Nicolai Lilin, un personaggio romanzesco: la sua "educazione siberiana" ipnotizza l'Auditorium
Una visione senza fronzoli, nuda e cruda, soprattutto molto colta, perché Lilin, che oggi vive a Milano, prima di tutto è proprio questo. Un uomo di cultura, studioso della propria tradizione e di altre, che girando il mondo ha esportato un “linguaggio”, senza rinunciare mai ad assimilare.

CASALMAGGIORE – Un personaggio romanzesco, divenuto famoso e conosciuto per il suo romanzo “Educazione siberiana” quasi per caso. Nicolai Lilin ha catalizzato l’attenzione dell’Auditorium Santa Croce di Casalmaggiore sabato, intervistato da Giuseppe Romanetti all’interno del programma di Stupor Mundi 2019, dedicato dal comune casalese – rappresentato da Marco Micolo, assessore alla Cultrua che ha portato i suoi saluti – alla Russia. Di sicuro, senza nulla togliere a chi è venuto prima e a chi poi verrà, il personaggio più interessante, per storia narrata (nel libro) e storia personale, dell’intera kermesse.
Occorre partire dall’aneddoto che dà origine al romanzo: Lilin, oggi 39enne, si trova in quel periodo della sua vita (siamo nel 2o09) in Italia, a Torino, e un amico che lavora per il teatro gli chiede di scrivere qualcosa della sua infanzia e dei racconti raccolti dai nonni. Nicolai lo fa, poi – in una vita sempre al limite e sempre attratta dal sottile confine tra legalità e criminalità “giusta e onesta”, come lui la chiama – si reca in Medio Oriente dove lavorerà come operatore internazionale. Il termine “mercenario” va usato tra virgolette e con molta cautela, ma rende l’idea.
In questo momento la casa editrice Einaudi chiama Lilin per un colloquio, lui non sa nulla di cosa sia Einaudi ed è convinto che si tratti di qualcosa di simile ai servizi segreti. Solo alla fine di quel colloquio capisce: Einaudi vuole dare alle stampe il suo “Educazione siberiana”, che nel mentre è stato spedito in gran segreto dall’amico torinese che lavora nel teatro alla storica casa editrice con sede a Segrate. Un “qui pro quo” che strappa un sorriso tra il pubblico, ma soprattutto spiega come a volte le opportunità nascano quando meno te le aspetti.
Lilin, tatuatore, racconta come i tatuaggi in Siberia siano romanzi di vita, siano cioè impronte che ciascuno lascia della propria esistenza sul proprio corpo, senza dimenticare gradi che somigliano molto a quelli dell’esercito. Interessante, stimolata dalla domanda di Giuseppe Boles, la disquisizione su quali tatuaggi siano nati prima, quelli dei Maori (da cui deriva il nome internazionale Tatoo) o quelli dei Siberiani? “Il primo tatuaggio certificato si trova sul corpo di Otzi, la mummia di Similaun custodita a Bolzano, dunque ha come minimo 5mila anni” ha risposto Lilin. Nato in Moldavia, nell’autoproclamata Repubblica della Transnistria, Lilin vive l’adolescenza nel pieno delle guerre civili scatenate dallo scioglimento dell’Unione Sovietica, assimilando dai nonni i racconti di altre guerre, ancora più pesanti, che portarono alle purghe di Stalin: il bisnonno di Nicolai venne fucilato sul cortile davanti ai suoi figli.
Un’esistenza straordinaria e un romanzo, molto autobiografico anche se ispirato soprattutto alle storie ascoltate durante l’infanzia, divenuto celebre grazie al film (del 2013) di Gabriele Salvatores, che Lilin volle come regista, in quanto amico, lasciandogli poi carta bianca. “Il suo film è diverso dal mio romanzo, ma è giusto così: ognuno deve esprimere la sua sensibilità e percezione” ha detto lo scrittore. Un linguaggio in codice che fa delle popolazioni siberiane, di idee storicamente anarcoidi, una sorta di Stato nello Stato e una visione della religione legata anche al crimine molto particolare, un po’ come accade per la Sacra Corona Unita o Cosa Nostra in Italia. Una visione senza fronzoli, nuda e cruda, soprattutto molto colta, perché Lilin, che oggi vive a Milano, prima di tutto è proprio questo. Un uomo di cultura, studioso della propria tradizione e di altre, che girando il mondo ha esportato un “linguaggio”, senza rinunciare mai ad assimilare.
Giovanni Gardani