Pozzan vive nelle sue opere:
domenica Open Day in via Martelli
La mostra vuole essere uno spazio in cui lo spettatore amplifica il rapporto con se stesso. Come allo specchio svelando enigmi in altri enigmi. Per questo lo spazio destinato allo spettatore è pensato come lo stesso occupato dall’attore, uno spazio che diventa indeterminato, confinante e contiguo: quindi una mostra evento.
A tre anni dalla scomparsa dell’artista vissuto fra Casalmaggiore Milano e Cremona la proposta espositiva ci riproietta fra la produzione inedita e teatrale di Mario Pozzan. L’OPEN DAY del 2023 vuole essere un omaggio alla produzione cosiddetta tridimensionale: le strutture scultoree saranno disposte en plein air in giardino, per una fruizione diretta al pubblico, facilitando la diretta critica del prof. Cagnolati, apprezzato performer già presente alla Biennale di Venezia.
Le installazioni al piano superiore sono colpi di teatro che svelano il lavoro di Pozzan, interpretandone le intuizioni di arte totale grazie agli scritti, ricostruiti tramite appunti apparentemente disconnessi, come le annotazioni dirette su quadri ed opere.
Mario Pozzan, un attore non di finzione
Un artista che per trent’anni ha sospeso le apparizioni in pubblico. Ha giocato pirandellianamente a fare sul serio, raccontando a se stesso la verità nella ricerca, senza artifici, senza ostentazione. Ha lavorato approfondendo ogni passività da spettatore, per conoscere i meccanismi dell’introspezione. Oggi ricostruirne il lavoro significa interpretarne le intuizioni, visto che non ha lasciato scritti, ma solo appunti apparentemente disconnessi, come annotazioni dirette sui quadri o calligrafie difficoltose sul tergo degli stessi. In realtà questa vuole essere un mostra sul regista Pozzan, che ha saputo tenersi fuori dalle quinte anche di eventi futuri, a volte oscuro quanto intrigante, ma sicuramente divertito ora come ora, quasi burattinaio nascosto nell’oltre; fantasma di una messinscena che non vuole ricorrere all’apparato della finzione, perché in realtà qui lo spettacolo non ha colpi di teatro o retroscena oscuri dove si manovra.
La mostra vuole essere uno spazio in cui lo spettatore amplifica il rapporto con se stesso. Come allo specchio svelando enigmi in altri enigmi. Per questo lo spazio destinato allo spettatore è pensato come lo stesso occupato dall’attore, uno spazio che diventa indeterminato, confinante e contiguo: quindi una mostra evento.
Dal rosso mattone al lucida scarpe
Mario Pozzan insegnava tecniche di affresco e recupero di pittura murale. Pare che per ottimizzare materiali ed avvicinarsi ai modelli rinascimentali commissionasse preparati ad un farmacista di Cremona, al quale sottoponeva direttamente suoi ricettari con l’elenco ingredienti. Alchimie che spesso non disdegnava di utilizzare personalmente piuttosto che indurissero e trasmutassero. Sicuramente la sua arte è stata il frutto di una sperimentazione reiterata ed inesauribile, quanto fantasiosa, ne sono esempi le molteplici prove di supporto su cui dipingeva e l’eterogeneità dei materiali da cui ricavava colori.
