Cultura

Piccole storie di fiume. Gaetano
Mistura: saggio sui mulini sul Po

Gaetano Mistura, ancora una volta, ci ha regalato una pagina, straordinaria di storia, legata ai mestieri e, in particolare, ai “mitici” mulini del Po. Quindi, ancora una volta, gli va dato il Grazie, lasciando ai lettori il privilegio e la bellezza di una lettura che merita di essere studiata

Il Grande fiume, in passato più di oggi, è sempre stato una straordinaria fonte di vita per tante famiglie che, sul Po e intorno al Po, hanno trascorso tutta la loro esistenza. Una esistenza segnata da fatiche e sudore, all’insegna della semplicità e del sapersi accontentare del necessario. C’erano, un tempo, i barcaioli e i passatori, i pontieri e i mugnai, i barcaioli e i traghettatori, i cavatori di sabbia e ghiaia, i custodi della chiaviche, i boscaioli per citarne alcuni. Tutte attività in gran parte scomparse (purtroppo) che restano al centro di quel grande “libro”, aperto sul mondo, che compone la storia del Po e della sua gente, sull’una e sul’altra riva. Quella storia che ha anche dei custodi, coloro che la custodiscono, la conservano, la valorizzano, la studiano e la fanno conoscere. Uno di questi è Gaetano Mistura di Pieveottoville, di cui su Oglioponews in diverse occasioni si è già parlato. Più volte sindaco dell’ex Comune di Zibello. Ex Comune perché una buffonata partorita solo pochi anni fa ha prodotto la nascita di un altro baraccone (chi scrive si prende ogni responsabilità di ogni affermazione e sfida chiunque a dimostrare il contrario di quanto scritto), che ha richiesto l’impegno di fondi pubblici (quelli, per intenderci, che arrivano direttamente dalle tasche dei cittadini, che sono sempre anche elettori oltre che contribuenti..elettori dalla memoria spesso corta e lacunosa), eliminando due Comuni per formarne uno unico di poco più di tremila abitanti (a contarli tutti). A Gaetano Mistura, come scritto più volte, si deve dire Grazie per quella che è, da sempre, la sua missione, quella di valorizzare e promuovere la storia dei nostri territori, animato semplicemente dall’amore per la sua terra e per le genti che ci hanno preceduto.

Gaetano Mistura, ancora una volta, ci ha regalato una pagina, straordinaria di storia, legata ai mestieri e, in particolare, ai “mitici” mulini del Po. Quindi, ancora una volta, gli va dato il Grazie, lasciando ai lettori il privilegio e la bellezza di una lettura che merita di essere studiata (sì, studiata più che semplicemente letta), fino all’ultima parola.

Eremita del Po, Paolo Panni

I MULINI SUL PO

Per gli abitanti delle terre bagnate dal Po, il fiume, nel corso dei secoli, ha rappresentato una grande risorsa: la sua presenza ha sempre condizionato e caratterizzato la vita che scorreva lungo le sue sponde. A cominciare dalla navigazione, una grande strada d’acqua che favoriva commerci e scambi, un’autostrada ante litteram per la possibilità che offriva di trasportare grandi quantità di merci ad una velocità che, con la percorribilità delle strade di allora e col traino animale, era inimmaginabile raggiungere. Valga per tutte il trasporto del marmo rosso di Verona a Parma per la costruzione del Battistero ad opera di Benedetto Antelami tra il 1200 e il 1300.

Il sistema fluviale padano ha favorito i commerci che hanno reso prospere le città che vi gravitavano attorno.

Venezia, ad esempio, che pure guardava al mare, non poteva rimanere indifferente alla ubertosa e lussureggiante pianura che stava alle sue spalle, ricca di acqua, sulla quale si adagiavano vasti vigneti, ordinati appoderamenti, città ricche di storia e ville signorili.

Questa anche la ragione per cui il fiume è stato teatro di sanguinose battaglie, specialmente tra Veneziani e Milanesi per il controllo della pingue pianura lombarda.

Attorno al fiume si muoveva una attività incessante di figure diverse: cavatori di sabbia e ghiaia, scariolanti per la costruzione degli argini e ancora, pescatori, boscaioli, barcaioli, mugnai e saccaroli, pontieri (laddove erano stati installati ponti di barche), ma vi erano anche doganieri, dazieri per la riscossione di balzelli e dazi per il transito di persone e cose dall’una all’altra sponda, dato che il fiume in più punti rappresentava anche un confine di stato.

Oltre gli argini, all’interno delle golene, per quanto la calma e la pacatezza che il fiume sembrava imporre, si svolgeva una vita intensa, in continuo movimento, del pari, seppur diversa, da quella che si svolgeva al di là dell’argine in terraferma.

Barche e barconi che venivano caricati e scaricati e che poi cavalli condotti dai loro stallieri, risalendo la corrente, dovevano riportare all’approdo di partenza percorrendo la via alzaia.

Ma sono stati i mulini ancorati lungo le sponde a forgiare e a connotare una classe lavoratrice tenace, combattiva, che doveva tenere testa alle angherie di signorotti e boriosi proprietari terrieri che a loro conferivano il grano da macinare. Questi signorotti, ossequienti al feudatario di turno, divenuti destinatari di privilegi assurdi, imponevano gabelle per ogni attività che si svolgeva nella porzione di fiume di loro pertinenza.

Le stesse organizzazioni sindacali che si andavano costituendo, stentavano a imbrigliare e a pilotare un malcontento di gente, per di più riottosa a ordini di scuderia, che da un lato rivendicava maggiore autonomia, e dall’altro lato era ostile ai soprusi imposti, sì dai prepotenti di turno, ma anche dallo Stato, che pretendeva dai mugnai la riscossione dell’impopolare tassa sul macinato.

