Cronaca

Parigine di
Casalmaggiore:
“Colpite al cuore”

CASALMAGGIORE/PARIGI – Ancora Parigi, ancora la città che è simbolo di integrazione. Probabilmente non è un caso che sia stata scelta la capitale francese per il nuovo atto dimostrativo della ferocia dell’Isis, e in particolare quell’area, tra X, XI, XIX e XX arrondissement. L’area nord-ovest della Parigi turistica, quella che si visita all’interno della grande arteria stradale oltre la quale si aprono prima i quartieri periferici e poi la banlieue vera e propria. Un’area che è da tempo la dimostrazione pratica di come l’integrazione sia possibile. Chi è andato nei pressi di Belleville sa bene come al fianco del ristorante indiano ci stia il calzolaio arabo, e di fianco l’albergo gestito da stranieri e negozi con prodotti di ogni parte del mondo. Poche tracce di profili tipicamente francesi, ma il piacere di sentirsi in quello che ci piacerebbe fosse il futuro. Spari, bombe e spavento, tutto quanto gettato contro quell’immagine, che ha fatto tanto male a chiunque osservasse davanti alla tv i fatti di Parigi. Ne parliamo con due donne che risiedono da decenni a Casalmaggiore, ma proprio di Parigi sono originarie. Una è Annie, che ancora oggi va più volte all’anno nella ville lumière nella sua casa, l’altra Monette, che invece vi torna molto più di rado.

Annie ha ancora la casa dei genitori a Neuilly-sur-Seine, posto a ridosso del centro di Parigi, dove il prolungamento degli Champs Elysés conduce al quartiere della Défense. Proprio l’area in cui la polizia francese ha sventato un nuovo attacco suicida, intervenendo nel covo dei terroristi a Saint-Denis pochi giorni dopo il 13 novembre. «Sì, abito nei pressi dell’Arc de Triomphe – afferma Annie -, un quartiere tranquillo rispetto ad altri quartieri della città». Tranquillo fino a ieri. «E’ stato terribile. Ho saputo dell’attacco mentre tornavo da un bellissimo concerto a Cremona. Mi hanno avvisato telefonicamente e sono rimasta muta, sbalordita, poi col crescere del numero dei morti è stato sempre più straziante. Mi sono sentita colpita nel mio intimo, e per qualche giorno mi ha disturbato parecchio: troppo grosso quel che hanno fatto. Poi è subentrata la rabbia: perché dobbiamo subire queste cose? E infine la paura». Si dice che la vita debba continuare come prima. «E’ così, ma la paura resta. Da parigina provo un grosso dispiacere, tra l’altro tra i morti ci sono i due titolari del ristorante Chez Livio (due giovani di origine italiana di cui i media hanno scritto ampiamente, ndr) proprio a Neuilly, non lontano da casa mia. Erano i nipoti dei vecchi titolari, un ristorante che si è sempre tramandato in famiglia, molto conosciuto e frequentato da tanti vip». Tornerà a Parigi come sempre? «Sì, perché ho la casa dei miei, quella in cui ho vissuto, però andrò sapendo di dovermi guardare alle spalle. Credo che per un po’ eviterò i grandi magazzini e gli assembramenti, e pure il metro. Mi sento particolarmente colpita, ma continuerò ad andare 3-4 volte l’anno. sperando che tutto ciò finisca. La città ultimamente è stata molto colpita; già dopo Charlie Hebdo ero affranta, oggi è ancora più dura». Come mai proprio Parigi, e quel quartiere simbolo di integrazione? «Forse proprio perché ospita tante etnie. Il gestore del Bataclan è ebreo, forse incide, ma la causa reale non la conosco. Hanno puntato allo stadio, quindi vogliono creare paura in tutti. E’ una città cosmopolita. Continuo a pensarci ogni giorno, non riesco ad evitarlo. E’ una barbarie, neanche, non esiste una parola per definire quanto avvenuto».

Monette Taillefer è la moglie di Carlo Stassano, fondatore dell’Interflumina. A Parigi torna raramente, anche se ci ha vissuto fino a 21 anni. «Abitavo nel XVII arrondissement, tra Montmartre e gli Champs Elysées. Parliamo ormai di tanti anni fa». L’analisi che fa Monette è profonda, e non vuole essere in alcun modo “egoistica”: «Nel mio percorso personale di vita cerco sempre di allargare il focus: non è perché è toccato alla mia città che l’evento sia più grave di altri che accadono nel mondo. Sarebbe troppo complesso fare un’analisi politica, resta la sensazione personale che coinvolge i parenti. Non ho più i genitori, ma ho un fratello che vive a Parigi, una cognata e un nipote. Sono contenta non fossero sul luogo degli attentati. Per quanto mi riguarda, si cerca di non fare i conti con la paura, sennò il mondo si ferma. Un fatto del genere può capitare ovunque, anche in una stazione come quella in cui sono ora». Sta di fatto che è accaduto in un luogo che rappresenta proprio un esempio di integrazione e forse per questo ha pagato. «Da sempre in Francia abbiamo avuto un’ampia presenza di nordafricani, e nei loro paesi di origine purtroppo questi disastri sono all’ordine del giorno. Il fatto è che quando vediamo che là ci sono 200 morti non ci facciamo caso, questo è un problema mondiale che noi vediamo solo ora che ne siamo colpiti più da vicino. Per quanto mi riguarda cerco di tenermi informata sul fenomeno. Ricordo che da piccola il quartiere arabo era nel vicino XVIII arrondissement, io istintivamente avevo paura di chi si mostrava diverso, ma era un comportamento non voluto e non suggerito dai genitori, anzi. La gente che cresce in ambienti poveri spesso matura idee sbagliate».

Vanni Raineri

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