Casteldidone patria
del melone? Non proprio,
produttori in crisi
CASTELDIDONE – Il fantasma, quello che senz’alcun preavviso in certe notti dell’anno faceva sentire la presenza nell’antico maniero della Villa Scotti Douglas, e meloni, che fino a qualche anno fa erano il business di Casteldidone. Ora è cambiato tutto, gli spiriti non si fanno più sentire e anche quei frutti dolcissimi dalla polpa gialla conosciuti in tutta Italia rischiano addirittura di sparire.
Che si tratti di un territorio vocato alla coltivazione di meloni da lunghissimo tempo, lo testimoniano persino due citazioni del frutto presenti in affreschi del 1600-1700 nel Castello poco distante dall’azienda ed un altro frutto dipinto a monocromo nella chiesa parrocchiale ottocentesca. Alla fine degli anni 80, nel piccolo paesino del Casalasco, producevano meloni una trentina di aziende, praticamente quasi tutti gli abitanti di Casteldidone, che conta 550 anime. Ne venivano prodotti 1500 quintali al giorno da giugno a settembre, un primato invidiabile che ha fatto conoscere in passato questo paese come capitale italiana del melone.
La piccola comunità dunque basava la sua economia locale su questo frutto. Ora invece di produttori ne sono rimasti soltanto cinque. La produzione è di circa 200 quintali al giorno. A commentare questi dati Massimo Perini, presidente dell’Associazione Produttori di melone di Casteldidone, coltivatore lui stesso di questo favoloso prodotto della terra. Nell’arco degli anni questo frutto, che ha ottenuto il riconoscimento IGP insieme al melone mantovano, entrando a far parte del variopinto mondo dei prodotti certificati, sta scomparendo. I produttori sono ormai ridotti al lumicino, le giovani generazioni non vogliono sacrificarsi, i coltivatori più anziani ormai non ci sono più, la tradizione rischia di andare persa. E per di più, in agricoltura per i meloni, commenta sempre Perini, non ci sono più incentivi. Una supremazia destinata a scomparire perché il settore sta andando sempre peggio. E così i meloni sono stati sostituiti con il mais e con qualche produzione di pomodori.
Silvia Galli
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