Opinioni

Mostra dedicata a Rolando Rivi. ANPI: "Rispetto per la memoria del beato. Guerra, avventura senza ritorno"

La responsabilità di chi ha compiuto atti criminali è responsabilità personale. La responsabilità di chi, per motivi anagrafici e territoriali, non ha partecipato agli eventi, è invece quella di tramandare un racconto che sia il più possibile aderente alla realtà storica

CASALMAGGIORE – “In occasione dell’ inaugurazione della mostra a lui dedicata, a Casalmaggiore, l’ ANPI provinciale di Cremona, come già l’ ANPI di Modena, intende partecipare al cordoglio dei famigliari e dei fedeli tutti per la tragica morte di Rolando Rivi”. Così si apre il comunicato di ANPI Casalmaggiore e ANPI Cremona relativo alla mostra che verrà inaugurata a Santa Chiara che racconta i dettagli della breve vita e della morte di Rolando Rivi, seminarista ucciso a 14 anni dopo essere stato torturato da criminali poi condannati per l’efferato delitto.

“Non intendiamo , se non come rispettosi spettatori, entrare nelle vicende che portano alla beatificazione del seminarista. La coscienza di ciascuno, laico o appartenente alla comunità dei credenti, si interroga sulla barbara morte di un quattordicenne, elaborando a suo modo la pietà e il lutto misurati sul valore esemplare dell’evento.

La vicenda legata alla fine del giovane beato è anche un evento storico, che può aiutare a comprendere la complessa e travagliata vicenda del percorso resistenziale. Studiare la storia della resistenza dunque significa anche illuminare le zone ancora oscure legate al complesso momento storico.

La scelta resistenziale fu una scelta spesso sofferta, personale, maturata in tempi molto difficili.  Nel contemporaneo crollare delle istituzione sabaude e fasciste molti giovani dovettero fare una scelta, una scelta che implicava libertà e responsabilità.

Badiamo bene però al significato di questa parola. La responsabilità di chi ha compiuto atti criminali è responsabilità personale. La responsabilità di chi, per motivi anagrafici e territoriali, non ha partecipato agli eventi, è invece quella di tramandare un racconto che sia il più possibile aderente alla realtà storica. Con tutte le fatiche, nello studio e nella rielaborazione, che questo comporta.

La storia della Resistenza si sviluppa nel contesto della Seconda guerra mondiale. Una tragedia da 55 milioni di morti, non dimentichiamolo mai. La resistenza fu un fenomeno complesso, così come complessa e in evoluzione è la storiografia che se ne occupa. Il testo del 1991 di Claudio Pavone, Una guerra Civile, recita come sottotitolo “Saggio per una moralità nella resistenza”. Un testo che problematizza, con assoluto rigore scientifico, una storia che fino ad allora, in alcuni racconti delle opposte sponde, aveva avuto il carattere di agiografie contrapposte.

Partendo dal momento della scelta, l’8 settembre 1943, si evidenzia come la resistenza fosse stata al contempo guerra civile, guerra patriottica (la guerra di liberazione) e guerra sociale. La storiografia resistenziale più recente dunque mette in discussione alcune narrazioni che fino ad allora si erano affermate, analizzando ed esplorando nuovi campi di indagine. Parliamo di storia evidentemente, non di memoria. I due ambiti comunicano, si alimentano vicendevolmente, ma non sono la stessa cosa.

Per questo l’uso pubblico di un tragico evento va trattato con grande rispetto. Il rispetto dovuto innanzi tutto alla memoria del martire. Di tutti i martiri e dei caduti in generale. Che sono tutti testimoni del tragico evento della guerra. Guerra che fu voluta da Mussolini, in cui l’Italia entrò il 10 giugno del 1940, con la motivazione che “serviva qualche migliaio di morti per sedere al tavolo delle trattative”. Poi il 25 luglio, l’armistizio, il crollo dell’ 8 settembre. I lunghi mesi dell’occupazione tedesca e la faticosa avanzata degli alleati. Fino al 25 aprile.

Nel dopoguerra poi le cose cambiano. Gli alleati di ieri possono diventare nemici di oggi e di domani. Ma l’Italia esce profondamente diversa da com’era prima. Una Repubblica e una Costituzione prenderanno il posto di un regno, di un regime, di uno Statuto, delle leggi Fascistissime.

E’ grazie alla Resistenza che l’Italia — paese che aveva dichiarato la guerra e l’aveva persa — non fu trattata come la Germania e cioè spartita e disarmata. Quando il capo del governo italiano, Alcide De Gasperi, si presentò al tribunale dei vincitori — la Conferenza di pace di Parigi, il 10 agosto 1946 — rivendicò di non essere trattato da imputato, ma da “democratico, antifascista, come rappresentante della nuova repubblica” ricordando, appunto, la “lunga cospirazione dei patrioti”, gli “scioperi politici” e le “forze armate italiane che hanno preso parte attiva alla guerra contro la Germania”.

La resistenza è dunque momento fondativo della Repubblica, quella nella quale ancora noi viviamo. Ma non è solo questo che ci interessa. Ci interessa capire che la guerra, di cui la resistenza è un momento, ha lasciato eredità dolorose. Ci interessa capire che una guerra, una guerra civile, non si può fermare come un gioco da bambini, gridando “ arimo”. Un evento così dolorosa porta con se risentimenti e vendette, momenti di confusione, spazi oscuri dove ha buon gioco l’azione di profittatori e comuni criminali. La violenza colpisce tutte le componenti sociali, in particolare quelle più deboli. Ma questo, chi la guerra dichiara, dovrebbe saperlo. Di chi dichiara la guerra è, in ultima istanza, la responsabilità.

Anche i sacerdoti e i religiosi in genere, come il resto della società pagarono un alto prezzo di sangue. Vale ricordare, solo a titolo di esempio, i cinque religiosi uccisi a Marzabotto. Don Elia Comini, Don Martino Capelli, Don Ferdinando Casagrande, Don Ubaldo Marchioni, Don Giovanni Fornasini.

Risuonano allora, nella coscienza dei credenti e non le parole di Mons. Massimo Camisasca Vescovo di Reggio Emilia. «Entrate in questa logica della Riconciliazione voi mariti e mogli, voi figli, voi amici, voi datori di lavoro, voi lavoratori. Il perdono non ci fa rinunciare ai nostri diritti, non elimina la differenza tra il bene e il male, ma ci permette di entrare in una dimensione più grande della vita, in cui tante lacerazioni e ansie possono essere superate, permettendoci di accedere alla pace e alla serenità».

Alla memoria di Rolando Rivi facciamo dunque appello per ricordare sempre le parole di Don Mazzolari, “Tu non uccidere”, con l’ammonimento di Benedetto XV che la guerra è un’avventura senza ritorno”.

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