Terzo settore, Osservatorio dono: diminuiscono i donatori, meno del 5% tra giovani
(Adnkronos) –
Sono in leggero calo i cittadini italiani che affermano di aver donato denaro almeno una volta a un’associazione nel 2023: passano dal 12,8% dell’anno precedente all’11%. E’ quanto emerge dalla settima edizione del rapporto annuale ‘Noi doniamo’, curato dall’Istituto italiano della donazione (Iid), in occasione dell’edizione 2024 del Giorno del Dono, sostenuta da Bper Banca. “Il nostro supporto all’Osservatorio sul dono rientra nel più ampio programma di iniziative di Bper Bene Comune, l’unità dedicata alla pubblica amministrazione e al terzo settore che persegue la creazione di valore sociale a favore della comunità”, dichiara Daniele Pedrazzi, responsabile di Bper Bene Comune.
La lettura della propensione a donare in Italia negli ultimi anni – viene rilevato dall’analisi – è particolarmente complessa: se il 2020 è stato l’anno in cui la pandemia ha generato una reazione solidale, il 2021 è stato invece caratterizzato da difficoltà sia sul fronte dell’impegno economico che di quello del volontariato. Nel 2022 si sono avvertiti i primi segnali di ripresa in tutte le dimensioni del dono. Una tendenza almeno in parte confermata nel 2023, anche se i livelli pre-pandemia sono ancora lontani.
“Non dobbiamo dimenticare che, anche quando i dati rivelano un certo calo nelle pratiche di dono, questo non significa una diminuzione della cultura del dono, bensì una trasformazione della donazione in risposta ai cambiamenti economici e sociali che viviamo”, avverte il presidente di Iid, Ivan Nissoli, sottolineando che “la vera sfida è combattere l’astensionismo dal dono e intercettare nuove forme di partecipazione, per avere sempre più persone pronte a mettersi in gioco esprimendo concretamente, attraverso il dono, il proprio essere parte di una comunità viva”.
Nonostante il leggero calo nel numero dei donatori dichiarati (dal 12,8% del 2022 all’11% del 2023) registrata dall’Istat, per Bva Doxa assistiamo ad un aumento del 5% delle donazioni informali (donazioni che non transitano attraverso gli enti non profit), nonché a una diminuzione del 4% dei non donatori, ad associazioni e non, che sono passati dal 37% del 2022 al 33% nel 2023. Infine, rispetto al monte donazioni (totale degli importi donati), l’Italy Giving Report dichiara che nel 2021 c’è una lieve crescita dello 0,04 %, dato che indica un timido ma costante aumento dal 2019.
Il picco massimo si registra tra le persone di 45-74 anni (il 13%-15% circa della popolazione), il minimo tra i giovani: meno del 5% tra i 14-24enni sono donatori. Geograficamente si conferma il divario tra nord e sud del Paese, nello specifico la quota di popolazione che vive nel Nord-est e che dichiara di aver contribuito al finanziamento di associazioni è più del doppio rispetto al Mezzogiorno: 14,3% contro 6,6%. Resta forte il legame tra istruzione e propensione alla donazione: il 22,8% dei laureati dichiara di dare contributi in denaro alle associazioni, un valore quattro volte più alto rispetto a chi possiede solo la licenza media (5,3%). Tra le cause più sostenute, Doxa Bva evidenzia al primo posto Ricerca medico-scientifica (38%), al secondo posto Aiuti umanitari/emergenza, inclusi Ucraina ed Emilia-Romagna (35%), al terzo povertà in Italia (19%).
Guardando alle donazioni informali, quelle cioè che non transitano dalle organizzazioni non profit, nel 2023 cresce la quota di coloro che nei dodici mesi precedenti ne ha effettuata almeno una, passando dal 50% al 55%. L’ambito che registra una crescita maggiore è l’elemosina alle persone bisognose (+4 punti percentuali) che arriva così al 19%. Le collette per le emergenze seguono subito dopo con il 18%, valore stabile rispetto all’anno precedente (17%). In base ai dati da BVA Doxa, inoltre, c’è un aumento non trascurabile fra i donatori (sia informali che non) di giovane età, che resta comunque ben al di sotto della media: nella fascia 15-24enni l’aumento è del 3% a favore del non profit e del 2% dei donatori informali.
Dal monitoraggio condotto dall’Istituto italiano della donazione in collaborazione con Csvnet, l’associazione nazionale dei centri di servizio per il volontariato, su 347 organizzazioni non profit, emerge “una sostanziale stabilità con qualche calo più evidente nella variazione delle raccolte fondi, dove il 32% dei rispondenti registra un aumento rispetto al 47% nel 2022, il 21% una diminuzione (25% nel 2022) e per ben il 47% la situazione rimane invariata contro il 28% nel 2022”. La fonte di maggiori entrate si conferma essere l’erogazione liberale da persone fisiche (60%), seguita da una crescente rilevanza del 5×1000 che arriva al 39% contro il 31% del 2022. I lasciti testamentari continuano a rivelarsi uno strumento di introito ancora marginale: solo l’1% dichiara di averne ricevuti.
L’edizione 2024 del report ‘Noi doniamo’ prende in considerazione anche il caso Ferragni, rilevando che “contrariamente alle aspettative” ha avuto “un impatto limitato”: delle 347 associazioni rispondenti solo il 5% lamenta conseguenze negative sulla raccolta fondi mentre il 18% dichiara di non essere in grado al momento di valutarne le conseguenze. All’interno del 5%, i rispondenti segnalano un calo maggiore tra i donatori privati (51%), al secondo posto ma con distacco quello dovuto ad aziende e fondazioni erogative (17%). Il tema però è degno di grande attenzione perché Bva Doxa segnala che due italiani su dieci dichiarano di aver donato negli ultimi anni poiché convinti da una pubblicità o da un’iniziativa organizzata in collaborazione con un marchio famoso, un brand profit o un/una influencer.
Caritas Italiana sottolinea che, nonostante sia ancora presto per valutare il reale impatto del caso Ferragni, è innegabile il fatto che sia in atto un cambiamento culturale nella relazione tra gli enti non profit e il donatore, sia esso privato cittadino che azienda. “Sicuramente nelle relazioni degli enti con le aziende si nota una grande attenzione ad aspetti quali il calcolo delle aree di rischio, l’eventuale pubblicità negativa e i possibili rischi collaterali, che devono essere attentamente verificati. Questa proattività e attenzione al dettaglio è nuova e va a sostituire un approccio che era tipicamente reattivo ed italiano nella conclusione di accordi commerciali – volti alla solidarietà – che guardava solo alla risoluzione immediata di problemi sociali in nome di un attivismo improvvisato”, evidenzia Francesco Stefanini di Caritas.