Cronaca

Troppi insulti via web, procuratore:
"Serve informazione responsabile"

A Cremona nell’ultimo semestre le querele per diffamazione aggravata via internet considerate rilevanti, e cioè che hanno originato un procedimento penale, sono state circa 80. Un numero elevato, per Cremona e provincia.

Negli ultimi decenni si è assistito ad una considerevole crescita dei nuovi mezzi di informazione offerti dalla rete: i social network hanno radicalmente cambiato il nostro modo di vivere e di creare relazioni. In poco tempo sono diventati una vera e propria piazza virtuale su cui discutere, confrontarsi e scambiare opinioni.

Capita, però, che gli animi si accendano, spianando la strada ad insulti e ad offese che spesso e volentieri portano chi scrive a finire in tribunale. Si pensa infatti che scrivere ciò che si vuole su una piattaforma web sia lecito nel nome della libertà di espressione, ma non è così. Serve un’informazione responsabile, perchè la libertà di espressione non è illimitata.

A Cremona nell’ultimo semestre le querele per diffamazione aggravata via internet considerate rilevanti, e cioè che hanno originato un procedimento penale, sono state circa 80. Un numero elevato, per Cremona e provincia.

Chi si occupa di trattare i cosiddetti reati di opinione è il procuratore Roberto Pellicano, che in questa intervista fa chiarezza in un campo così delicato e scivoloso quale è quello dei mezzi di informazione online.

Procuratore, ci sono dei limiti alla libertà di espressione. Quali sono ?

“La libertà di opinione, per usare le parole della Corte costituzionale, è la ‘pietra angolare dell’ordine democratico’. Ogni regime oppressivo si è sempre preoccupato di limitare o controllare le fonti di informazione. La libertà di esprimere il proprio pensiero non è soltanto un diritto individuale, ma è anche un valore collettivo di cui si nutre la democrazia.

Ma proprio perché l’opinione e il pensiero individuale hanno un chiaro valore sociale, essi debbono assumere nella loro manifestazione proprie caratteristiche: deve trattarsi realmente della espressione di un pensiero, di una idea. E’ evidente, ad esempio, che il puro insulto, scollegato da argomentazioni, almeno implicite, non può essere inteso come manifestazione del pensiero. La libertà di esprimere il proprio pensiero non è la mera libertà di sfogarsi.

Nell’esaminare le querele per diffamazione, spesso mi sono imbattuto nel fenomeno dei cosiddetti haters o leoni da tastiera. Persone che, senza esprimere opinioni su argomenti o persone, si scagliano con insulti e denigrazioni, a volte di poche parole, contro qualcuno. Nella gran parte di questi casi l’argomento della discussione è solo un pretesto utilizzato per sfogare i propri impulsi antisociali, quando non addirittura vere e proprie difficoltà di adattamento. La vera critica, anche aspra, è sempre legittima, la falsificazione a fini denigratori o la pura e semplice denigrazione no”.

Dunque ci vuole una cultura di questi nuovi strumenti, un uso consapevole e ragionato

“Le attuali forme di comunicazione hanno prodotto uno sconvolgimento sociale straordinario. Oggi i social media non solo consentono a chiunque di dire ciò che si desidera, ma anche di dirlo in uno spazio potenzialmente aperto a tutti. Queste nuove possibilità di comunicazione hanno peraltro una ricchezza di linguaggio ed una immediatezza prima impensabili. Si è compreso che questi strumenti debbono essere utilizzati criticamente, sia dalla parte di chi pubblica le informazioni sia dalla parte di chi le riceve e le utilizza.

Dalla parte di chi riceve è importante imparare a valutare l’affidabilità della informazione. Ed ovviamente l’attendibilità della informazione è legata alla sua fonte di propalazione. Prima era più semplice. Per avvalorare la credibilità di una notizia si diceva ‘l’hanno detto in televisione’ o ‘l’ho letto sul giornale’. Questi organi di informazione sono composti da professionisti che fanno parte di un ordine riconosciuto dallo Stato, con un codice deontologico e degli organi disciplinari, e che pertanto sono responsabili di ciò che dicono. Se oggi si dicesse ‘l’ho letto su internet’ non credo che si otterrebbe lo stesso effetto.

Dall’altra parte, occorre responsabilità anche dalla parte di chi rende pubblica una informazione o un pensiero. Come dimostra la rilevanza sociale del fenomeno delle fake news, una cosa è raccontare una bufala tra amici al bar o al ristorante, impatto ben diverso potrebbe averlo raccontare la stessa bufala via internet. Insomma, l’utilizzo di strumenti così potenti, messi a disposizione di tutti quasi improvvisamente, richiede un buon grado di cultura e responsabilità. Ci vuole probabilmente del tempo e a mio giudizio saranno necessari interventi normativi che indirizzino la collettività verso un corretto uso di questi strumenti”.

Se no si rischia di incappare in responsabilità penali. E a Cremona c’è già un alto numero di denunce…

“80 querele per diffamazione è un numero rilevante per Cremona. Si tratta di una attività giudiziaria che, oltre a comportare com’è ovvio significativi costi sociali, quando vi è condanna, arreca gravi conseguenze processuali alle persone; conseguenze che con tutta franchezza mi sono apparse in diversi casi evitabili, se si fossero approcciati questi strumenti di diffusione del pensiero con senso di responsabilità.

La mia impressione è che non tutti abbiano raggiunto il grado di consapevolezza nell’uso di questi strumenti indispensabile per non ledere i diritti degli altri o pregiudicare il cosiddetto ordine pubblico, cioè per evitare di offendere l’onore e la reputazione delle persone, procurare infondati allarmi sociali o diffondere informazioni false e tendenziose.

Forse non è noto a tutti che la giurisprudenza ha in sostanza equiparato la gravità della diffamazione commessa via internet alla diffamazione a mezzo stampa. La diffamazione semplice è un reato perseguibile dinnanzi al Giudice di pace, mentre quella via internet è aggravata e conduce dinanzi al giudice ordinario”.

In che modo si rischia una incriminazione ? Può fare qualche esempio ?

“Anche una sporadica offesa arrecata gratuitamente ad alcuno, magari con un singolo commento, seppure utilizzando magari un nickname che non riveli direttamente la nostra identità, può essere sufficiente a farci rischiare l’incriminazione per la più grave forma di diffamazione.

Ricorre frequentemente anche l’incriminazione multipla di più persone, in concorso tra loro, che si sono ad esempio unite ad un ‘coro’ di offese a commento di un’unica vicenda. Mi sono chiesto a questo riguardo quanto queste persone siano consapevoli dei rischi penali da loro corsi, in conseguenza di una battuta livorosa buttata lì in pochi secondi.

In qualche caso anche l’offesa arrecata con e-mail o via chat, quando destinata a gruppi di discussione potenzialmente aperti o comunque collegati ad una cerchia numerosa di persone può essere considerata diffamazione aggravata.

Così come, dall’altra parte, ho notato in alcuni casi una discutibile strumentalizzazione della querela, a fini risarcitori. In un caso lessi in una querela che questa era stata presentata perché dopo diversi giorni dal fatto il querelante non aveva ricevuto le scuse dal querelato”.

Alla fine ci si può ancora appellare al buon senso o servono le maniere forti ?

“Non penso che l’attività repressiva sia molto utile per raggiungere l’obiettivo di una serena e rispettosa convivenza sociale. Credo che molto di più possa fare la cultura, che tutti noi dobbiamo impegnarci a promuovere e ad esaltare anche nell’utilizzo delle nuove forme di comunicazione”.

Sara Pizzorni

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