Maltempo, in Italia a rischio alluvione oltre 9 milioni di persone e 2 milioni di edifici
(Adnkronos) – Il maltempo porta di nuovo l’attenzione sul rischio idrogeologico nel nostro Paese. “Più di 9 milioni di persone e 2 milioni di edifici, in Italia, sono esposti ad alto rischio alluvione. Bisogna migliorare il coordinamento degli interventi di prevenzione tra Centro e periferia. Il cambiamento climatico in atto rimette al centro dell’attenzione, sia dei tecnici che della classe politica, il problema del dissesto idrogeologico nel nostro Paese. Ad essersi aggravata non è la fragilità geomorfologica in sé, ma la virulenza con cui determinati agenti agiscono sul territorio determinando fenomeni di dissesto. In particolare, l’accentuarsi di lunghi periodi siccità a piogge torrenziali mette profondamente sotto stress le aree del Paese a maggior rischio alluvionale e a rischio frana”. A dirlo il Centro studi del Consiglio nazionale degli ingegneri, in occasione del 68° Congresso nazionale degli ingegneri d’Italia, in corso a Siena. “Sebbene molti sforzi in materia di prevenzione e mitigazione del rischio – ammette – siano stati messi in atto nel lungo periodo, di fronte a questo cambio di scenario, intervenuto con maggiore evidenza negli ultimi 5 anni, non siamo sufficientemente preparati, prova ne sono i fenomeni distruttivi che hanno colpito negli ultimi due anni l’Emilia-Romagna”.
Dati alla mano, il Centro studi Cni ricorda che “6,8 milioni di abitanti risiedono in aree a rischio alluvionale medio e 2,4 milioni vivono in zone alluvionali ad alto rischio, complessivamente il 15% della popolazione. Gli edifici in zone alluvionali ad alto e medio rischio sono 2,1 milioni, il 15% del totale. Le regioni a maggior rischio alluvionale sono l’Emilia-Romagna, la Toscana, la Campania, il Veneto, la Lombardia e la Liguria. Più di 3 milioni di famiglie (16% del totale) sono esposte a rischio alto o medio. Ma ben 12,2 milioni di persone vivono in aree dove il rischio è considerato basso, ma sempre di rischio si tratta, 1,3 milioni di abitanti sono esposti ad elevato rischio frane per corrispondenti 1,3 milioni di abitanti e oltre 565.000 edifici. “Il problema oggi – ribadisce – è sottovalutare anche le aree a medio o basso rischio. L’Emilia-Romagna ad esempio non ricade tra le aree a maggiore rischio ma a rischio medio. Tuttavia, quanto accaduto a metà maggio 2023 mette in evidenza che anche nelle zone non sottoposte a maggiore allerta gli eventi possono ormai essere disastrosi, impensabili, forse, anche secondo i più sofisticati modelli previsionali. L’Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, rileva che negli ultimi 20 anni la spesa per interventi sia stata pari a 6,6 miliardi di euro, per un totale di 6.063 interventi ed un valore medio di poco superiore a 300 milioni di euro”.
“Riteniamo – commenta – che un certo sforzo sia stato messo in campo, ma anche i fatti dimostrano come sia necessario soddisfare due condizioni: realizzare un numero maggiore di opere, intervenendo in modo più capillare (senza attendere situazioni di emergenza) e concentrare nel tempo tali opere. Si stima, dai diversi dati disponibili, che per innalzare in modo ‘efficace’ il livello di sicurezza contro i rischi sempre più imminenti, servirebbero ancora 8.000 opere di prevenzione per una spesa intorno a 27 miliardi di euro. Il Consiglio nazionale degli ingegneri ritiene che il problema vada affrontato su più piani con una stretta collaborazione tra istituzioni centrali, enti locali autorità di bacino e le strutture di rappresentanza dei professionisti tecnici con competenze in materia di contrasto e mitigazione al dissesto idrogeologico. Serve in particolare una razionalizzazione nell’uso delle risorse finanziarie pubbliche ed una chiara rappresentazione degli interventi prioritari su scala nazionale. I terminali importanti delle operazioni di intervento sui singoli territori sono gli Enti locali, che giocano un ruolo rilevante, ma che molto di frequente, come ha rilevato una indagine della Corte dei Conti, non dispongono di figure tecniche per poter realmente avviare i cantieri di messa in sicurezza”.
“Resta critica – precisa il Centro studi Cni – la durata delle diverse fasi che portano alla realizzazione delle opere di mitigazione e di prevenzione. In Italia la durata media totale di realizzazione di opere di contrasto al rischio idrogeologico e di 4,8 anni, di cui mediamente 2,3 anni vengono assorbiti dalla fase di progettazione, 7 mesi vengono impiegati per l’affidamento e 1,8 anni per l’esecuzione effettiva dell’opera. La fase esecutiva risente pertanto delle fasi precedenti, ma soprattutto i tempi di attraversamento, ovvero i tempi amministrativi e i tempi morti rappresentano il 48,6% del tempo totale per la realizzazione di un’opera in ambito idrogeologico”.
“Negli anni – osserva – le risorse pubbliche disponibili sono state prevalentemente devolute ad interventi emergenziali, cioè successivi ad eventi catastrofici, mentre minore spazio è stato dedicato alla prevenzione con una prospettiva di medio-lungo periodo. La Corte dei Conti sottolinea come lo stesso Piano ProteggItalia non ha individuato strumenti di pianificazione territoriali efficaci in grado di attuare una politica di prevenzione efficace e non sono mai stati individuati con chiarezza interventi prioritari distinguendoli da quelli urgenti”. Per il Centro studi Cni “il Piano ProteggItalia non ha unificato i criteri e le procedure di spesa di competenze di Ministeri e Dipartimenti diversi e non ha risolto il problema dell’unicità di interventi con sfumature e obiettivi diversi. Non sembra esservi stata negli ultimi anni una accelerazione nell’uso delle risorse finanziarie disponibili il che chiama in causa complessità procedurali a monte, gestite dalle Amministrazioni competenti per i singoli capitoli di spesa, fatta eccezione per il Dipartimento della Protezione Civile che opera in regime di emergenza”.
“La Corte dei Conti – ricorda – sottolinea inoltre la ridotta capacità progettuale e di spesa delle Regioni e anche degli stessi commissari straordinari/Presidenti delle Regioni anche a causa della carenza di strutture tecniche dedicate alla programmazione e monitoraggio degli interventi in ambito idrogeologico”. “Il consistente numero di strutture di indirizzo e gestionali (strutture di missione, cabine di regia, segreterie tecniche e task force) – precisa – istituite negli anni, secondo la Corte dei Conti non sembrano avere contribuito in modo determinate a realizzare un piano efficace di interventi”. Il Centro studi Cni mette poi in evidenza come “la scarsa capacità di spesa delle amministrazioni pubbliche in termini di interventi di prevenzione dal rischio idrogeologico è il frutto di progetti di scarsa valenza pratica perché basati su ipotesi di massima che poi non vengono approfondite per cambi di orientamento o per lunghezze autorizzative”.