Salute

De Donno e il plasma spiegato al Rotary POC: "Io protagonista? No, è importante la sia la cura"

"Il primo paziente cui lo iniettai era in ventilazione meccanica: la cura alle ore 14, già alle 23 staccai il ventilatore, e dissi a Franchini che funzionava. Lì è partita un’avventura fatta di gioie e dolori, sapendo di avere armi vecchie: cortisone, eparina e plasma. Tutto il resto si è dimostrato fallimentare".

PIADENA – La drammaticità dei primi momenti, la gestione di una malattia sconosciuta, la speranza dalla cura col plasma, le polemiche dei media, la necessità di tornare a una vita normale pur senza abbassare la guardia. Tutto questo e tanto altro è stato l’incontro con Giuseppe De Donno, primario di Pneumologia dell’ospedale Poma di Mantova, giovedì sera ospite del Rotary Club Piadena Oglio Chiese e autore di una relazione applauditissima nel Chiostro dei Gerolamini di Piadena. Al termine della conviviale alla presenza di socie e ospiti il presidente Gianfranco Tripodi ha comunicato con orgoglio che il dottor De Donno ha accettato di essere socio onorario del Club, ed ha quindi appuntato la spilla rotariana al bavero della sua giacca. Poi l’ingresso di un folto numero di cittadini all’interno del chiostro per ascoltare la relazione.

L’inizio ha ripercorso i primi momenti della pandemia: «Già in febbraio centinaia di pazienti in Lombardia e a Piacenza sono stati colpiti da quella che per molti virologi era una semplice influenza, e questo ha confuso noi clinici, che siamo diventati ricercatori e viceversa. Se qualcuno ancora oggi vi dice che la mortalità del Covid-19 è quella di una influenza, diffidate. Un’epidemia influenzale negli Usa provoca 14mila morti, qui sono stati già 10 volte di più. Anche oggi non conosciamo questo Coronavirus, lo studiamo in collaborazione col San Matteo di Pavia e la prima scoperta è stata che in Lombardia esistono almeno tre ceppi, il che ha disorientato clinici e ricercatori. Si è scoperto che il virus ha almeno tre conseguenze: le polmoniti bilaterali interstiziali, le tromboembolie (non solo a livello venoso ma arterioso) che si curano con eparina, e neurologiche, che si manifestano anche in fase tardiva, con sindromi ansiose e depressive».

De Donno ha poi raccontato i momenti più duri: «Siamo diventati tutti un po’ cardiologi, un po’ neurologi, un po’ pneumologi. In Lombardia abbiamo fatto un miracolo, e ogni volta che sento criticare la sanità lombarda mi piange il cuore. Ricorderò sempre la notte del 28 febbraio al Pronto Soccorso: ero tornato a casa alle 2 di notte, e appena arrivato mi telefona la direttrice sanitaria. “Devi tornare“ mi dice: erano arrivate al Pronto Soccorso 110 ambulanze, i barellieri scaricavano pazienti senza nome e ripartivano. Venivano da Cremona, Crema, Casalmaggiore, Bergamo. Ma non abbiamo abbandonato mai nessuno, nessuno è morto da solo».

Quindi la reazione: «Che sia stata una pandemia lo vediamo da quanto accade oggi nel mondo. Quella notte non avevamo armi, e pensammo che sarebbe servito un progetto per combattere il virus. Il direttore dell’ospedale di Asola andò dal dottor Franchini dicendo che serviva un proiettile magico. Da lì l’idea: “Perché non proviamo a usare il plasma?”. L’unica sperimentazione che stava per partire era a Pavia col dottor Perotti. Ebbene, loro due in 4 giorni ci hanno consegnato un protocollo approvato in soli 2 giorni: mai successo prima. Siamo così partiti con la raccolta del plasma dai convalescenti. Il primo paziente cui lo iniettai era in ventilazione meccanica: la cura alle ore 14, già alle 23 staccai il ventilatore, e dissi a Franchini che funzionava. Lì è partita un’avventura fatta di gioie e dolori, sapendo di avere armi vecchie: cortisone, eparina e plasma. Tutto il resto si è dimostrato fallimentare».

Sulle difficoltà nel far comprendere la validità della cura: «Si fatica a pubblicare, e la storia spiegherà il perché, ma è un fatto che il plasma ha permesso di ridurre la mortalità dal 16% al 6%. Se usato subito si sarebbero potute salvare 10mila persone: questo lo sostengo non solo io che sono un pneumologo di campagna ma anche il dottor Perotti. Abbiamo fatto un miracolo: il Poma e il San Matteo hanno lavorato assieme e lanciato una speranza al mondo».

Tanto che chiamano dal mondo: «Abbiamo fatto parecchie call col Sudamerica dove l’uso del plasma è estensivo registrando grande gratitudine, mentre l’Italia a questa idea ha creduto parzialmente, e solo oggi si è partiti con la banca del plasma. Sono stato accusato di cercare notorietà, ma spero che ci si dimentichi in fretta di me. Quel che è certo è che mi è tornata la voglia di fare ricerca. Intanto mi sono opposto a dare il plasma all’industria: meglio conservare le sacche in caso di emergenza»

De Donno ha poi raccontato l’episodio di una donna in gravidanza che ha curato col plasma mandando via i medici, e salvando sia lei che la neonata, e quello di un sacerdote, oggi suo padre spirituale, senza capacità di produrre anticorpi: con la ventilazione non si sarebbe salvato. «Ma sono tante le storie e con tutti i pazienti ho un rapporto speciale».
Sul futuro: «Non sappiamo cosa succederà, ma non possiamo vivere nel terrore. Andiamo in vacanza, io stesso domani partirò per il Salento. Abbiamo bisogno della speranza, ma il virus esiste e circola ancora, anche se i pazienti gravi sono enormemente meno. Piuttosto ad ottobre mi rimetterò la mascherina, perché non sapremo distinguere facilmente un’influenza dalla nuova ondata del virus, se mai ci sarà, ma questo non lo so. Dobbiamo anche ricordare che la natura ci ha fatto grandi segnali, reimpossessandosi del mondo durante il lockdown. Noi cittadini dobbiamo essere fieri di quanto abbiamo saputo fare, ora dobbiamo mantenere le buone abitudini».

L’andamento attuale dei contagi: «Oggi si rileva il virus a livello di nasofaringe, il che non significa essere ammalati. Ci sono comunque variabilità enormi in questa pandemia, ad esempio non tutti gli infetti sono diffusori, e non tutti si ammalano. Di sicuro non esiste una immunità di gregge in assenza di vaccino».
Ecco, il vaccino: «Deve seguire fasi di sperimentazione, sono rimasti solo 18 studi e uno è alla fase due. Tanti si sono fermati per i gravi effetti collaterali riscontrati».
Che comportamenti dobbiamo avere oggi? «Bastano poche regole. Tra congiunti si può avere una vita normale, il problema sono gli assembramenti: quando vedo il comportamento dei giovani mi preoccupo perché il virus circola, anche se oggi non si ammalano. In aereo consiglio di tenere indossata la mascherina. Il problema potremo averlo durante l’epidemia influenzale. Quest’anno l’influenza non è circolata grazie alla mascherina e al distanziamento, lasciando spazio solo al virus. Un problema aperto è quello dei malati oncologici: c’è una fascia di pazienti non curati e diventati oggi inoperabili. Infine consiglio di continuare nella bella abitudine di lavarsi le mani: un po’ di attenzione e non ci si ammala». Alla fine un lungo applauso, che sapeva di grande ringraziamento.

V.R.

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