Nello studio di via Ghisleri a Cremona, emergevano elementi che solo ora ad una ripresa e riorganizzazione della produzione riacquistano senso, fondamentali nella tecnica e nelle scelte di utilizzo. Fra opere perfettamente a soqquadro e impossibili vie di fuga nella babele di lavori accatastati, la sensazione in realtà era che vi fosse una perfetta organizzazione mentale nell’artista, che divideva lo studio in sezioni temporali; all’impatto di un fruitore apparivano ovviamente quasi giochi voluti di disorientamento. Solo il ritrovamento di un mortaio col pestello e pezzi di mattone sminuzzato sono stati fondamentali per disvelare la serie delle tonalità dell’impastato di alcune opere: non a caso era strumento rinascimentale di preparazione. La polvere di mattone era diretta parente del gesso e della colla, appoggiate nelle vicinanze; così come si spiega il “Calzanetto”, lucido da scarpe finito nella scatola dei colori ad olio e dei diluenti. Alchimista del bitume, che non disdegnava sui neri come elemento ossidante e mutante. Mutava ovviamente ciò che si voleva far mutare, ingegnandosi per fissarne l’evoluzione. Si conservano rotoli di carta catramata rilavorata ad acrilico, probabilmente sottratta e sublimata dall’impermeabilizzazione di artigiani il giorno di una infiltrazione dal tetto.
Ma è in una foto, che conservo come momento drammaturgico illuminante, che nasce etimologicamente questa idea di rappresentazione dell’opera pozzaniana: il giorno della ripartenza da Cremona verso il Museo Diotti con le opere sul furgone; l’immagine dell’artista – che rimarrà restio ed incerto sino al giorno del vernissage – aggrovigliato visivamente fra i tiranti di stabilizzazione per il trasporto. Un momento assolutamente prefigurante, che solo oggi a posteriori suggerisce premonizioni allora premature, esplicativo ora soppesandolo per intuizione nel lanciarsi fra le acrobazie.
Presentiamo dunque questo sviluppo inedito dei suoi lavori più recenti, o meno noti, in cui l’artista si confronta coi meccanismi della realtà introspettiva di ognuno di noi in qualità di fruitori più che spettatori. Le installazioni rompono volutamente la frontalità fra attori e spettatori, quasi in un rinnovamento di carattere evolvente del linguaggio teatrale. È un meccanismo di centralità antropologica che riconosciamo nelle società passate, molto lontane, in cui il senso il gusto e il fine della rappresentazione teatrale avevano una funzione sociale in autorappresentazione.
Il mescolarsi degli spazi fra attori e spettatori sono in realtà sperimentazioni già riuscite, che hanno esempi nobili alla Edoardo Sanguineti in riduzioni dell’Orlando Furioso di fine anni ’60, o nell’Orestea di Eschilo che il tedesco Peter Stein allestiva a Mosca con la compagnia dell’Armata Rossa a meta’ anni ’90, dove l’unica scenografia era data dal coro seduto in mezzo agli spettatori. Spettacoli memorabili, di sicuro impatto emotivo in una mente artisticamente predisposta: sotto il profilo estetico e linguistico hanno scritto la letteratura nei tentativi di superare frontalità e struttura dello spazio. Ci interessava però qui non tanto il rimando storico e di probabile suggestione, piuttosto la modificazione dei meccanismi di percezione e di fruizione dell’Evento, dimostrando come lo spettatore percepisca all’interno del suo sguardo il se stesso, attore e spettatore allo stesso modo. La consapevolezza è di assistere ad una proposta estetica che si fa esistenziale.
È un modello strehleriano alla Piccolo Teatro Studio, in cui si innesca la relativizzazione dello spazio essendo lo spettatore posto anziché solo in posizione frontale, su due o tre lati della scena, attorniando completamente l’area dello spettacolo, scardinando così le regole della scatola ottica.
Non vuole essere omaggio d’avanguardia, ma farsi interpretazione di un Pozzan celato, che ha sempre rifuggito il confronto più intimo, curioso sino a quanto potesse essere compreso in un gioco di rimandi, ma soprattutto nei tentativi di ritrovarsi in corrispondenze e complicità. Un artista che ha messo in atto citazioni importanti, quasi onorando l’intera arte del novecento inscenandone citazioni, sublimate ad omaggi. Del resto nella letteratura delle arti figurative già la pittura impressionista nella seconda meta dell‘800 inizia ad alterare i dati della visione oggettiva, Manet moltiplica i piani prospettici, Cezanne fa dello spazio un processo in divenire della coscienza. Sino agli sconvolgimenti avanguardistici della prospettiva unitaria con il cubismo, la velocizzazione delle forme futuriste e la molteplicità dell’arte astratta.
