Cronaca

Non rubò i soldi dal conto dello
zio ricoverato. Assolto il nipote

Sentenza di assoluzione per un casalasco di 57 anni accusato di essersi impossessato, nel gennaio del 2020, di 233.400 euro, denaro asportato dal conto corrente di un anziano parente, muratore in pensione, che nel 2019, in seguito ad un ictus, era stato ricoverato alla casa di riposo Busi di Casalmaggiore.

Nel novembre del 2022, in primo grado, l’imputato, il nipote, era stato condannato a due anni e 400 euro di multa, pena sospesa, per l’accusa di furto in concorso insieme alla madre settantenne, cognata dell’anziano, la quale aveva la delega per operare sul conto corrente del cognato. Nei confronti del nipote, però, i giudici della Corte d’Appello hanno ribaltato la sentenza, assolvendolo “per non aver commesso il fatto”, e revocando le statuizioni civili a suo carico. La sentenza è passata in giudicato.

La madre, invece, era anche accusata di autoriciclaggio, in quanto, il 12 giugno del 2020, mediante la stipula con un istituto assicurativo di due polizze vita dal controvalore di 140.319 euro ciascuna, aveva trasferito il denaro provento di furto in attività speculativa, così da ostacolare l’identificazione della sua provenienza illecita.

Per lei la Cassazione ha confermato la sentenza in via definitiva a due anni, 4 mesi e 4000 euro di multa, restituendo però gli atti ad un’altra sezione della Corte d’Appello, esclusivamente per affrontare la questione della pena sospesa. Un beneficio che secondo gli ermellini avrebbe potuto essere concesso.
Per l’accusa, mamma e figlio, mediante firma apocrifa della vittima, avevano eseguito un bonifico dal conto con causale “donazione-regalia”. Per quanto riguarda la posizione del nipote dell’anziano, come ha spiegato il legale del 57enne, l’avvocato Paolo Antonini, “i giudici di Brescia, che hanno riformato la sentenza di primo grado, hanno ritenuto l’insussistenza di qualsiasi responsabilità in capo all’imputato”.

“Dalle dichiarazioni rese in sede di indagini”, scrivono i magistrati bresciani nella motivazione, “non si evince”, come era stato invece ritenuto in primo grado, “alcun tipo di rapporto stretto con la banca, non essendo l’imputato, peraltro, neppure contitolare del conto in parola, né tantomeno delegato”. Oltretutto, come ha sottolineato la difesa, “l’imputato non era nemmeno correntista presso la banca interessata”. “Anche la perizia grafologica”, infine, come si legge nella motivazione, “si esprime in termini meramente possibilistici, senza che la responsabilità dell’imputato trovasse ulteriori riscontri nel corso delle indagini”.

Sara Pizzorni

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