Rest in peace Queen Lilybeth:
un piccolo pensiero casalasco
Questa Regina, al contrario di quelle delle favole, è una donna che ha patito parecchio di quello che le donne, mogli, madri e figlie, patiscono. Non c’è figlio o membro della sua famiglia che non le abbia dato problemi, che non l’abbia delusa e a volte pure costretta a scegliere tra sentimento e Ragione di Stato

La Regina Elisabetta II di Inghilterra ha lasciato questo regno per un altro “più certo e più grande”. Per me però, ad averci lasciato, è Lilybeth una donna che ha attraversato settant’anni di storia divenendo una icona. E me ne infischio se rappresentava una monarchia, forma di governo che per altro non è propriamente nelle mie corde, me ne infischio se fu una regina buona o cattiva, se governò giustamente o ingiustamente, se ebbe delle contraddizioni, degli scheletri nell’armadio, non mi interessano gli scandali della sua famiglia e nemmeno le loro ipocrisie, I don’t care, per dirla nella sua lingua.
Lilybeth c’era quando io iniziai a studiare storia e geografia, era la Regina quando per me regina voleva ancora dire castello, principi e principesse, quando le regine erano nelle fiabe. Lei c’era quando sognavo di andare a Londra e nel mio immaginario mettevo nel medesimo calderone le cabine telefoniche rosse, i taxi neri (cab), il Tower Bridge, gli autobus a due piani, il Big Ben ed Elisabetta, quando sognavo di vederla dietro a una finestra di Buckingham Palace, se mai avessi avuto la fortuna di fare quel viaggio.
Lei era Regina, l’unica in carne ed ossa che conoscevo, le altre erano nei libri di fiabe. Poi si cresce, si studia un po’ e si va pure a Londra ma l’aura magica che sta attorno a lei e che mi arriva dai ricordi di bambina, non si dissolve del tutto.
Mi piaceva il suo modo di mostrarsi in pubblico, non con abiti sfarzosi e regali bensì con tailleurs di taglio e fattezza sempre uguali, abito con sopra un capospalla, cappellino sempre tono su tono e a colpire i colori che nessuna figura istituzionale mai ha saputo sfoggiare come lei. Lilybeth in settant’anni di regno indossò tutta la gamma dei colori pantone, osando là dove nessun reale mai aveva fatto, ora pastello ora sgargiante, aveva il dono di mantenere il classico british aplomb dentro outfit del tutto in controtendenza col royal dress code.
Le scarpe no, quelle erano sobrie e se vogliamo piuttosto demodé, tacco quadrato e basso, colore marrone o nero, che va su tutto, forma per nulla accattivante perché importante era che fossero comode, che non la mettessero a disagio nella camminata, e che fossero confortevoli se gli impegni la costringevano a stare in piedi ore, se il piede sta bene, sta bene anche il resto del corpo.
Dietro la regina vi fu una donna giovanissima che presto si rende conto che dovrà affrontare un destino che non ha scelto e che tuttavia riesce ad imporsi per sposare quello che era considerato uno squattrinato, indegno del suo rango; eppure, ce l’ha fatta, almeno in amore ha saputo scegliere, dimostrando tenacia e determinazione, doti d’altronde imprescindibili per un sovrano. Dietro la regina vi fu una donna, una madre che ha sopportato il dolore dei fallimenti dei figli come ogni altra madre, che ha cercato di rimediare agli scandali di famiglia come ogni altra donna, che ha amato, anche se le malelingue affermano che abbia amato i suoi cani welsh corgi pembroke molto più dei suoi figli.
Probabilmente Lilybeth ha pure detestato e di certo ha sbagliato come ogni altra donna. Ma lei era la regina e se non si perdona ai comuni mortali, figuriamoci a una regina. Non le mancava l’ironia, sapeva giocare, scherzare e intrattenersi con l’orsetto Paddington, sapeva ridere e far ridere. Lilybeth è regina quando viene abolita la pena di morte, legge che firma personalmente, è regina quando vengono abolite le pene per gli omosessuali, quando viene istituito l’aborto in una Inghilterra conservatrice e bacchettona; ed è regina quando i peggiori scandali portati avanti da tutti e quattro i suoi figlioli, hanno messo in discussione il buon nome della famiglia reale, lei era lì, sempre lì, stabile nella sua fragilità di donna giovane prima e anziana poi, coi problemi di tute le donne e di tutte le madri.
Questa Regina, al contrario di quelle delle favole, è una donna che ha patito parecchio di quello che le donne, mogli, madri e figlie, patiscono. Non c’è figlio o membro della sua famiglia che non le abbia dato problemi, che non l’abbia delusa e a volte pure costretta a scegliere tra sentimento e Ragione di Stato.
La sua vita incarna quello che tante donne conoscono bene come una condanna ancestrale figlia di antiche educazioni, antichi modelli: donna uguale moglie, madre e senso del dovere. A me piace ricordarla così, come una donna prima che una regina, una donna fortunata ma anche carica di fardelli da portare, nei suoi abiti colorati, coi suoi cappellini, retrò nella forma e moderni nelle nuances, col suo sorriso e la mano appena alzata in un saluto sobrio che pensavo sarebbe stato eterno. In questo credo stia la sua regalità, nell’averci fatto credere che, come nelle favole, non sarebbe morta mai.
Rest in peace Elizabeth Alexandra Mary, Rest in peace Lilybeth, always Queen, forever in history
Giovanna Anversa