Bullismo? Si combatte in famiglia... E con l'abbigliamento: concluso percorso a Piadena Drizzona
Tanti altri interessanti passaggi hanno concluso il pomeriggio, di fronte a un buon pubblico, presso il Teatro don Ennio Sozzi, per un’esperienza sicuramente formativa.
PIADENA DRIZZONA – Si è concluso a Piadena Drizzona il corso, in due diversi appuntamenti, fortemente voluto dal comune, col sostegno anche della parrocchia, per promuovere un percorso per combattere il bullismo, in età adolescenziale in particolare. Un percorso che tocca vari fattori e soggetti educativi: la scuola, la palestra e lo sport, ma anche i genitori. Proprio ai genitori era rivolto l’ultimo appuntamento, nel corso del quale sono stati elencati alcuni aspetti interessanti, frutto di sondaggi qualificati.
Sono stati trattati temi come la bassa autostima o le grandi aspettative, tenendo conto che queste ultime spesso – quando non creano eccessiva pressione – portano a un rendimento migliore a scuola e poi nel mondo del lavoro per i figli. Massimo Giuliani, responsabile del Centro Nazionale contro il Bullismo e della Federazione Italiana Educatori Fisici e Sportivi e docente del corso, ha evidenziato l’importanza della comunicazione non verbale, a cominciare ad esempio dal vestiario, perché spesso il bullismo può partire da qui: non si impongono divise – è stato spiegato – ma sarebbe auspicabile senso del decoro, mantenendo con un parallelo molto semplice, le distanze tra la spiaggia e la scuola.
Favorire un abbigliamento troppo spinto o poco decoroso spesso viene interpretato dai ragazzi come un malsano lasciapassare, un modo per lasciare loro completa libertà, in ogni ambito. L’abito fa il monaco, dunque, e può nascondere pericoli: il vestiario punk, infatti, è nato come reazione al mondo e al conformismo di quest’ultimo. Oggi i tempi sono cambiati, così come le spinte motivazionali esterne: una volta l’aspirazione era andare in America, spesso per obbligo e per fare fortuna, oggi è tutto diverso. E pure questo conta nei giovani. Senza scordare il fattore social, indubbiamente pesante nella sua influenza. I social non vanno demonizzati, anzi pure il Vaticano ha iniziato a usarli, ma vanno spiegati e ben utilizzati, per arrivare a comunicare in modo più incisivo, aggiornando il linguaggio, non necessariamente i contenuti.
Spesso dunque la violenza comincia in ambito famigliare, anche da gesti ai quali non si dà peso e che, se sottovalutati, diventano pericolosi. Capire il rispetto delle istituzioni è il secondo passaggio: una volta a scuola ci si alzava in piedi all’ingresso del preside, oggi si è arrivati all’estremo opposto. Al contempo, tuttavia, la divisa non deve diventare una scusante per fare valere la propria autorità in modo illecito: esiste infatti pure l’usurpazione di titoli e onori come reato, oggi depenalizzato, che passa dall’utilizzo di una divisa, appunto, per ottenere un’autorità non garantita dal ruolo che si ricopre. Altri gesti, nel modo di porsi, mostrano tanto o poco rispetto: pensiamo al chewing-gum masticato, ad esempio, a bocca spalancata.
Senza dimenticare l’esempio di Paolo Crepet, psichiatra e scrittore, riportato da Giuliani: “Se io porto il camice, esigo che il mio paziente entri nel mio studio vestito decorosamente” aveva detto Crepet in una intervista. Abbigliamento, dunque, come esempio, controllabile già dalla famiglia. Tanti altri interessanti passaggi hanno concluso il pomeriggio di sabato, di fronte a un buon pubblico, presso il Teatro don Ennio Sozzi di Piadena Drizzona, per un’esperienza sicuramente formativa.
G.G.