Cronaca

Maurizio Zecca, la storia di una vita: come il sognatore di Dostoevskij

Arrivò a Napoli, in un campo d'accoglienza e poi partì per l'America che a quel tempo non aveva problemi a concedere i visti. Gli ho dato 100 mila lire per poter partire. Non l'ho più sentita. Spero sia stata fortunata, e che abbia vissuto una vita felice

CASALMAGGIORE – Il telefono in un cassetto. Tanto poi, alla fine non serve quando la vita corre un po’ più lenta. Un paio di riviste sottobraccio, in inglese, francese e russo. Maurizio Zecca, anzi, per dirla alla sua maniera, il dottor Maurizio Massimiliano Zecca beve il suo bicchiere di latte freddo al Caffé Centrale. Qualcuno che glielo offre lo trova sempre. Maurizio è uno dei personaggi del quotidiano casalasco che tanti ne ha perduti per strada. La strada di Maurizio va avanti a passo lento.

Ha una memoria ferrea. Ricorda date, nomi, volti ed emozioni. Qualche volta accenna un sorriso. Maurizio è nato a Casalmaggiore l’8 luglio del 1943. Non ha ancora tre anni quando una mitragliata gli porta via il padre. “Mio padre è morto a 30 anni – racconta – ucciso dai partigiani a Crissolo, in provincia di Cuneo. Era sergente maggiore della divisione Monterosa, gruppo Bassano. Era il 28 aprile del 1945, la guerra era finita e lui stava tornando a casa dal fronte francese. Andò a riprenderselo mio zio, era ancora riverso sulla strada. Poi fu seppellito a Sondrio, suo paese di origine”.

Il padre e la madre di Maurizio si erano conosciuti in un bar a Parma. Erano giovani studenti, avevano sogni e una vita da realizzare. Quei sogni e quella vita furono spezzati dalla guerra. Fiorinda Contini – un diploma magistrale – tirò su quel figlio da sola, senza mai risposarsi. Fu prima contabile a Parma e poi maestra per tanti anni, 28 a Cappella, 1 a Villanova e due a Scannabue. Fiorinda visse a Casalmaggiore e per quel figlio sino al 2005. S’addormentò il 25 marzo di quell’anno sulla poltrona di casa. Fu il figlio stesso a trovarla.

E’ uno sportivo. Di quelli veri. di quelli che amano lo sport senza differenze. E’ un mediano ambidestro che può fare strada nel calcio. Gioca nella Casalese, nel Viadana, nel Torrile e nella Giovane Italia di Parma. Si ricordava bene di lui ‘il Cino’ Bertolani, indimenticata ala destra della Cremonese della fine degli anni ’50, in serie C. Lo aveva marcato duro in un incontro amichevole. E di lui il Cino aveva rispetto. “Ogni volta che passava di qui al bar – conferma Franco Frassanito – ci chiedeva sempre sue notizie e di salutarci Maurizio”. Ma la carriera sportiva non fu fatta di solo calcio. Insieme a Fulvio Rangoni Zecca vinse una medaglia d’oro su una jole a 4, aveva praticato judo a Casalmaggiore sino ad arrivare alla cintura marrone. Interruppe l’arte marziale solo perché a Casalmaggiore la società sportiva fu chiusa. E’ stato anche un discreto giocatore di tennis.

Maurizio Massimiliano Zecca studia a Parma, prima il liceo Marconi e poi la facoltà di Giurisprudenza. E’ portato per lo studio. Impara francese e tedesco a scuola e, contemporaneamente, apprende l’inglese all’Oxford Institute di Parma e – non pago – decide anche di imparare il russo frequentando due volte alla settimana, la scuola serale dell’Istituto Italia URSS di Parma. Dopo la laurea fa sei mesi di praticantato dall’avvocato Storti ma poi, quando sta per arrivare al dunque, qualcosa si rompe. “Mentre facevo pratica legale vado in esaurimento nervoso. Non riesco più ad andare avanti”. E’ il 1970, Maurizio ha appena 27 anni. Qualcosa in lui si era arenato per sempre.

