Arte

Il Cristo morto di San Francesco "strega" anche "Repubblica": le sue origini avvolte nel mistero

La morale della sottolineatura voluta da Montanari è quella che sottende la ricerca della pagina culturale del “Venerdì” di Repubblica, nata proprio per porre in evidenza questi capolavori nascosti. GUARDA IL SERVIZIO DEL TG DI CREMONA 1

CASALMAGGIORE – E’ una figura struggente, e insieme sofisticata. Commovente e astratta. Un uomo, indubitabilmente. A scriverlo è il noto critico d’arte Tomaso Montanari che, tra l’altro, cura una delle pagine culturali più lette e appezzate sul “Venerdì” di Repubblica. Il riferimento è a un’opera molto vicina a noi, realizzata da Jacopino da Tradate e risalente al 1430, che rappresenta il Cristo morto. In un sepolcro assai meno crudele, spiega Montanari. La scultura si trova nella chiesa di San Francesco, a Casalmaggiore, e forse nemmeno gli stessi casalesi conoscevano il valore di quest’opera.

Ora che, con la scelta del parroco don Claudio Rubagotti, le chiese vengono lasciate aperte durante la giornata, favorendo così l’afflusso di fedeli, ecco che ammirare le linee scolpite nel marmo, è molto più semplice. L’autore del Cristo, Jacopino da Tradate, è un grande nome del Gotico internazionale, spiega Montanari: un maestro che lavorò anche al cantiere del Duomo di Milano. Proprio nella casa della Madonnina meneghina, ricorda lo studioso d’arte sul “Venerdì”, esiste un’epigrafe che celebra, sotto il Martino V, Jacopino da Tradate, definito come “un poeta straordinario che non nega la crudezza della realtà ma la rilegge attraverso la dolcezza di curve eleganti, rendendo in questo modo più umano anche l’attimo estremo della morte”.

La segnalazione di Montanari non giunge, in realtà, isolata. Il Cristo Morto, infatti, durante il periodo di Expo, venne esposto a Milano, in Palazzo Reale, all’interno della grande mostra “Arte lombarda dai Visconti agli Sforza”. Si pensi che, fino a una trentina di anni fa, l’attribuzione era addirittura incerta: si parlava infatti, nel volume curato da Enrico Cirani e pubblicato nel 1986 a opera della parrocchia di Santo Stefano, dell’autore come di un anonimo lombardo del XVI secolo. Se alla fine il nome del maestro è emerso dalle nebbie del passato, ecco che l’origine del ritrovamento continua ad essere ricoperta da un alone di mito: pare infatti che la figura plastica sia stata recuperata nei secoli scorsi addirittura dall’alveo del fiume Po. Un dettaglio che aggiunge mistero alla storia, senza intaccare la bellezza dell’opera, anzi casomai esaltandola.

La morale della sottolineatura voluta da Montanari è quella che sottende la ricerca della pagina culturale del “Venerdì” di Repubblica, nata proprio per porre in evidenza questi capolavori nascosti: perché alle volte cerchiamo la grandezza e la magnificenza altrove e nelle grandi città. E invece la bellezza è letteralmente a due passi da casa nostra.

Giovanni Gardani

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