Arte

Palazzo Te accoglie due importanti opere legate a Giulio Romano, in prestito da Palazzo Ducale

I prestiti da Palazzo Ducale sono inseriti nel percorso di presentazione delle oltre venticinque Veneri, tra stucchi e affreschi, raffigurate nelle stanze di Palazzo Te, che sarà visitabile non appena le normative consentiranno la riapertura dei musei.

Sono arrivate martedì a Palazzo Te le prime due opere del progetto espositivo annuale Venere divina. Armonia sulla terra, in prestito da Palazzo Ducale di Mantova. Si tratta della scultura di Afrodite velata, appartenuta a Giulio Romano, fonte di ispirazione della Venere in stucco della Camera del Sole e della Luna a Palazzo Te, e dell’arazzo Venere, un satiro e putti che giocano eseguito da tessitori fiamminghi su disegno dello stesso artista.

Le due opere legate alla produzione di Giulio Romano saranno esposte nel percorso Il Mito di Venere a Palazzo Te, la prima delle tre mostre del programma per il 2021, dedicato al mito della dea come rappresentazione del senso di rinascita dall’antichità fino ai tempi moderni.

I prestiti da Palazzo Ducale sono inseriti nel percorso di presentazione delle oltre venticinque Veneri, tra stucchi e affreschi, raffigurate nelle stanze di Palazzo Te, che sarà visitabile non appena le normative consentiranno la riapertura dei musei.

“Entrambe le opere – commenta il direttore della Fondazione Palazzo Te Stefano Baia Curioni – sono prestiti molto significativi, non solo per la qualità artistica, ma anche perché una delle due, l’arazzo, è stata ridonata alla città grazie a un’operazione condotta dal Museo di Palazzo Ducale e dal MiC e sostenuta dalla Fondazione Palazzo Te. Partire da Venere significa partire da una nuova illuminazione del palazzo e dalla conferma, benaugurante, dell’alleanza tra le due principali istituzioni museali della città”.

In attesa della riapertura del museo, la Fondazione Palazzo Te sta ideando per il pubblico un programma di approfondimenti video che rivela come il mito antico possa essere un ponte tra passato e futuro, una narrazione capace di parlare alla nostra contemporaneità.

 

Schede delle opere

Afrodite velata
II sec. a. C.

marmo pario con patina giallastra

Mantova, Comune di Mantova in deposito presso Palazzo Ducale

La statua faceva parte delle raccolte gonzaghesche disperse con la vendita del 1626-1627 e con il sacco di Mantova del 1630. Giulio Romano utilizza questa scultura come modello di uno degli stucchi del soffitto nella Sala del Sole e della Luna a Palazzo Te, ma anche per la figura di Diana nella Sala di Costantino in Vaticano (1520-1524). Inoltre, il maestro aveva immaginato una statua di Venere nella nicchia posta sulla sommità della porta della sua casa a Mantova, progetto che viene mutato con la collocazione di una scultura di Mercurio. La sostituzione della statua indica che una scultura di Venere doveva essere in possesso dell’artista che dovette trasportarla da Roma a Mantova nel 1524. I documenti conservati nell’Archivio di Stato di Mantova raccontano i viaggi della collezione di antichità del maestro da Roma a Venezia e poi a Mantova. Giulio Romano aveva arricchito la sua raccolta di marmi antichi anche con l’acquisto di collezioni, come quella dell’antiquario Giovanni Ciampolini, dopo la sua morte avvenuta nel 1518. Di questa collezione dell’antiquario romano, che comprendeva iscrizioni, gemme e statue collocata nell’abitazione in Campo dei Fiori, potrebbe aver fatto parte anche questa scultura, se identificata con una Ninfa “cinta d’un bel diaffan velo biancho”. Nella stessa raccolta si trovava anche una “Venus Genetrix” oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna.

