Cronaca

Addio a Cesare Frizzelli: sopravvisse
agli altiforni nazisti da prigioniero

La preghiera del Rosario si è tenuta martedì alle ore 19,30 in Chiesa a Cicognara, mentre le esequie, seguite dalle Onoranze Funebri Roffia, si terranno nel pomeriggio di mercoledì 29 dicembre alle ore 14,30 sempre a Cicognara, per poi proseguire per il cimitero di Roncadello.

Si è spento a 101 anni una colonna di Viadana, e per la precisone della frazione di Cicognara. Parliamo di Cesare Frizzelli, padre dello stimato e conosciutissimo medico Rino, una vita alle spalle segnata da esperienze drammatiche, dalle quali era uscito con grande forza di volontà.

Sopravvissuto alla Guerra Mondiale e alla deportazione in Germania, la sua fibra è rimasta forte fino alla fine: abitava in via IV Novembre 33 con la sua cara Lina. Qui è stata allestita la camera ardente, anche se la sua famiglia ha chiesto la dispensa dalle visite a causa dell’Emergenza Covid. La preghiera del Rosario si è tenuta martedì alle ore 19,30 in Chiesa a Cicognara, mentre le esequie, seguite dalle Onoranze Funebri Roffia, si terranno nel pomeriggio di mercoledì 29 dicembre alle ore 14,30 sempre a Cicognara, per poi proseguire per il cimitero di Roncadello.

L’Unità Pastorale di Cicognara, Cogozzo e Roncadello, ha pubblicato una nota storica interessante che descrive l’esperienza di servizio alla Patria e di sacrificio militare da parte di Cesare. La riportiamo per intero. “Cesare Frizzelli nasceva 101 anni fa a a Salina di Viadana, nel settembre del 1920, da una famiglia di braccianti agricoli, quinto di sei figli. Dopo la scuola elementare frequentata a Casaletto veniva avviato al lavoro dei campi come la maggioranza dei ragazzi della sua età. A 19 anni è chiamato al servizio di leva e proprio in questo periodo scoppia la seconda guerra mondiale: alle 3 di notte tutto il suo battaglione viene svegliato dal suono dell’allarme, bisogna andare in guerra.

Quando i tedeschi occupano la Francia Cesare come soldato di fanteria e inviato al fronte francese, sul Moncenisio, a 3200 metri senza equipaggiamento e con scarpe di cartone: per decisione disobbediente del suo ufficiale maggiore il battaglione viene portato a valle evitando la sicura perdita di quei giovani soldati.

Nel 1941 dal fronte francese Cesare e è spedito al fronte greco albanese: a Durazzo viene fatto prigioniero dai tedeschi dopo che il suo battaglione è costretto ad arrendersi: i prigionieri vengono caricati su vagoni per bestiame, quaranta per ogni vagone e, dopo un interminabile viaggio di quasi un settimana, nel giugno del 1943, senza cibo e senza poter scendere dal treno Cesare arriva prima a Meppen, nella bassa Sassonia, e da qui trasferito a Osterfelt, centro di smistamento dei prigionieri.

Con il numero 45 Cesare viene destinato ai lavori negli altiforni di Obenhausen, nella Ruhr e vi rimarrà internato per ben 15 mesi. Per tutto questo periodo gli vengono consegnati una camicia, una paio di calzoni, un paio di scarpe, un maglioncino e un cappotto: con questi indumenti dovrà imparare a sopravvivere per tutto il periodo di prigionia, lontano dalla sua terra e senza poter comunicare alla sua famiglia la località in cui si trova. Quando nelle poche lettere che riesce a inviare ai suoi famigliari cita la Germania, il controllo postale tedesco gli cancella con inchiostro nero qualsiasi parola che possa far capire la zona di spedizione.

Nel suo campo di internati altri 600 italiani condividono le faticose giornate di lavoro: al mattino dopo un po’ di acqua e caffè, a volte un pezzo di pane, Cesare viene caricato per il lavoro agli altiforni fino a sera: per pranzo un po’ del solito caffè e se sei stato parsimonioso al mattino ti resta un pezzo di pane che puoi intingere. A fine giornata il rientro al campo internati, un po’ di acqua di verza con un pugno di patate che servono anche come pietanza; le bucce vengono nascoste sotto terra e serviranno quando non ci sarà niente da metter sotto i denti.

Chi al mattino non ha la forza di alzarsi per motivi di salute e rimane in baracca viene ispezionato dal medico di campo: chi veniva tolto dalla baracca per infermità non vi avrebbe fatto mai più ritorno. Anche Cesare corre questo rischio: durante il lavoro agli altiforni scivola con il piede in un canaletto dove scorre ferro rovente a temperature dai 1800 gradi: Cesare è costretto a fermarsi in baracca e e il medico quando lo ispeziona proferisce al suoi assistenti una frase che Cesare capisce anche perché comincia a capire un po’ il tedesco: destinato al campo per eutanasia

Ma in baracca nella branda di legno, una suora infermiera colta da un’impressionante somiglianza di Cesare con un suo fratello caduto in guerra lo cura e Cesare fa di tutto per ritornare al lavoro per scongiurare quella destinazione dove la morte sarebbe stata certa. Dopo 15 giorni in baracca Cesare ritorna agli altiforni, ma con un compito diverso: deve sostituire un tedesco bruciato vivo da una fiammata sprigionatasi improvvisamente da un altoforno: non si poteva correre il rischio di perdere un altro tedesco: meglio perdere un prigioniero italiano.

Ma Cesare fortunatamente sopravvive, fino alla fine, quando al campo di prigionia arrivano gli americani per liberare sia il campo degli internati italiani che i vicini campi di prigionieri russi e francesi. Cesare è fisicamente provato, con 10 chili in meno; come lui anche gli altri compagni di prigionia che vorrebbero rientrare subito in Italia ma lo sfascio del paese e la mancanza di vie di comunicazione li costringono a rimanere altri 6 mesi in Germania.

Poi un bel giorno, finalmente il treno li carica e li smista nelle zone di provenienza. Cesare arriva a Verona: oltre non si può andare; a Mantova giunge in corriera non senza difficoltà perché il carburante scarseggia. A Mantova Cesare incontra un viadanese, Fanetti, proprietario di distilleria a S. Martino che lo carica sul suo furgoncino e lo porta a casa, a Casaletto. L’avventura è finalmente finita: partito a 19 anni Cesare ritorna a casa dopo 7 lunghi anni di cui 15 mesi internato in campo di prigionia; il Comune di Viadana gli darà in riconoscenza un pacchetto di sigarette!”

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