Abbandonata la carriera di avvocato, Zecca fa quello che gli riesce meglio e che, per tanti versi, fa tutt’ora. Diventa traduttore ed interprete, lo cercano numerose aziende. Viaggia un po’ in tutta Europa, gli imprenditori si fidano di lui: alcuni accordi tra imprenditori casalesi ed esteri di quegli anni passano dalle sue traduzioni e dalle sue parole. Ma non va via solo per affari. “Ho accompagnato Vittorino Germani in Olanda – ci racconta – per una visita medica da uno dei migliori oculisti mondiali. Ricordo che gli dissero che sarebbe diventato cieco, ed io ho dovuto tradurglielo. Non stava bene Vittorino”. Morì tre mesi dopo dal ritorno da quella visita medica.

Il suo ruolo di interprete lo porta in tutte le capitali europee “Tranne Londra e Madrid”. Nel 1986 va a Mosca, al seguito di una scolaresca che lo contatta. “Ero partito insieme al liceo linguistico di Parma – prosegue – facemmo scalo a San Pietroburgo prima di arrivare a Mosca. Fu un viaggio studio di 21 giorni, alloggiavamo all’hotel Sebastopol. Fu un bel viaggio”. La Russia e Dostoevskij. C’é una parentesi importante che unisce il paese della rivoluzione e del grande freddo a Maurizio. Un parallelismo che ci è subito tornato alla mente nel proseguio della sua storia.

Negli anni ’70 Maurizio si innamora – ricambiato – di una ragazza ungherese, Susanne Woitanoskj. Passaporto ungherese e origini polacche. Lei si trasferisce in Italia, i due convivono per un anno. Viaggiano insieme, e si amano davvero. “Alla fine di quell’anno bellissimo – spiega – Susanne partì per l’America. C’era il rischio che venisse rimandata in Ungheria e lei mi diceva sempre che non sarebbe voluta tornare mai, e per nessun motivo, in un paese comunista. Arrivò a Napoli, in un campo d’accoglienza e poi partì per l’America che a quel tempo non aveva problemi a concedere i visti. Gli ho dato 100 mila lire per poter partire. Non l’ho più sentita. Spero sia stata fortunata, e che abbia vissuto una vita felice”.

Dostoevskij, Le notti Bianche. Maurizio è il sognatore che vaga per San Pietroburgo, Susanne in fondo, la sua Nasten’ka. Il sognatore si innamora della fanciulla. Immagina una vita con lei sino a quando poi lei non se ne va. Il personaggio di Dostoevskij alla fine, quando avrebbe potuto provare tristezza o rabbia, esprime solo gratitudine. “Non pensare che ricordi il mio dolore, Nasten’ka! Che spinga una nuvola scura sulla tua chiara e tranquilla felicità, che, rimproverandoti aspramente, spinga l’angoscia sul tuo cuore, lo offenda con un segreto rimorso e lo faccia battere angosciosamente nel momento della beatitudine, che sciupi anche uno solo di quei teneri fiori che hai intrecciato nei tuoi riccioli neri, quando sei andata insieme a lui all’altare. Oh, mai, mai! Che sia chiaro il tuo cielo, che sia luminoso e sereno il tuo caro sorriso, che tu sia benedetta per l’attimo di beatitudine e di felicità che hai dato ad un altrui cuore solo, riconoscente! Dio mio! Un intero attimo di beatitudine! Ed è forse poco seppure nell’intera vita di un uomo?”. Sono le parole del sognatore di Fedor Dostoevskij. E’, se ci pensate, l’epilogo del racconto di Maurizio.

Maurizio con Susanne a Milano. E’ l’unica cosa che gli è rimasta di lei, insieme ai ricordi

Ci saluta con un canto in francese. E poi il dottor Zecca termina il suo bicchier di latte, rimette sotto il braccio le sue riviste e riprende la sua strada, con estrema lentezza. Il cellulare è nel cassetto di casa, insieme a qualche sogno. Maurizio sarà ancora qui domani. A consumare il suo latte freddo e senza zucchero, a portarsi dentro i giorni passati e a mostrare fuori il suo lieve sorriso.

Nazzareno Condina

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