Quella dei mulini era una attività intensa, faticosa e oltretutto rischiosa. Bastava una piena improvvisa, una notte di burrasca, funi o catene di ancoraggio che si spezzavano, la struttura priva di governo, sbattuta da una riva all’altra, in balia della corrente, finiva per affondare miseramente, trascinando con sé uomini e cose.

I mulini del Po erano parte di un microcosmo ambientale e sociale. La vita quotidiana appariva scandita dall’alternarsi delle stagioni, dai regimi di piena del Po e dai lavori nei campi.

Era tutto di legno il mulino, una macchina molto ingombrante e complessa. Conosciuto fin dall’antichità si componeva di uno scafo o natante galleggiante oppure di due scafi accoppiati. Il primo di dimensioni più ridotte era sovrastato da una capanna entro la quale erano contenuti, oltre ai sacchi di grano da macinare, anche le macine, azionate da una ruota a pale, montata su un lato dello scafo la quale riceveva il moto dalla corrente del fiume che la sfiorava. Le cariossidi riversate da una tramoggia nelle macine venivano frantumate e ridotte in polvere (farina). Il mulino a due natanti invece, molto più grande, recava una ruota centrale collocata tra i due scafi che trasmetteva il moto alle macine, in questo caso le capanne erano due e una poteva fungere da alloggio per il mugnaio e la sua famiglia.

«Sotto il piede del mugnaio – scrive Riccardo Bacchelli nel romanzo «Il mulino del Po» – il mulino vive, come la nave sotto il piede del marinaio». E non vi è farina migliore di quella ottenuta dal mulino ad acqua, frutto di una molitura lenta, ininterrotta e delicata.

Il lavoro era impegnativo e faticoso, come dice ancora Bacchelli: «Le piene rompono le funi e mandano in traverso il mulino; i ghiacci, d’inverno, lo sfondano e lo schiacciano; vengono tempi da faticare notte e giorno, e qualche volta senza salvarsi».

Tuttavia a fronte di fatiche immani che l’uomo doveva sostenere, anche a rischio della vita, per il posizionamento e il non infrequente riposizionamento della sua macchina molitoria se la furia del fiume la strappava dall’originario piazzamento, stava un impianto che funzionava, veloce, senza sosta, senza alcun consumo energetico, sopperendo alla forza umana, in antico resa per lo più da schiavi, o da animali.

Vi erano mulini che funzionavano anche sulla terraferma. In questo caso in luogo dei natanti vi erano strutture fisse al suolo, se del caso in muratura, e potevano sfruttare l’energia proveniente da un canale, da una roggia o da qualsiasi corso d’acqua ove la corrente fosse in grado di azionare la ruota a pale o a denti a seconda dei casi.

Dopo l’introduzione della “tassa sul macinato”, la più nefasta che potesse essere applicata, perché andava a colpire il pane, l’alimento primo per il sostentamento umano, alle macine venne applicato un marchingegno che ne contava i giri, per ogni giro un quid di farina da tassare. Il mugnaio, al quale toccava di applicare il tributo, oltre la fatica, doveva così fronteggiare l’ira dei conferenti. Appena poteva, quindi, bloccava fraudolentemente il contagiri, ma se veniva scoperto, scattavano la multa e i ceppi.

Ne «Il mulino del Po» il mugnaio Princivalle, sobillato anche dalla madre-padrona, piuttosto che lasciare entrare gli sbirri giunti per un controllo, dà fuoco al mulino che brucia completamente, il maldestro viene arrestato e rilasciato dopo alcuni mesi per insufficienza di prove, ma intanto il mulino era andato perduto.

I mulini, potevano essere impiegati anche per la spremitura di semi, il funzionamento di telai per la tessitura, il sollevamento dell’acqua ad uso irriguo e non solo ecc. era quindi una macchina dall’impiego multiforme che alleggeriva di molto il lavoro dell’uomo, lo rendeva più veloce e quindi più produttivo.

I mulini continuarono a svolgere il loro prezioso servizio fino alla fine dell’’800 e i primi del ‘900, poi con la comparsa delle macchine a vapore a poco a poco scomparvero. Uno fu bombardato durante l’ultima guerra nel 1945. L’ultimo scomparve attorno al 1955. Ora ne rimane qua e là qualcuno, ma solo per farsi ammirare dai turisti della domenica.

Nel nostro territorio non mancano tracce di mulini fissi lungo qualche canale: uno lungo la Via Emilia nella zona di Sanguinaro, un altro nei pressi dell’ingresso autostradale di Soragna-Fidenza. Nella montagna e nella collina poi sono anche più numerosi.

Quanto ai mulini sul Po li troviamo rappresentati in un’antica mappa collocati in un’ansa (curva 39) del fiume davanti a Santa Croce di Polesine Zibello (quindi di fronte alla zona compresa tra Stagno Lombardo e Pieve d’Olmi, ndr).

I mulini natanti sono un’importante testimonianza storica dell’economia italiana del passato, per questo da diverse parti se ne sta tentando il recupero o la ricostruzione, proprio per mostrare da dove è partita l’attività industriale del nostro Paese.

In centinaia di migliaia di anni chissà quante storie avrebbe da raccontare il nostro Fiume, storie nate nel suo scorrere o lungo le sue sponde. Storie che la corrente si è portata via per sempre. A noi non resta che scavare per quanto possibile nel passato, cercare di capire e lavorare di fantasia.

Tra i nostri antenati magari vi è stato anche chi ha lavorato sui mulini del Po, nel caso di chi scrive queste note, certamente si.

Gaetano Mistura

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