In "Tutta la vita che resta"
la forza delle persone comuni
“Questa è una storia di persone normali che, davanti a circostanze straordinarie, tirano fuori il loro lato migliore, diventano eroi per necessità”: così Roberta Recchia, seconda finalista del Premio Viadana, si sofferma sui personaggi di “Tutta la vita che resta”, opera che, per come è strutturata, rifugge da classificazioni.
Difficile inquadrarla, incasellarla in un unico genere, come ha evidenziato Benedetta Boni nel corso dell’incontro con la seconda finalista della trentesima edizione del Premio Viadana. Una considerazione espressa dalla componente della Commissione Scientifica della rassegna, con cui ha convenuto l’autrice stessa.
Tra le pagine del libro, edito da Rizzoli, un arco narrativo trentennale, con la ricostruzione della vita, delle tribolazioni e delle speranze di una famiglia: “Si tratta – spiega Recchia – di un romanzo che racchiude tanti generi. La storia copre un periodo lunghissimo, parte dalla metà degli anni Cinquanta per arrivare fino a metà degli anni Ottanta. È un romanzo familiare che però diventa anche un romanzo d’amore, di formazione e che, a un certo punto, si tinge di giallo. Un’opera che rispecchia la complessità dell’esistenza”.
Sulle tematiche affrontate: “Come detto, è un libro che parla di vite normali che, a un certo punto, subiscono una frattura profondissima, irreversibile, che porta queste persone, in qualche modo, a disperdersi. Racconto un grande dolore, ma soprattutto un percorso di ricostruzione e di speranza. Credo che la sostanza di questo romanzo sia il titolo, perché quello che fanno questi personaggi è un percorso spesso più doloroso del dramma che li ha colpiti, per arrivare ad accettare tutta la vita che resta come estremo gesto d’amore, anche e soprattutto nei confronti delle persone che non ci sono più accanto”.
Una sublimazione del dolore che porta una forma di conforto: “Penso che sia necessario lasciare un senso di apertura e di speranza. Credo che i libri debbano farci credere che la vita, alla fine, potrà riservare qualcosa di bello”. Tutta la vita che resta è già venduto in quindici Paesi, un caso editoriale per un’autrice agli esordi, ma di fatto con una lunga produzione alle spalle.
“Questo libro è la dimostrazione del fatto che non dovremmo mai smettere di credere ai nostri sogni. Ho iniziato a scrivere a undici anni. Ogni anno mi riservavo di scrivere un romanzo da regalare, per Natale, a mia sorella. Nei primi anni disegnavo anche le copertine. Li scrivevo a mano, poi ho iniziato a scrivere al computer. Ogni anno, puntualmente, la omaggiavo con il file del mio romanzo. È successo anche nel dicembre 2022, quando le passo il PDF di Tutta la vita che resta.
Nel gennaio 2023, per la prima volta dopo quarant’anni, decido di confrontarmi con un esperto del settore su questo romanzo che avevo scritto, per avere un riscontro, un’opinione. La mia era una semplice curiosità: sapere se quello che scrivevo poteva avere qualche tipo di valore. Inaspettatamente, dopo aver girato lo scritto a un’agenzia letteraria, vengo contattata da Laura Ceccacci, la mia agente. Dopo poco sarebbe arrivato l’approdo in Rizzoli”.
Numerosi gli spunti e le domande del pubblico durante la serata, aperta dall’intervento introduttivo di Rossella Bacchi. L’assessore alla Cultura del Comune di Viadana, dopo aver ricordato il ruolo prezioso della Fondazione Ponchiroli e della Commissione Scientifica del Premio, ha ringraziato il personale della biblioteca, la Provincia di Mantova per la concessione del patrocinio e la professoressa Ada Lina Gorni per aver guidato i ragazzi, componenti della giuria giovani, nell’approcciarsi alle opere in gara.
Lorenzo Costa