Cronaca

Profughi ucraini, il flusso si è arrestato
Don Codazzi: "Andare oltre l'emergenza"

Le zone pastorali che hanno accolto più rifugiati di più sono la 2 (una vasta area che arriva fino ai confini col cremasco) e la 4, ad est del capoluogo, grosso modo tra Piadena e San Daniele Po.

A quasi due mesi dallo scoppio della guerra in Ucraina, stanno scemando gli arrivi di profughi ucraini sul territorio cremonese. La Caritas Diocesana è intervenuta fin da subito nella gestione dell’emergenza, partecipando ai tavoli in prefettura insieme alle autorità civili. Come ci spiega il direttore don Pier Codazzi, sono circa 120 le persone che hanno trovato accoglienza, in parte (un terzo) nelle case messe a disposizione dalle parrocchie e per il resto in abitazioni provate, testimonianza di una lunga tradizione di generosità dei cremonesi.

“Ci sono ancora disponibilità che non abbiamo attivato”, spiega don Codazzi, “a dimostrazione del fatto che il coinvolgimento dei territori è la cosa più importante. C’è stata fin da subito una buona mobilitazione, nella consapevolezza che non basta offrire un tetto alle persone, ma anche inserirle in un contesto: per questo sono stati attivati percorsi per l’apprendimento della lingua italiana o l’inserimento scolastico; e si sono attivati circuiti virtuosi anche con il privato sociale, cito solo ad esempio la possibilità di scegliere capi di abbigliamento da Vesti e Rivesti, grazie ai buoni forniti da Caritas”.

“Abbiamo fatto una scelta, quella di decentrare l’accoglienza, individuando referenti per ciascuna zona pastorale, in modo che facciano da raccordo tra la sede centrale e le varie realtà territoriali”. Una scelta che per la Caritas è strutturale e che mira a creare un modello di accoglienza che vada oltre l’emergenza, coinvolgendo le comunità.

E così, dal centro raccolta di San Savino sono partiti aiuti sia per le spedizioni di volontari in Polonia, dove è attiva la Caritas locale, sia per le piccole comunità di ucraini disseminate in diocesi, sia per la san Vincenzo e altre associazioni.  Le zone pastorali che hanno accolto più rifugiati di più sono la 2 (una vasta area che arriva fino ai confini col cremasco) e la 4, ad est del capoluogo, grosso modo tra Piadena e San Daniele Po.

Fermo restando che si tratta di una immigrazione temporanea, fino a quando potrà durare la generosità dei privati? “Questo è un tema legato alle prospettive di durata della guerra. La Polonia sta accogliendo la maggior parte dei rifugiati, circa 2 milioni, non potrà reggere a lungo. Tutto quello che stiamo facendo come Caritas è il frutto della generosità delle parrocchie, non stiamo ricevendo alcun aiuto dallo Stato. E’ stato varato un provvedimento che prevede l’erogazione di 300 euro mensili per gli adulti e 150 per i bambini, cifre che andranno direttamente alle persone, non alla Caritas, purchè si siano messe in regola con il permesso di soggiorno temporaneo e con le norme sanitarie. Per questo è importante che tutti i rifugiati si regolarizzino. Ma finora mancano i decreti attuativi, quindi vedremo”.

Un fenomeno insolito di questa ondata migratoria è quello dei rientri in patria di persone arrivate da poco. Donne con figli e nipoti arrivati a Cremona su insistenza delle madri o delle suocere che sono qui da anni come badanti, ma che dopo qualche settimana hanno voluto tornare dai mariti oppure sul posto di lavoro temendo di perderlo. In un paio di casi, giovani donne che avevano affidato i loro figli a parenti per metterli in salvo, sono venute  Cremona per riprenderseli: “Sono persone che non possono lasciare il posto di lavoro, il Tribunale in un caso, un ospedale nell’altro. E’ qualcosa che noi facciamo fatica a comprendere, e testimonia un grande coraggio, ma anche la speranza che la vita continui nonostante tutto e che la guerra finisca”.

“Una cosa che rimane impressa vedendo le badanti che già da prima della guerra venivano qui a pregare in ucraino è la sacrosanta preoccupazione per i loro figli e nipoti rimasti in patria, ma al tempo stesso la consapevolezza che si debba rimanere là fino a quando ci sarà un barlume di speranza”.

Da ultimo, cosa ci può insegnare questa nuova emergenza, come può aiutare a migliorare il nostro sistema di accoglienza? “Da queste dinamiche – conclude don Codazzi – dobbiamo acquisire una nuova consapevolezza: oltre alla parte emotiva, che naturalmente scatta in tutti noi all’inizio di queste vicende, dobbiamo mettere in pratica un meccanismo di accoglienza che punti alla vera integrazione, cosa certamente più complicata. Non smetterò mai di ringraziare i cremonesi per la loro generosità. Ma l’estate scorsa si è scritto e detto tanto sull’arrivo degli Afghani. Adesso sembra che nessuno se li ricordi più. Eppure sono ancora qui con noi, stanno facendo percorsi di integrazione non semplici, c’è chi sta già svolgendo un lavoro e chi continua l’università, chi sta cercando il ricongiungimento famigliare. Sono tutte cose che richiedono perseveranza e impegno. E soprattutto il coinvolgimento di tutte le istituzioni: come l’esperienza della pandemia ci ha dimostrato, nessuno si salva da solo”.

gbiagi

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