Anziana morta nella Rsa. "Fatale
il clima di instabilità del Covid"
Quel giorno di agosto, una domenica, il direttore sanitario, assistito dall'avvocato Giovanni Benedini, non era presente. GUARDA IL SERVIZIO TG DI CREMONA 1
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“Eugenia Baroni si trovava in condizioni di estrema fragilità. Non abbiamo ritenuto di contenerla fisicamente, nè di cambiare la terapia farmacologica. Gli effetti collaterali sarebbero stati controproducenti”. Così si è difeso in aula Giuseppe De Ranieri, direttore sanitario della Casa di Riposo Busi di Casalmaggiore, uno dei tre imputati accusati della morte dell’82enne di Martignana di Po, affetta da un quadro clinico di deterioramento cognitivo, che il 2 agosto del 2020 cadde precipitando da una rampa di scale interna alla Rsa casalese. Quel giorno, subito dopo la colazione, l’anziana, ospitata al primo piano della struttura, si era mossa liberamente, riuscendo ad arrivare con la carrozzina per mezzo della quale deambulava alla rampa di scale dalla quale era poi caduta.
Quel giorno di agosto, una domenica, il direttore sanitario, assistito dall’avvocato Giovanni Benedini, non era presente. L’imputato ha parlato dei frequenti spostamenti a cui l’anziana era stata sottoposta all’interno della struttura a causa della pandemia, e di quando la Baroni, che era stata in contatto con un presunto caso di Covid, era stata isolata. “In quei giorni”, ha spiegato l’imputato, “era stata dotata di una carrozzina che le impediva si spostarsi, cosa che nel tempo, complice il clima di instabilità causato dal Covid, le aveva peggiorato i disturbi di comportamento, portandola, una volta uscita dall’isolamento, a girovagare nel reparto”. “Successivamente la paziente”, ha riferito in aula De Ranieri, “era stata rimessa sulla sua vecchia carrozzina, in quanto con quella che le impediva di spostarsi rischiava di ribaltarsi sul posto”. L’imputato era al corrente che la donna aveva cercato di uscire dalla porta antipanico: “quattro segnalazioni in quindici giorni. Un vagabondaggio che non era mirato a raggiungere un determinato luogo”.
La Baroni, secondo l’imputato, “doveva essere accolta in un ambiente più specialistico, più stabile e più adatto per gestire i suoi bisogni”. Per poterla trasferire in una stanza al piano di sotto, dove i pazienti erano maggiormente sorvegliati, il direttore sanitario, pur con le difficoltà dovute al Covid, aveva convocato le figlie per parlarne. “Non accettavano che la loro mamma fosse considerata alla stregua degli altri ospiti del Nucleo Alzheimer”, ha spiegato De Ranieri. “In effetti non è facile, bisognava acquisire un certo grado di consapevolezza”. I familiari avrebbero comunque firmato per l’autorizzazione a spostare l’anziana il 3 agosto, ma purtroppo il giorno prima era accaduta la tragedia.
Per quanto riguarda la porta di emergenza che non sarebbe stata correttamente chiusa, al direttore sanitario erano arrivate “segnalazioni ufficiose”: al giudice ha spiegato che certe volte alcuni operatori dell’impresa di pulizie, dovendo passare spesso per quei varchi, per comodità socchiudevano la porta anzichè chiuderla correttamente. E non solo loro: avrebbe avuto questo “malcostume” anche qualcuno del personale che, uscendo per fumare, “si era preso qualche libertà che non doveva prendersi”.
In aula si sono difesi anche gli altri due imputati: Hugo Jesus Martinelli, all’epoca medico di reparto, e la coordinatrice infermieristica Antonella Colombi. Nessuno due era presente il giorno della morte della Baroni. “Una volta rientrata dalle ferie e venuta a sapere dei tentativi della paziente di uscire”, ha raccontato la Colombi, “ne ho parlato con il direttore sanitario che mi ha detto che avrebbe parlato con i familiari. Ho poi saputo che la famiglia si era presa un periodo di tempo per pensare ad uno spostamento”. L’imputata ha specificato di non avere potere decisionale sugli spostamenti dei pazienti, “decisioni che spettano al direttore sanitario”.
Sulla stessa linea di De Ranieri, anche il collega Hugo Jesus Martinelli: “quella della Baroni era una demenza accentuata dai disturbi comportamentali dovuti ai continui spostamenti a causa dell’emergenza Covid. Secondo il medico, per il “wandering”, e cioè il vagabondaggio, comportamento frequente tra i malati di demenza, “non esiste una terapia farmacologica”.