La Venere stante qui esposta è acefala e le braccia sono spezzate poco sotto l’omero. La figura insiste sulla gamba sinistra ed ha la destra flessa al ginocchio, leggermente avanzata. All’altezza dei fianchi il torace piega a destra provocando una torsione del corpo da destra a sinistra. Il braccio sinistro doveva piegare al gomito per consentire alla mano di appoggiarsi al fianco, come si vede anche nello stucco relativo del soffitto della Sala del Sole e della Luna. La figura è avvolta da un sottile chitone ionico, fermato sopra il seno da una cordicella annodata con un fiocco e il busto è fasciato lasciando scoperti seno e spalla sinistra.

Dopo l’arrivo a Mantova e la progettata prima collocazione sulla facciata dell’abitazione di Giulio Romano, non abbiamo più notizie della statua. L’opera si è salvata dalla vendita e dal sacco della città in un luogo non identificato e la prima menzione rintracciata nei documenti si data al 1879-1880: “N. 84. Venere, torso, marmo pario. Lavoro greco dei bei tempi dell’arte, sufficiente a illustrare un Museo, secondo Borsa. Piace anche al Canova. 1000 L.” (ASMn, Archivio Notarile, 1879/80, Versamento 2000, notaio G. Nicolini, catena n. 46).

 

Venere, un satiro e putti che giocano

Nicolas Karcher (Bruxelles? – Mantova 1562)

da un disegno di Giulio Romano

1539-1540

arazzo di lana e seta

Mantova, Palazzo Ducale

L’arazzo è stato tessuto tra il 1539 e il 1540 da Nicolas Karcher, arazziere fiammingo, trasferitosi a Mantova da Ferrara per allestire una sua manifattura in città. L’opera fa parte di una serie, di cui sopravvivono otto panni, detta Giochi di Putti o Puttini, che è stata eseguita su disegno e cartone di Giulio Romano per il duca Federico II Gonzaga. Non è stata individuata la specifica destinazione d’uso di questi arazzi, ma si ipotizza che furono esposti nella camera da letto di Margherita Paleologa, duchessa di Mantova, nella palazzina a lei dedicata dinnanzi al Castello di San Giorgio. Dopo la morte del Gonzaga nel 1540, la serie è completata dall’arazziere entro il 1545 per il fratello di Federico, il cardinale Ercole, vescovo e reggente della città. Il disegno preparatorio di Giulio Romano per questo arazzo è conservato nella collezione dei Duchi del Devonshire a Chatsworth (Inv. OMD 107) e presenta una scena più ampia poiché vi compariva la figura del delfino, animale sacro a Venere, dalla cui bocca scaturiva l’acqua. Dal modello Giulio Romano trae il cartone di cui si conserva soltanto la porzione che rappresenta Tre putti che giocano con una lepre (Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques, Inv. 3566).

Il cartone riproduce in controparte e in scala una scena riconoscibile al centro dell’arazzo che presenta una “Venus Genitrix” in un giardino con putti che giocano, mentre alle sue spalle un satiro spia la sua nudità. Il modello è riconducibile all’illustrazione della Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna (Aldo Manuzio, Venezia, 1499) oppure al celebre dipinto di Correggio con Venere, Cupido e un satiro un tempo nella collezione Maffei a Mantova (Parigi, Musée du Louvre, Inv. 42, 1525 ca.). In questo sereno scenario naturale sono rappresentati alberi da frutto sui quali si arrampica la vite che si congiunge ad un padiglione sul quale crescono rose selvatiche. Gli elementi della simbologia dionisiaca si fondono ai simboli cristiani e per questo la figura di Venere è stata interpretata anche come la personificazione della Carità. L’immagine dei putti festosi che giocano sotto la protezione di una caritatevole Venere, sotto le imprese araldiche del committente dell’opera (la salamandra o ramarro e il Monte Olimpo), può riferirsi al ritorno dell’Età dell’oro, al fecondo rinnovamento portato a Mantova dal governo del duca Federico II Gonzaga.

Il panno qui esposto è appartenuto ad una collezione privata viennese, è passato sul mercato antiquario a Londra (1972-1973) ed è stato acquistato dallo storico dell’arte Federico Zeri che lo aveva conservato fino alla morte nel 1998. L’opera passa poi alla Galleria Raffaele Verolino di Modena ed è stata recentemente acquistata con il contributo di Fondazione Palazzo Te dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo per la sede di Palazzo Ducale a Mantova.

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