C. (Factory Production Control) mediante ispezione e verifica del processo produttivo da parte di un ente terzo autorizzato dal Ministero.

Le considerazioni da fare sono molteplici. La prima è in merito alla credibilità di una simile certificazione che vede il produttore (il controllato) pagare un “ente di certificazione” per verificare la propria idoneità a fornire calcestruzzo qualunque tipologia e dimensione abbiano le strutture da realizzare.

Su più di mille impianti di produzione non si ha notizia di uno solo di essi chiuso per inadeguatezza della strumentazione o competenza. Sono tutti in regola.

La seconda riguarda il controllo da parte del Ministero agli “enti di certificazione” per verificare che questi svolgano in maniera diligente le verifiche presso il produttore di calcestruzzo. In pubblici incontri i rappresentanti del Ministero hanno denunciato una mancanza di organico necessario ad eseguire i controlli sugli “enti di certificazione” o a verificare “a campione” le centrali di produzione certificate.

Da anni i produttori di calcestruzzo richiedono al Governo un controllo più rigoroso, loro stessi vogliono eliminare dalle proprie fila coloro che non sono all’altezza. Sui controlli delle strutture esistenti, sono note dolenti che bisognerebbe discutere e regolamentare una volta per tutte.

Il primo step è l’impiego di prove cosiddette “non distruttive”. Per esempio, onde ultrasoniche che propagate all’interno della struttura permettono la verifica di uno stato di degrado del calcestruzzo, oppure l’impiego di liquidi reagenti che evidenziano l’alterazione  dell’ambiente che ingloba i ferri dell’armatura. In ultima analisi si procede all’estrazione di piccoli cilindri di materiale da sottoporre allo stesso schiacciamento dei provini in calcestruzzo.

Da qualche settimana sono entrate in vigore le nuove Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC), un vademecum sul come fare, cosa controllare e come costruire in Italia. Quelle precedenti risalgono al moto d’animo generato dal sisma in Abruzzo. All’interno di questo immenso manuale ancora una volta, non sono istituite figure professionali adeguate ai controlli, alle progettazioni dei calcestruzzi e alle verifiche in cantiere. Come sempre non si parla del “tecnologo del calcestruzzo” figura, di fatto, presente all’estero.

Di norma una parte di questi compiti è assolta dai Laboratori Ufficiali, strutture autorizzate dal Ministero allo schiacciamento dei provini e all’esecuzione di test sui materiali. Tuttavia in Italia, Paese degli Ordini Professionali e degli Albi, i dati dei calcestruzzi per la verifica statica di un ponte, per esempio, possono essere ricavati da chi abbia seguito un corso d’istruzione sull’utilizzo del metodo SonReb, ma non abbia mai sostenuto gli esami di verifica alla propria preparazione. Mentre i pochissimi tecnici coscienziosi che hanno sostenuto le sessioni d’esame superandole, non possiedono un albo di appartenenza. Facendo un confronto con il  campo medico, è come abilitare alla cardiochirurgia uno studente che pur avendo assistito alle lezioni universitarie non abbia mai sostenuto gli esami di medicina. Nuove leggi, soliti vecchi metodi”.

Infine una battuta, proprio su Casalmaggiore: “Credimi appena ho saputo di Genova ho pensato a Casalmaggiore. Meno male che il Ponte sul Po è stato chiuso perchè come detto all’incontro di Gussola qualche mese fa poteva collassare. Esattamente come quello di Genova”. Parola di un esperto in calcestruzzi, uno dei pochi in Italia con competenze approfondite sulla materia prima. Parole pesanti che – dette da un esperto – lasciano il segno.

Nazzareno Condina

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