In Pozzan le opere nascono da una stampante 3D ante litteram, che parla di teatro totale e pone quindi la questione fondamentale di sintesi arte-vita, identificando l’artista come regista, che tenta di sconfiggere la frammentarietà fra l’esistenza individuale e la società moderna.
NOTE BIOGRAFICHE
Nato nel 1940 a Montefiorino (Modena), Mario Pozzan si è formato artisticamente sotto la guida del pittore Nando Negri all’Istituto d’Arte “Paolo Toschi” di Parma, dove ha conseguito il diploma nel 1960. Ha trascorso parte della giovinezza tra Parma e Casalmaggiore, con studio in via del Lino dove era solito ritrarre i propri modelli, spesso uomini provati dal lavoro, emarginati ed ubriachi. Negli anni della contestazione, il suo rifiuto della mediazione legata al sistema dell’arte si è tradotto nella breve ma intensa esperienza, condivisa con qualche amico, dell’autogestione di un luogo alternativo di esposizione e dibattiti, Spazio 3, nel cuore di Parma.
L’attività disegnativa, contrassegnata da un segno fortemente espressivo, lo ha accompagnato soprattutto nelle sue prime uscite espositive e nella concezione dei suoi libri illustrati, fra gli anni Sessanta e Settanta. Trasferitosi a Milano, ha trovato proprio nell’ambito dell’illustrazione la sua prima occupazione presso note case editrici.
Dopo la mostra personale del 1973 alla Galleria l’Ariballo a Milano, Pozzan si è ritirato dall’attività espositiva (durata poco più che un decennio) che riprenderà solo nel 2002 con la partecipazione a più edizioni del Video Art Festival di Ascona. Non ha però mai interrotto la sua ricerca artistica, pur dedicandosi nel frattempo all’insegnamento.
Nel 2018 in seguito alla vendita della propria abitazione di Casalmaggiore, dismette lo studi: il rinvenimento della vasta produzione oltre alle opere dello studio di Cremona offre lo spunto ad Andrea Visioli e Valter Rosa di proporre una antologica al Museo Diotti di Casalmaggiore. A seguito dell’iniziativa l’artista dona alcuni dipinti e centinaia di disegni al Museo Diotti.
Tra febbraio e marzo del 2020 prende corpo una personale presso il MUVI di Viadana durante la quale alcuni galleristi acquistano opere, mentre Pozzan ne dona altrettante alla Galleria. Colpito da lieve malore presso il suo studio in Cremona finirà i suoi giorni in maniera rocambolesca tra un nosocomio e l’altro nel peggior momento della storia sanitaria pandemica. Le sue ceneri riposano per sua volontà assieme a quelle della madre in Casalmaggiore.
Hanno seguito costantemente il suo lavoro Lucio Cabutti e Fabrizio Sabini, mentre hanno recensito sue mostre Pier Luigi Mendogni, Gianni Cavazzini, Piero Del Giudice e Stefania Provinciali. Oggi vi è una riscoperta continua della sua produzione.
Patrocinio e partnership
Comune di Casalmaggiore – BCC Rivarolo Mantovano – Studio Immobiliare di Andrea Visioli – Studio Rinnova – Brunoarcari cornici d’arte.
Catalogo
A cura di Andrea Visioli e Marco Cagnolati
Profilo biografico a cura di Valter Rosa
Inaugurazione
Domenica 5 novembre 2023, ore 16 con taglio nastro presso la villetta liberty di via Martelli, 35 in Casalmaggiore (CR)
Ingresso libero con rinfresco e catalogo in omaggio
Info
335 5497711 – andrea.visioli@libero.it
redazione@oglioponews.it