Approfondimenti

Quel servizio di Ermanno Olmi su
don Mazzolari censurato dalla Rai

Un ritratto del parroco di Bozzolo don Primo Mazzolari attraverso la vicenda che vide coinvolti, nel lontano 1967, il regista Ermanno Olmi e il giornalista Corrado Stajano nella realizzazione di un documentario per conto della televisione di Stato, il quale tuttavia non venne mai trasmesso.

Nel marzo del 1967 il primo canale RAI avrebbe dovuto mandare in onda un documentario realizzato dal regista Ermanno Olmi con la sceneggiatura di Corrado Stajano su don Primo Mazzolari, il parroco di Bozzolo antifascista e sostenitore della “chiesa dei poveri”. Ma il programma in realtà non venne mai trasmesso, e al suo posto, curiosamente, andò in onda un documentario sulle farfalle. «Mazzolari è stato censurato e osteggiato sempre da vivo. Da morto, subisce lo stesso trattamento». Queste furono le parole del giornalista e critico televisivo Sergio Saviane al termine di un lungo articolo apparso su “L’Espresso” agli inizi di aprile del 1967, relativo alla mancata messa in onda del documentario prodotto dalla RAI e intitolato Il profeta della Bassa. Il lavoro era stato commissionato dalla televisione di Stato al regista Ermanno Olmi, allora già abbastanza noto; per la sceneggiatura, Olmi si era rivolto al giornalista cremonese Corrado Stajano.

Annunciato dal “Radiocorriere” per la prima serata di mercoledì 22 marzo (a pochi giorni dalla festa di Pasqua) nella rubrica “Almanacco”, Il profeta della Bassa venne in ultimo sospeso e accantonato, il tutto senza esplicite motivazioni. Tanto che una delle persone coinvolte nella lavorazione, Libero Dall’Asta, scrisse sul settimanale della Diocesi di Cremona in data 2 aprile: «Perdura a Bozzolo il sentimento di delusione per la mancata trasmissione del documentario televisivo di Ermanno Olmi su don Primo Mazzolari, già in programma giovedì [in realtà si trattava di mercoledì] scorso nella rubrica “Almanacco”. L’attesa era grande, soprattutto perché, data la fama del regista Olmi e la seria preparazione del giornalista Corrado Stajano che ne ha curato il testo parlato, ci si aspettava di vedere un lavoro degno di don Primo Mazzolari, di questo umile parroco di Bozzolo che nei suoi scritti e nella sua quotidiana testimonianza aveva precorso molte delle intuizioni del Concilio».

Secondo Saviane, che trattò a più riprese la vicenda, «quando i dirigenti televisivi affidarono a Ermanno Olmi il compito di fare un ritratto di don Primo Mazzolari, non pensavano nemmeno lontanamente ad uno scandalo. Olmi è un regista cattolico, senza tentennamenti, e nessuno meglio di lui avrebbe potuto ricostruire la vita del parroco di Bozzolo. Olmi chiamò a fare il soggetto e il commento Corrado Stajano, un inviato del “Tempo illustrato” che ha sempre cercato di svolgere il suo lavoro di giornalista con obiettività e serietà, amico e conterraneo di don Mazzolari. Come prima cosa, Olmi e Stajano andarono a Cicognara e a Bozzolo (i posti dove Mazzolari visse, predicò, lavorò, subì attentati dai fascisti e intimidazioni dalla stessa gerarchia ecclesiastica che più volte gli aveva intimato di tacere) per interrogare i testimoni. Durante questo scrupoloso lavoro di ricerca documentaristica e umana (è stato rintracciato anche un diario inedito di don Mazzolari) Olmi e Stajano sono riusciti a fare una ricostruzione biografica mettendo in risalto i momenti e le azioni più importanti della vita di don Mazzolari, compresa la contestata visita al papa. Giovanni XXIII, dopo aver incontrato il parroco di Bozzolo, l’aveva invitato a Roma per il Concilio. Ma don Mazzolari morì pochi mesi prima dell’apertura, nell’aprile del 1959».

«Finite le riprese e il montaggio», prosegue Saviane, «la direzione di “Almanacco” chiese a Olmi e Stajano di vedere il documentario. Pochi giorni dopo sabato 11 marzo, partiva da Roma la piccola troupe della censura televisiva, composta da padre Ernesto Balducci (quello degli obiettori di coscienza), da uno dei due direttori di “Almanacco” (ed ex redattore del settimanale cattolico per ragazzi “Il vittorioso”) Luciano Scaffa, e da un altro funzionario, Pierino Graziani. I tre sforbiciatori guardarono il servizio e, dopo aver premesso d’essere d’accordo con gli autori, cominciarono a fare le loro critiche. Dei tre supercontrollori, l’unico che sembrava addolorato per la missione da svolgere era padre Balducci, il quale ad un certo punto, dopo aver confessato a Stajano di vergognarsi un po’, con una scusa preferiva andarsene, lasciando libero il campo agli altri. A questo punto la discussione salì di tono fino a trasformarsi in una vera e propria lite, davvero avvilente, in cui i censori, contrattando sulla vita e le opere di don Mazzolari come si contratta su una cesta di carote, volevano convincere gli autori a rivedere tutto il film e a ridimensionarlo per i teleschermi». Stando all’articolista, «Olmi e Stajano cercavano di far capire qual era lo scopo del loro documentario, mentre gli altri due continuavano a suggerire tagli e sostituzioni».

