Busseto, don Luigi Guglielmoni
parla di don Primo Mazzolari
Parole intense, meritevoli di riflessione e di grande attenzione. Tornando a sfogliare e a studiare (cosa diversa da leggere) quanto scritto da don Primo Mazzolari (la cui tomba, nella chiesa di Bozzolo, cinque anni fa ha ricevuto la visita e l’omaggio di Papa Francesco), affinchè gli insegnamenti lasciati negli scritti si trasformino in stili di vita
Il Servo di Dio Don Primo Mazzolari, uno dei maggiori esponenti della Chiesa del Novecento ed uno dei massimo protagonisti della Liberazione, è stato ricordato, il 25 aprile, a Busseto, terra del maestro Giuseppe Verdi. A parlarne è stato, nell’insigne chiesa collegiata di San Bartolomeo Apostolo, il parroco don Luigi Guglielmoni, autore per altro di numerose pubblicazioni.
Don Guglielmoni, che lo scorso anno ha vissuto una dolorosissima esperienza durata tre mesi combattendo duramente contro il Covid, si è innanzitutto rifatto alla pagina del Vangelo di Marco. “Una pagina – ha commentato – carica di speranza e un invito all’impegno. Anzitutto, è fonte di speranza perché è Gesù risorto che parla. Quando la sua vicenda umana sembrava chiusa in una tomba, quando il buio pareva dominare sulla storia, quando si pensava di aver tacitato la sua voce e fermato le sue mani che avevano fatto solo del bene, ecco il mattino di Pasqua che cambia radicalmente la situazione. Colui che ha donato la vita non può restare vittima della morte, il male non riesce a vincerlo per sempre. L’amore vero esce alla lunga.
La Chiesa vive il tempo di Pasqua. Senza il Signore risorto, la storia scrive un’altra pagina fatta di ingiustizia, di violenza, di sopraffazione. Vince il più forte, si diffonde la morte. Lo si vede nel modo di abitare la terra, la nostra casa comune, di rapportarsi con gli altri, di preparare il futuro, di dare spazio alle nuove generazioni, di affrontare i problemi quotidiani. E’ proprio l’opera del diavolo, che significa “divisore”, colui che allontana da Dio, dagli altri, da se stessi. Colui che diffonde la superbia di sentirsi onnipotenti, l’arroganza di poter fare tutto, anche la guerra, il male, la distruzione. San Pietro ne parla nella prima lettura, paragonando il maligno ad un leone affamato che cerca la sua preda, in modo subdolo, senza farsi riconoscere e dove arriva genera paura e lascia tracce di sangue. La vicenda di Caino si ripete. Non si risolve alcun problema, anzi se ne creano molti altri, con ferite che durano nel tempo. Ogni periodo storico, ogni generazione – ha proseguito – ha urgente bisogno di Pasqua: o vince la vita o vince la morte. La storia insegna che non c’è altra scelta. Per questo, il Signore risorto chiede a tutti di accogliere nel proprio cuore il Vangelo e di testimoniarlo. Se avviene questo, non si cadrà nelle braccia degli idoli di turno (il potere, l’avere, la razza, la violenza, l’egoismo, l’informazione volutamente ingannevole ecc.). La memoria di chi ha dato la vita per la libertà – ha rimarcato don Luigi – è uno stimolo forte a capire che siamo tutti sulla stessa barca, che nessuno si salva da solo, che serve imparare l’alfabeto di una lingua nuova, quella della fratellanza. Non è casuale che l’ultima enciclica del Papa abbia proprio come titolo: “Fratelli tutti”. Nel buio generale che ci avvolge, servono anche delle fiammelle.
Anche i grandi fuochi cominciano da una piccola scintilla. “Incendiate il mondo con l’amore”, diceva Santa Caterina da Siena, una donna intrepida del 1300. San Pietro consiglia l’umiltà, che etimologicamente significa “essere fatti di terra”, cioè lasciarsi fare – guidare dalla mano di Dio, perché siamo tutti povere creature, abbiamo bisogno gli uni degli altri, ci serve la capacità di sognare di nuovo, uscendo da noi stessi. Finché l’uomo è aggrovigliato su se stesso cosa può generare di vero, di bello e di bene? Se restiamo concentrati solo su noi stessi, se giriamo solo attorno a noi stessi, cosa potrà scaturire di veramente attraente? Nel suo cuore, infatti, l’uomo coltiva tante miserie che hanno bisogno di purificazione, di confronto con gli altri soprattutto coi più deboli, di rinnovamento. Non è mai finito il processo di liberazione di un popolo, specialmente oggi che – con i mezzi a disposizione – il mondo si è fatto piccolo. Forse – ha osservato – questo è il tempo di tacere, di riflettere e di pregare. La memoria storica è importante come la riconoscenza per chi ha dato la vita per preparare la nostra libertà. Ma serve anche lo sguardo al domani: in questi decenni, quale tipo di mondo abbiamo costruito e ora consegniamo ai giovani? Forse, se ci si pone in questa prospettiva, diventiamo tutti più cauti, ci battiamo tutti il petto, ci rimbocchiamo tutti le maniche. C’è tanto da fare ed è alla portata di tutti, nessuno escluso. Ad esempio, don Primo Mazzolari ha delle pagine molto belle nella “Lettera a un Partigiano”. Presenta la “Resistenza” come esercizio di cittadinanza attiva per contribuire al bene di un popolo. La Resistenza come “gratuità” che porta al sacrificio di sé. Pur in un contesto molto diverso, questi valori valgono anche oggi. Il Signore ci illumini, ci incoraggi e ci aiuti tutti”.
Parole intense, meritevoli di riflessione e di grande attenzione. Tornando a sfogliare e a studiare (cosa diversa da leggere) quanto scritto da don Primo Mazzolari (la cui tomba, nella chiesa di Bozzolo, cinque anni fa ha ricevuto la visita e l’omaggio di Papa Francesco), affinchè gli insegnamenti lasciati negli scritti si trasformino in stili di vita.
Eremita del Po, Paolo Panni