«Alla fine i funzionari chiedevano di togliere le sequenze dei cappellani fascisti che salutavano romanamente marciando col passo dell’oca, e il pezzo di commento in cui si spiegava il turbamento di don Mazzolari per l’atteggiamento di una parte del clero nel periodo fascista. Inoltre chiedevano la soppressione totale di un passo del diario che il parroco di Bozzolo aveva scritto nel 1915 in cui si criticava il modo con cui venivano formati i sacerdoti, educati “nel seminario ad un infantilismo perenne”, e alcune immagini di sacerdoti e seminaristi che giocano a pallone. Infine ordinavano di togliere tutta la parte dedicata a don Mazzolari come fautore dell’obiezione di coscienza, e la sua frase: “Se i nostri teologi anziché distinguere fra guerre giuste e guerre ingiuste ci avessero insegnato che la guerra è sempre inutile, noi saremmo scesi nelle piazze”. Togliere questi brani voleva dire storpiare tecnicamente un servizio e, dal punto di vista del contenuto, travisare tutta la vita e l’opera di don Mazzolari. Vista l’intransigenza dei censori, Olmi e Stajano lasciarono liberi i funzionari di agire come credevano, a patto però che si togliessero le loro firme dai titoli di testa. I censori a questo punto (sembra un racconto di Gogol) finsero di cedere, promisero di non toccare nulla, e ripartirono per Roma».

Nei giorni successivi, tuttavia, nessuno si fece più vivo da Roma, e soltanto poche ore prima della trasmissione, mercoledì 22 marzo, esattamente undici giorni dopo la macabra missione di tosatura, veniva comunicato da Roma a Olmi che il documentario sarebbe stato rinviato alla settimana successiva. Dopo la trasmissione monca, con le farfalle al posto del parroco di Bozzolo, solo Morando Morandini del “Giorno” si occupava della soppressione. Per il resto, tutto si era svolto secondo la regola. Fu a quel punto che Sergio Saviane concluse amaramente sul Mazzolari «censurato e osteggiato sempre da vivo» e che, da morto, «subisce lo stesso trattamento».

Tra i diretti interessati, Corrado Stajano tornò tempo dopo sulla vicenda con alcuni ricordi scritti, i quali in buona parte collimano con le versioni dei fatti a suo tempo raccontate da Saviane. Il testo più ampio, dell’agosto 2004, è apparso su “L’Unità”: «Avevamo costruito Il profeta della Bassa nei posti della vita di don Mazzolari (1890-1959), tra il Po e i paesi del cremonese e del mantovano, nutrendoli con le immagini e con le parole dei personaggi allora in vita che gli erano stati vicini, la sorella, i compaesani, i contadini, i preti ribelli e quelli pacificati dalla routine. Sacerdote-scrittore, parroco di campagna per quasi cinquant’anni, don Mazzolari è stato una delle figure più alte dell’avanguardia cristiana del Novecento, un inquieto anticipatore del Concilio. La sua vita, si può dire, ha avuto profonde affinità spirituali con quella di Papa Giovanni».

Nel proseguire la sua trattazione, Stajano fornisce una possibile chiave interpretativa della censura subìta: «Nel nostro documentario avevano dato noia ai censori le sequenze dei cappellani militari fascisti che, in corteo, facevano il saluto romano davanti all’Altare della Patria. Aveva dato noia un testo in cui raccontavamo del turbamento di don Mazzolari per il comportamento subalterno e consonante di vasta parte del clero durante il fascismo. E aveva dato noia un passo del diario del prete, allora inedito, scritto nel 1915, in cui veniva criticata la formazione dei sacerdoti educati nei seminari a un infantilismo perenne. E, ancora, aveva dato noia una frase di don Mazzolari: “Se invece di dirci che ci sono guerre giuste e guerre ingiuste, i nostri teologi ci avessero insegnato che non si deve ammazzare per nessuna ragione, che la strage è inutile sempre e ci avessero formato a un’opposizione cristiana chiara, precisa, audace, invece di partire per il fronte saremmo scesi nelle piazze”».

Secondo Stajano, «il Vangelo, la Chiesa, i poveri, i lontani, la guerra e la pace furono i temi del prete di Bozzolo. Subì dai fascisti atti ostili, minacce. Subì dall’autorità ecclesiastica censure, ammonizioni, intimazioni a tacere: don Mazzolari ubbidì sempre, non si piegò mai». E prosegue: «Il nostro documentario era corretto e veritiero, non era di certo l’assalto al Palazzo d’Inverno. Rifiutammo i tagli dei censori televisivi che ne avrebbero compromesso lo spirito, denunciammo quel che era accaduto. Sergio Saviane scrisse due ampi articoli sull’Espresso formato lenzuolo di allora: “Mazzolari fa paura anche da morto”; “Il passo dell’oca dei cappellani”. Ne scrisse anche Morando Morandini sul Giorno. I nostri censori furono sublimi nella loro ipocrisia. Per mascherare lo scandalo che rivelava, agli albori degli anni Settanta, tutta la loro arretratezza politica e culturale e cancellava le aperture del Concilio, andarono a pescare alla Rai un giornalista che si chiamava Massimo Olmi e confidando nell’omonimia gli affidarono l’incarico di preparare in fretta un documentario su don Mazzolari. Una spudorata mistificazione».

Michele Capelli (fonte: Gianni Borsa, Quel «profeta della Bassa» censurato dalla televisione di Stato, in Rivista Impegno, N. 31 – Anno 16, n°2 | Ottobre 2005)

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